Unorthodox – Netflix: una miniserie potentissima di Marco Villa
Unorthodox è la storia di una ragazza che abbandona la comunità ebrea ortodossa di New York per rifarsi una vita a Berlino
Qualche anno fa si parlava tantissimo di One of Us, documentario di Netflix dedicato alla comunità chassidica di New York, formata da quelli che comunemente chiamiamo ebrei ortodossi. Se l’avete visto, avete ben chiaro quell’universo parallelo che si sviluppa a Williamsburg, a pochi metri dai ristorantini tanto curati e dai locali hipster che lo rendono uno dei quartieri più belli della città. Unorthodox – su Netflix dal 26 marzo, 4 puntate da 55 minuti – parte da lì: da quelle storie e da quel quartiere, per scappare poi via a più di seimila chilometri.
È la distanza che separa New York da Berlino, nella fuga compiuta da Esther detta Esty, 19enne ebrea ortodossa che non riesce più a vivere secondo i dogmi della sua comunità. La sua è una situazione di totale sottomissione al marito, che passa attraverso una serie di regole quotidiane di comportamento che ingabbiano le esistenze delle donne togliendo loro ossigeno e costringendole a obbedire. Un sistema basato su famiglie molto strette e molto chiuse, che decidono i matrimoni per i propri figli e che a loro volta fanno riferimento a un rabbino con un potere decisionale assoluto sulle vite di tutti.
Unorthodox inizia con Esty che scappa e va a Berlino per ritrovare la madre, che a sua volta aveva abbandonato la famiglia per gli stessi motivi: da ragazzina, Esty la disprezzava, ora ha capito perché è scappata e vuole ritrovarla. Arrivata a Berlino, però, le cose vanno in modo diverso: finisce in un gruppo di giovani studenti del conservatorio e – da pianista dilettante – decide di provare anche lei a entrare nella scuola. Esty è convinta di aver chiuso con il passato, ma da New York mandano il marito e un cugino a cercarla per riportarla indietro a ogni costo, perché la sua fuga sarebbe un pessimo messaggio per tutta la comunità.
Non procedo oltre con la trama, per evitare spoiler e perché il succo di tutto è già qua: Unorthodox è una serie stratificata, che racconta la fuga di Esty e il suo confronto con quello che trova, ma entra anche nel profondo del mondo che ha lasciato. E lo fa senza demonizzarlo, perché è Esty per prima a non voler rinnegare tutto del proprio passato: cerca libertà, cerca la possibilità di affermarsi come donna, ma non ha intenzione di demonizzare quello da cui è scappata. È questo uno degli elementi che rende Unorthodox un’ottima serie: tratta dall’autobiografia di Deborah Feldman, che a poco più di vent’anni scappò a Berlino con il figlio. L’adattamento del libro è firmato da Anna Winger (Deutschland 83) e Anna Karolinski, mentre la regia è di Maria Schrader, per una serie pensata, scritta e girata da sole donne.
A questo elenco manca ancora un nome, che è quello di Shira Hass, attrice israeliana che interpreta Esty e che era già nel cast di Shtisel. La sua interpretazione è eccezionale, soprattutto per il suo lavoro sul corpo, attraversato da una tensione costante che la scuote e non la fa mollare. Nei primi episodi la vediamo con tre acconciature diverse: è la parte più evidente di tre momenti della vita di Esty, che Hass riesce a rendere in modo incredibile lavorando esclusivamente con tensioni e rilassamenti del volto.
È lei la chiave per entrare in Unorthodox, un’ottima chiave per un’ottima serie, in grado di salvarsi dal rischio “favoletta edificante”, che l’avrebbe distrutta alle radici.
Perché guardare Unorthodox: perché racconta una storia potentissima
Perché mollare Unorthodox: perché è un mondo che non vi interessa