1 Luglio 2020

Alex Rider – La spia teen che sa il fatto suo di Diego Castelli

La serie tratta dai romanzi di Anthony Horowitz funziona perché fa le cose semplici

Pilot

Ieri abbiamo festeggiato i nostri primi dieci anni, e quindi ho detto “oggi per iniziare i secondi dieci devo sparare fuori un articolo-capolavoro parlando di una serie-capolavoro”.
Poi però non ho avuto tempo e quindi vi beccate Alex Rider.
Che comunque non sarà un capolavoro, ma non è brutta, povera stella.

Allora, la questione è questa qui.
Alex (Otto Farrant) è un adolescente che vive con suo zio Ian (Andrew Buchan) e una sorta di amica-governante (Ronkẹ Adékoluẹjo) che si mantiene gli studi aiutando zio e nipote con le faccende di casa.
Alex pensa che suo zio sia un bancario, ma in realtà è una spia.
Quando gli ammazzano il congiunto in azione, Alex viene a sapere tutto ed è costretto a diventare a sua volta agente segreto.
Tutto qui il semplicissimo concept di una serie di romanzi per ragazzi scritti da Anthony Horowitz, già trasposti in un film di non troppo successo del 2006, e ora diventati una serie tv debuttata lo scorso 4 giugno su Prime Video (ma non il nostro Prime Video, dove per ora tutto tace).
Adattata da Guy Burt, la serie si basa in realtà sul secondo libro della saga, Point Blanck, che viene rimaneggiato quel tanto che basta per far partire qui le gesta del protagonista (il film uscito al cinema invece era basato sul primissimo libro).

Alex Rider, che come detto non è un capolavoro, ha però a mio giudizio due pregi non scontati. Il primo è quello di non strafare. È una storia di genere, e non cerca di ficcare a forza nel racconto temi, atmosfere e aspirazioni intellettuali che con quel genere non c’entrano niente. Il pilot è costruito col manuale di istruzioni accanto, e mette uno dietro l’altro, ben bene ordinati, tutti gli elementi che ci servono per entrare nella storia: il carisma di Alex, che malgrado la giovane età è già sveglio e capace; la lealtà del migliore amico Tom, da subito spalla comica; la relazione con lo zio, genitore putativo dal portamento rigido ma non per questo burbero; le cospirazioni e i complottoni che emergono rapidamente non appena lo zio rimane ucciso; la necessità per Alex di crescere in fretta, una volta sparato a cannone in un mondo di adulti che più adulto non si potrebbe.
E la cosa buona è che tutti questi elementi, seppur non nuovi (o forse proprio perché non nuovi) vengono padroneggiati con abilità, in un pilot che è veloce, denso ma non posticcio, in cui la scrittura si impegna per trasmettere le pur necessarie informazioni in modo non scontato.
Che è un po’ come dire “ok, se non sei originale, almeno sii preciso”. E nei primi due episodi che ho visto Alex Rider è piuttosto precisa.

Il secondo pregio è un po’ più sottile, forse anche meno importante, ma ha trasmesso una certa gioia a questo appassionato ormai trentottenne che di cose seriali ne ha viste anche troppe.
A leggere il concept della serie (i libri non li ho mai letti) temevo che l’ingresso di Alex nel mondo delle spie sarebbe stato troppo semplice, smaccatamente inverosimile, perché che un adolescente venga improvvisamente reclutato da un misterioso servizio segreto e mandato in missione di lì a pochi giorni, richiede una sospensione di incredulità che è più adatta a un pubblico molto giovane.
Anche su questo punto, però, la sceneggiatura viene in nostro soccorso. Non tanto, o non solo, mostrandoci che effettivamente Alex è piuttosto in gamba grazie a un’educazione molto formativa in senso spionistico (anche se lui non lo sapeva). Ma soprattutto perché sono molti i personaggi, oltre a lui stesso, a chiedersi se abbia davvero senso reclutarlo.
Il fatto che Alex sia un semplice ragazzo, e che per questo farlo diventare una spia sia non solo pericoloso, ma anche illegale, è un tema che viene sollevato più volte nei corso dei primi due episodi, e che crea più di una tensione fra i professionisti del settore che dovrebbero mandarlo in missione. Anzi, a dirla tutta è solo il capo di questo fantomatico servizio segreto a credere che Alex potrà essere utile.

E in effetti, accanto alle molte perplessità, la sceneggiatura si impegna per mettere sul piatto anche tutti i motivi per cui questa scelta apparentemente folle potrebbe essere l’unica intelligente, visto che ad Alex sarà chiesto di infiltrare una scuola per ragazzi problematici, in cui potrebbero trovarsi molte risposte agli interrogativi circa la morte dello zio. Un omicidio che, ovviamente, diventa anche la prima molla per lo stesso Alex, che non avrebbe alcuna voglia di fare la spia, ma si rende conto che solo assecondando le richieste degli ex capi dello zio potrà contribuire a svelare il mistero circa il suo omicidio.

Sì insomma, Alex Rider è una serie action-thriller in cui si cerca di fare le cose a modino sul fronte action-thriller, e in cui certi aspetti potenzialmente problematici per gli spettatori più navigati vengono diluiti e ammorbiditi da una scrittura che riconosce il problema e lo affronta senza paura.
Poi certo, resta una spy story dal sapore teen, non sembrano nemmeno esserci i mezzi che in questi mesi abbiamo visto in altre produzioni action, e in generale non è che si rimanga particolarmente stupiti.
Però se vi piace il genere non vedo perché non darle una chance. E poi gli episodi durano 42 minuti, come una volta, puliti, senza troppa ansia.

Perché seguire Alex Rider: una serie action-thriller costruita con criterio e che gestisce bene l’intrinseca, scarsa verosimiglianza di un adolescente che diventa spia.
Perché mollare Alex Rider: perché resta un racconto strettamente di genere, che non va oltre il suo pur riuscito compitino.

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