DARK 3 – Quel che conta non è la destinazione ma la partenza di Francesca Mottola
Con la terza stagione di Dark si chiude una delle serie Netflix più apprezzate di sempre
SPOILER SU TUTTA LA SERIE
Il 27 giugno – data che nella serie coincide con l’arrivo dell’apocalisse a Winden – è uscita la terza e ultima stagione di Dark, un atteso fine corsa che gioca al rialzo su tutta la linea.
Poco più di un anno fa lasciavamo Jonas con la rivelazione che il mondo che tanto strenuamente stava cercando di salvare fosse soltanto uno di due universi simili e profondamente differenti allo stesso tempo, come gemelli eterozigoti. La terza stagione parte da questa nuova consapevolezza e agli ormai classici salti temporali – che qui si moltiplicano in maniera esponenziale – affianca la scoperta del mondo alternativo, che sembra riflettere la realtà da cui Jonas proviene attraverso una lente deformante. Scopriamo una Winden diversa, in cui una serie di what if si sono concretizzati in maniera opposta rispetto all’universo principale, alterando in profondità la storia delle famiglie protagoniste della serie – i Kahnwald, i Nielsen, i Tiedemann e i Doppler – con conseguenze che si ripercuotono con un clamoroso butterfly effect su tutti gli avvenimenti che Jonas credeva (e noi con lui) di conoscere. A unire i due universi vi è però un comune epilogo: il sopraggiungere dell’apocalisse e la fine di ogni cosa, che i giovani Martha e Jonas tentano di prevenire con tutte le loro forze, in entrambi i mondi.
Fin dalla prima puntata, la terza stagione di Dark esplicita un’importante presa di posizione: se nelle prime due stagioni (soprattutto nella prima) lo spettatore veniva lasciato quasi totalmente libero di riflettere e interpretare i concetti alla base della serie – il Tempo, il libero arbitrio, la predestinazione – cercando nel mare magnum di spunti e suggestioni proposti dalla serie la propria personale chiave di lettura, la stagione conclusiva filtra ogni evento attraverso il rigido dualismo alla base dei due universi, capeggiati l’uno da Adam – la versione anziana e provata dai viaggi nel tempo di Jonas – e l’altro da Eva – una Martha profondamente segnata da rughe e cicatrici. Due fazioni in lotta per il destino dei rispettivi universi e costantemente impegnate a manipolare tutti gli altri personaggi – e soprattutto i giovani Jonas e Martha – per perseguire i propri fini.
Adam/Eva, Luce/Oscurità e Paradiso/Inferno sono i binomi a partire dai quali viene edificata l’impressionante impalcatura narrativa della terza stagione. E in questo la sceneggiatura è ineccepibile: gli eventi si incastrano perfettamente su una moltitudine di piani temporali e spaziali, e da un punto di vista microscopico lo spettatore non può che sentirsi appagato dalla coerenza e dalla logica ferrea che regola tutte le relazioni tra i personaggi. Facendo però un passo indietro e osservando il quadro macro, mettendo cioè in prospettiva le tre stagioni/cicli temporali, ci si accorge che la struttura imponente e cervellotica – quella che ha portato molti fan a guardare la serie con carta e penna alla mano – prende quasi totalmente il sopravvento sull’introspezione dei personaggi e sulla riflessione filosofica relativa ai concetti di Tempo e Destino (e Libero Arbitrio, e Identità, ecc ecc) che la prima stagione aveva proposto con tanta forza e originalità.
Lo schema ciclico con cui gli eventi si ripetono ancora e ancora, le stesse frasi ripetute infinite volte dai personaggi e la presenza costante del concetto di predestinazione sono elementi fondativi di Dark, e certo parte del suo fascino. Questa terza stagione sembra però rimanere imbrigliata in un loop narrativo che punta tutto su rivelazioni e colpi di scena che a parte rare eccezioni aggiungono poco o nulla, e che letti alla luce della spiegazione finale risultano fini a loro stessi. Fino all’ultima puntata, Dark lavora per addizione saturando il racconto con elementi in antitesi tra loro e verità che durano il tempo di una scena. E in questo senso il finale – per quanto sensato e logico, a suo modo – lascia un po’ di amaro.
Avevamo lasciato Jonas ormai consapevole di non potersi fidare di nessuno, soprattutto dopo che Adam lo aveva ingannato portandolo a credere di poter interrompere il ciclo degli eventi convincendo il padre a non commettere suicidio. Lo ritroviamo – insieme a Martha - intento a commettere sistematicamente gli stessi errori, riponendo la propria fiducia nelle mani di chi sembra raccontare la storia migliore, ma senza mai dare un vero e proprio contributo per spezzare la catena degli eventi. E infatti la soluzione arriverà da Claudia, deus ex machina “esterno” che convince solo in parte. Martha e Jonas, in tutte le loro versioni ed età, hanno lottato per due mondi che, scopriamo, sono frutto di un incidente, un “errore nella matrice”, come viene definito più volte. E l’unica soluzione è tornare indietro per far sì che quell’errore non venga mai compiuto e, di conseguenza, che i mondi a cui Jonas e Martha sono appartenuti e per cui hanno lottato non vengano mai generati. Forse era l’unico finale possibile, ma appare una soluzione “passepartout” decisamente semplicistica a fronte della grande complessità che ha caratterizzato la serie e che ha tenuto lo spettatore impegnato a prendere appunti. Appunti che, se letti alla luce del finale, non servono poi a molto, o comunque non servono tutti.
A conti fatti, la scelta più importante e divisiva, nonché quella che noi abbiamo apprezzato meno, è stata quella di ribaltare la posizione dei personaggi, inizialmente vittime inermi di un meccanismo cosmico invincibile (e per questo fertilissimo in termini filosofici), e infine diventati effettivamente “eroi” capaci di sconfiggere l’infinito, al prezzo però dell’ingresso di qualche forzatura e banalità in più.
Dopo tre anni e tre cicli Dark trova quindi la propria conclusione, con una stagione non all’altezza di quella che era stata una partenza davvero magnifica. Ma a monte di tutte le perplessità esposte, alla serie tedesca va riconosciuto il grande merito di aver osato qualcosa di totalmente innovativo e originale per un prodotto Netflix, che sempre più spesso sceglie di giocare sicuro e senza azzardi. Qualche settimana fa un sondaggio tra gli utenti di Rotten Tomatoes l’ha eletta la migliore serie del catalogo Netflix. Non è un dato così sorprendente: fin dal suo esordio nel 2018 Dark ha catalizzato intorno a sé fascino e interesse da parte di un pubblico molto vasto, soprattutto in relazione alla complessità dell’intreccio e alla presenza di una componente filosofica rilevante. In questi tre anni Dark ha affrontato cambiamenti importanti e forse non sempre riusciti, ma non ha mai smesso di tenere gli spettatori incollati allo schermo, complice anche uno standard tecnico altissimo. La fotografia sempre impeccabile, unita a una colonna sonora ipnotica e potente e a un lavoro di casting eccezionale (specie nella scelta delle versioni giovani e vecchie degli stessi personaggi) hanno reso Dark un meccanismo a orologeria perfetto e capace di reggere una narrazione estremamente complessa senza mai perdere di credibilità.
Dark è stata prima di tutto un viaggio. “L’inizio è la fine, e la fine è l’inizio” recita l’assioma su cui si fonda l’intera epopea della serie. Alla luce delle tre stagioni, forse Dark non ha mantenuto fino in fondo questa promessa, perché l’inizio ci è parso migliore della fine.
Ma rimane un gran bel viaggio, che è valso la pena percorrere fino in fondo.