11 Giugno 2020

I May Destroy You: BBC e HBO insieme per una non-comedy tutta particolare di Diego Castelli

Parte in un modo finisce in un altro, e ti lascia stordito quanto la sua protagonista

Pilot

Prima di guardare il primo episodio di I May Destroy You, creata da Michaela Coel e co-prodotta da BBC e HBO, non sapevo assolutamente nulla della trama. Né della creatrice dello show, peraltro, che pure aveva già un bel curriculum, una sceneggiatrice/cantante/poetessa/altre cose che a neanche 30 anni, nel 2016, vinse un BAFTA per un’altra serie da lei creata, Chewing Gum, di cui di nuovo non ho visto nulla.
Sì insomma, un sacco di ignoranza da parte mia, però dai, BBC+HBO, già bastava a guardare il pilot.

Ebbene, sono rimasto abbastanza sorpreso, e la sorpresa deriva anche da cose che in realtà la produzione dello show esplicita già in fase di comunicazione, cose cioè che lei stessa ritiene lecito sapere prima di vedere il primo episodio, ma che a conti fatti sono stato contento di non sapere in anticipo.
Solo che ora come faccio a parlarne senza spoilerare neanche ciò che BBC e HBO non considerano spoiler?
Facciamo così, anticipiamo un attimo i tempi: vi dico subito che secondo me il primo episodio di I May Destroy You – in perfetto equilibrio fra comedy, drama e mistery – merita mezz’oretta del vostro tempo per vedere che effetto vi fa. Se volete darmi fiducia, smettete di leggere qui, guardate l’episodio, e poi tornate. Altrimenti andate pure avanti. Intanto metto una foto che spezza.

Ok, rieccoci. Dicevamo della sorpresa. Il pilot della serie dura poco più di trenta minuti, titoli di coda compresi, e per un buon tot, alla prima impressione, mi pareva una comedy un po’ scialba. La protagonista Arabella, interpretata dalla stessa Coel, è una scrittrice che ha fatto successo col suo primo libro, ma che fatica mortalmente a scrivere il secondo. Un classico caso di talento che forse ha esaurito in un libro solo tutto quello che aveva da dire, e che ora vive le scadenze della casa editrice come una spada di damocle da cui fuggire meglio che si può, una volta con un viaggio in Italia dove intrattenersi con un quasi-boyfriend nostro compaesano (il pilot inizia a Ostia), un’altra volta con una festa, un aperitivo, una chiacchierata con gli amici, qualunque cosa le consenta di non pensare al fatto che c’è chi aspetta di ricevere un manoscritto che lei davvero non riesce a buttare giù.

L’episodio racconta della notte precedente alla consegna, una notte in cui Arabella dovrebbe solo scrivere-scrivere-scrivere, e in cui invece si fa distrarre dagli amici e dalle loro proposte, che in breve tempo la fanno finire in un locale a sbronzarsi e fare bisboccia.
E qui le cose cambiano.
Perché fino a questo momento I May Destroy You è stata una comedy tutto sommato “normale”, di quelle apparentemente molto autobiografiche come va di moda oggi, che mettono in scena un piccolo mondo di relazioni e cazzeggi che se tocca le corde giuste ti fanno sentire a casa, e sennò diventa in fretta un chissenefrega.
Fortunatamente (perché sennò eravamo vicini al chissenefrega) arriva il twist. A un certo punto vediamo Arabella piuttosto devastata nel bar, e uno stacco secco ci porta alla mattina dopo, quando la ragazza sta scrivendo e si appresta a portare il manoscritto agli editori. Insomma, sembra che alla fine sia andato tutto bene. Solo che tutto bene non è andato.
Arabella è distante, confusa, a tratti sembra non sapere dove si trova. E lei stessa è la prima a essere insieme disorientata e divertita da questo fatto. L’incontro con gli editori diventa un po’ bizzarro, quello che ha scritto sembra non avere né capo né coda, ma Arabella riesce ad andarsene tenendo tutto in sospeso. Qualcosa continua a non tornare, e quel qualcosa appare prima a noi che a lei, nella forma di un uomo, inquadrato dal basso, che sta facendo sesso con qualcuno o, dal modo grezzo e parossistico in cui si muove, verrebbe quasi da dire “con qualcosa”. E lì capiamo qualcosa che Isabella ricorderà solo nel secondo episodio: è stata aggredita e violentata.

Tutto questo, magari non con questo dettaglio, lo diceva anche la trama ufficiale della serie, che parla di una ragazza che deve ricostruire la sua vita dopo essersi resa conto di essere stata aggredita.
E questo “dopo essersi resa conto” è un po’ la chiave più interessante e originale con cui la Coel sceglie di raccontare una storia che, a questo punto, continua a essere una comedy nel formato e in certi elementi di stile, ma smette completamente di esserlo dal punto di vista tematico.
Al contrario di una buona quota degli stupri da cinema e tv, spesso rappresentati come atti di violenza conclamata e selvaggia, che la stessa vittima riconosce come tali nel preciso momento in cui avvengono, e che lasciano su di lei un’impronta precisa e terribile fin dal primo istante, Michaela Coel sceglie di percorrere una strada meno semplice dal punto di vista della rappresentazione, ma capace di gettare uno sguardo su un tipo di violenza di cui si parla poco, e che spesso viene scambiata dalle stesse vittime come una loro leggerezza.

Quello che è successo è che uno dei drink di Isabella è stato drogato, e che la ragazza è stata poi violentata quando aveva poca o nessuna coscienza di se stessa. E nel finale del primo episodio, e per quasi tutto il secondo, Arabella tratta le discrepanze nella sua memoria come possibili allucinazioni, come dettagli insignificanti di una vita che può andare avanti serenamente. Addirittura, quando si rende conto che effettivamente deve andare alla polizia, Arabella è (o pretende di essere) super tranquilla, perché è una donna di mondo e non vuole fare la vittima a tutti i costi. Quello con cui deve fare i conti, però, è un trauma subdolo che non le permette di essere serena e pacifica, e che presenta un prezzo che non è possibile non pagare.

In attesa di vedere come evolverà la storia, che probabilmente vedrà Arabella impegnata in una sorta di indagine per scoprire tutto ciò che le è avvenuto, e soprattutto chi l’ha violentata e da chi è stato aiutato direttamente o meno, il più grosso pregio di I May Destroy You è proprio quello di raccontarci una storia tutto sommato “classica”, come le conseguenze di uno stupro, da una prospettiva nuova e probabilmente molto utile, perché si concentra su un genere di traumi e di risposte alla violenza che non è molto cinematografico, ma che corrisponde alla quotidianità di molte vittime. È Arabella per prima che cerca di sminuire quello che le è successo, e le vanno dietro gli amici e le amiche, che vediamo attraversati da piccoli, silenziosi ma terribili egoismi, in cui giudicano Arabella per il suo stile di vita o rifuggono certe loro precise responsabilità nella notte incriminata.
Il tentativo, insomma, è quello di rendere visibile e televisivamente interessante un tipo di violenza e di reazione ad essa che invece per sua natura tende al silenzio e alla quiete, lasciando che i danni dalla violenza prodotti passino inosservati. E in questo senso i primi due episodi, partiti lentamente, diventano presto potentissimi, perfino disturbanti, e obbligano a chiedersi come ci comporteremmo noi nella stessa situazione, molto più di tanti film e serie in cui i torti sono così pacchiani ed esibiti, da essere fin troppo facilmente condannabili, senza grosso dispendio di energie.
I May Destroy You invece punta proprio a far riflettere, ha un peso politico non indifferente, e riesce al contempo a farti venire voglia di vedere il prossimo episodio perché vuoi anche sapere come va a finire.
Mica poco.

Perché seguire I May Destroy You: perché mescola generi diversi in una sintesi dal forte peso politico e dal grande impatto emotivo.
Perché mollare I May Destroy You: è una serie più impegnata e impegnativa del previsto, inadatta a chi cercava una cosina leggera avendo visto una protagonista dai capelli tinti di rosa.

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