V Wars: Netflix e i vampiri canadesi di cui facevamo anche a meno di Diego Castelli
Il ritorno di Ian Somerhalder in una storia di succhiasangue non fa scattare alcuna nostalgia, al massimo un po’ di pietà
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Ieri sera il Villa, sconsolato, mi ha avvertito del fatto che per via di un imprevisto non sarebbe riuscito a scrivere l’articolo per oggi. Io mi stavo guardando un episodio di The Crown (settimana prossima recensiamo), e ho risposto con grande ottimismo: “Tranquillo, ho giusto da vedere il pilot di un nuova serie di Netflix che parla di vampiri, e in cui il protagonista è Ian Somerhalder di The Vampire Diaries, che però qui NON fa il vampiro!”
Di fronte al mio ottimismo palesemente ingiustificato, il Villa si è allontanato lentamente, con un sorriso di circostanza, mentre io mi apprestavo tutto contento a premere play. Sembra una storia a lieto fine, ma purtroppo il mio entusiasmo iniziale si è rivelato essere l’unica cosa positiva di V Wars…
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Prodotta a metà fra Canada e Stati Uniti, creata da William Laurin e Glenn Davis, e ispirata all’omonimo fumetto di Jonathan Maberry, V Wars racconta di medico ricercatore, Luther (interpretato da Somerhalder), che cerca di mettere in guardia la comunità scientifica dalla potenziale pericolosità di batteri e virus preistorici tuttora ibernati nei ghiacci perenni, e che potrebbero tornare liberi a causa del riscaldamento globale. Quando effettivamente pensa di essersi imbattuto in una di queste minacce, Luther va a dare un’occhiata con il suo amico Michael (Adrian Holmes) ed entrambi vengono esposti a una sostanza non meglio identificata. Risultato, vengono messi in quarantena e sembrano ammalarsi di una febbre che poi passa. Solo che Luther rimane com’era, mentre Michael diventa un vampiro assetato di sangue che non riesce a controllare i suoi istinti.
Naturalmente il virus non resta confinato nei due protagonisti ma si sparge rapidamente, e l’idea è quella che presto dividerà l’umanità in due, dando il via a una vera e propria guerra fra umani e vampiri.
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Ecco, io alla guerra non sono arrivato, ammesso che ci si arrivi nella prima stagione, perché dopo due episodi ho cominciato a provare il desiderio di disdire l’abbonamento a Netflix, e ho ritenuto giusto fermarmi lì.
Che poi V Wars non è che parta da un’idea terrificante, o non sappia trovare qualche momento di svolta dignitoso già nei primi episodi. Ok, uno scontro fra umani e vampiri non sarà il massimo dell’originalità, però la divisione fra amici fraterni potrebbe anche funzionare, e nel giro della prima ora e mezza Luther si trova già ad ammazzare la moglie tanto carina e premurosa, che però era diventata un mostro zannuto che minacciava di uccidere il figlio che lui aveva avuto da una relazione precedente.
Mettiamola così: senza aspettarmi la luna, speravo di trovarmi di fronte a una nuova The Strain, cioè una serie tranquilla, onesta, che non fa troppi voli pindarici ma che intrattiene con piacere. Se non “arte”, per lo meno “buon artigianato”.
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E invece no. A me dispiace passare per serial-razzista, ma V Wars ha tutti i difetti tipici delle serie canadesi, che danno sempre l’impressione di essere cugine povere di quelle americane: stessi obiettivi, ma meno mezzi e meno creatività. V Wars è funestata quasi subito da una fotografia scialba, una messa in scena che non va mai oltre il compitino, e una colonna sonora raffazzonata e spesso inesistente, che fatica tantissimo a sottolineare nel modo giusto i momenti di tensione. Gli effetti speciali sono roba che potevamo forse accettare nella prima stagione di Once Upon a Time dieci anni, ma che oggi rivelano tutta la loro pochezza spezzando qualunque tentativo di brivido horror.
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A deludere davvero, però, è la componente che dovrebbe essere meno dipendente dai soldi che metti in un progetto seriale, cioè la scrittura. Accanto a qualche buono spunto di cui si diceva sopra, la gran parte della storia e dei dialoghi di V Wars oscilla fra il banale e l’imbarazzante. Gli spiegoni non si contano, delle ripetizioni non ne parliamo, e ogni sentimento e relazione fra i personaggi è costantemente verbalizzato, come se gli spettatori fossero tutti una manica di analfabeti funzionali che vanno condotti per mano a ogni singolo passo.
L’unico dettaglio apprezzabile, in una maniera un po’ distorta, è un certo scarto fra il personaggio di Luther e l’esercito di “scienziati chiamati a salvare il mondo” con cui il cinema e la serialità ci hanno ingolfato per anni: invece di puntare sempre a sovvertire le regole perché lui è figo e gli altri no, Luther è uno che si mette in quarantena da solo quando viene esposto al batterio preistorico, e che poi denuncia l’amico e se stesso quando Michael comincia a dare di matto. Cioè, riesce davvero a dare l’idea di un povero cristo che fa una vita normale e cerca di comportarsi da bravo cittadino, salvo essere travolto dagli eventi, e questa era un’idea intelligente e un po’ diversa dal solito. Peccato sia sostanzialmente l’unica.
Perché seguire V Wars: giusto se siete così maniaci del vampirismo (o di Ian Somerhalder), da voler guardare qualunque variazione sul genere.
Perché mollare V Wars: per la pochezza di mezzi e di idee.
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