Amazing Stories: su Apple Tv+ un ritorno che poteva stupire di più di Diego Castelli
Steven Spielberg ripropone in veste di produttore lo stesso brand già sfruttato nell’85: l’esordio è buono, ma non sfavillante
Nel 1985 Steven Spielberg, che era già una mega star di Hollywood avendo girato, fra gli altri, Lo Squalo, E.T. L’extraterrestre e I predatori dell’arca perduta, decise di dar vita a una serie antologica per la televisione, sulla scia della mitica Ai confini della realtà. La chiamò “Amazing Stories”, riprendendo il titolo di una rivista di fantascienza degli anni Venti, e la immaginò proprio come The Twilight Zone: episodi autoconclusivi, ognuno dedicato a un tema del fantastico e della fantascienza, mediometraggi con cui far volare la mente degli spettatori su altri mondi e in altre dimensioni.
La serie fu un successo di critica (in sole due stagioni 12 nomination agli Emmy e 5 premi) ma non di pubblico: per questo NBC staccò la spina alla fine della seconda stagione.
Ora, a distanza di 35 anni, Spielberg ci riprova (in veste di produttore), questa volta alleandosi con Apple e la sua giovanissima Apple Tv+. Amazing Stories è di nuovo il titolo della serie, che ha debuttato lo scorso 6 marzo (un solo episodio a settimana, gioia e giubilo!). L’ha fatto con un racconto a tema “viaggio nel tempo”, incentrato su un ragazzo (Sam, Dylan O’Brien) che, lavorando alla ristrutturazione di una casa insieme al fratello, viene spedito indietro nel passato da una specie di tempesta magica che lo coglie impreparato di fronte a un barometro del seminterrato. Sam finisce al tempo del proibizionismo e si innamora di Evelyn (Victoria Pedretti), una ragazza che sta per sposarsi, senza alcun entusiasmo, con un vedovo ricco che potrebbe “sistemarla”. Ovviamente scoppia l’amore, che si impasta e si mescola col desiderio di Sam di tornare a casa, e magari di portarsi dietro proprio la bella Evelyn.
Ebbene, questo “The Cellar” è un episodio tutto sommato piacevole, ben costruito, palesemente ricco nei mezzi produttivi, e usa la fantascienza (ma qui siamo davvero dalle parti del fantastico) come scusa per mettere in scena una storia di sentimenti, di amori che travalicano i secoli, e di domande esistenziali che ognuno di noi, prima o poi, deve porsi nella vita: chi sono io? Che ci faccio qui? Cosa voglio per il mio futuro?
Quindi insomma, un pacchettino piacevole che ti vedi senza troppa ansia. Il problema? Non è mica tanto “amazing”.
Cioè, capisco benissimo che il titolo sia preso di peso da una tradizione del passato, ma allo stesso tempo, inevitabilmente, è pure un nome un po’ altisonante, che si prende un certo tipo di impegno con lo spettatore. Promette cioè storie “sorprendenti”, o “impressionanti”, traducetelo come volete. E “The Cellar”, bisogna dirlo, non è poi così sorprendente.
Non lo è dal punto di vista del fantastico puro, perché né le dinamiche “magiche” (il viaggio nel tempo) né il posto dove Sam finisce (un’America da proibizionismo che abbiamo visto in mille salse) destano particolare sorpresa. E non lo è nemmeno in termini romantici o filosofici, perché, ancora una volta, i temi messi in campo e il loro sviluppo ci son ben noti da altri film e serie (e non poche).
Questo non toglie al pilot una sua precisa eleganza, anche nel modo in cui i piani temporali finiscono con l’avvicinarsi e intersercarsi, facendo assomigliare gli spostamenti di Sam attraverso il tempo a una mano carezzevole con cui il ragazzo cerca di entrare di volta in volta in contatto con l’amata. Né vogliamo sostenere che la sorpresa sia una caratteristica decisiva nel giudizio di qualunque serie tv (altrimenti il 90% dei crime dovrebbe chiudere).
Ciò non toglie, però, che la puntata di esordio di una serie esplicitamente “sorprendente”, prodotta da una piattaforma giovane e rampante, poteva dare qualcosa in più.
Guarderemo comunque i prossimi episodi, vediamo se ne se salta fuori qualcuno di più ficcante.
Perché seguire Amazing Stories: perché l’idea di piccoli scampoli di fantastico, da sbocconcellare alla bisogna, intriga sempre.
Perché mollare Amazing Stories: se l’idea di una serie antologica e fantascientifica vi fa pensare a Black Mirror, ecco, al momento siamo uno o due gradini sotto.