The Morning Show – Apple TV+ e la serie che voleva essere Sorkin di Marco Villa
The Morning Show è la serie di punta con cui parte Apple TV+, una serie che vorrebbe essere veloce e brillante, ma che è piena di difetti
Vi avviso: oggi si va lunghi. Si va lunghi perché non si parla di una semplice serie tv, ma di The Morning Show, che potrebbe segnare l’inizio di una nuova era nel mondo dell’audiovisivo. The Morning Show è la serie di punta con cui viene lanciato Apple TV+, servizio di contenuti di una delle aziende con la maggiore liquidità al mondo e con un giro di affari tale per cui anche la – dispendiosa – produzione televisiva può essere derubricata a investimento collaterale. Apple TV+ è partito il primo novembre, con nove produzione originali, di cui quattro serie. The Morning Show, appunto, poi See, For All Mankind e Dickinson, di cui parleremo nei prossimi giorni. Il servizio al momento si può vedere solo attraverso l’apposita app, che gira esclusivamente su computer, smartphone e tablet Apple e da browser all’indirizzo tv.apple.com/it: dopo una settimana di prova gratuita, costa 4,99 euro al mese.
Come prima cosa, partiamo proprio dalla piattaforma, che non è esattamente la migliore in circolazione. Poco intuitiva, difficile da personalizzare (a ogni episodio vanno reimpostate le preferenze di lingua e sottotitoli, per dire) e con una qualità di visione che fatica a stabilizzarsi, a livello di usabilità Apple TV+ è ancora molto lontana dai competitor più diretti, ovvero Netflix e Prime Video. La sensazione è che Apple abbia provato a creare un ambiente differente dai classici quadrotti da selezionare, ma non abbia ancora trovato le giuste misure. Certo, lascia più di un dubbio il fatto che questo arrivi da una società che ha sempre messo l’usabilità dei propri device al primo posto, ma questo discorso aprirebbe scenari che ci porterebbero parecchio lontani.
E invece è ora di tornare a casa, alla serie che vede il ritorno in televisione di Jennifer Aniston in un ruolo principale, 15 anni dopo l’ultima puntata di Friends. The Morning Show, costata ad Apple oltre 300 milioni di dollari, è una serie ambientata nel dietro le quinte di un programma televisivo mattutino e ha come showrunner Kerry Ehrin (Friday Night Lights, Bates Motel). Due conduttori, temi che vanno da politica e attualità a curiosità e tutorial di bellezza. Un contenitore a tutto tondo, che da 15 anni è condotto da Alex Levy (Jennifer Aniston) e Mitch Kessler (Steve Carell).
La serie inizia con la notizia del licenziamento di Mitch, in seguito a molestie denunciate da alcune ex colleghe di lavoro. Di colpo, tutto il mondo del The Morning Show si ritrova ribaltato e in cerca di nuovi equilibri: alle dinamiche interne alla redazione – con Alex sconvolta e terrorizzata di venire risucchiata nello scandalo e la corsa dei colleghi per accaparrarsi la sedia vuota – si aggiungono giochi di potere a livello di network, per il controllo di uno show di enorme successo, ma dai numeri calanti. Parallelamente viene mostrata la storia di Bradley Jackson (Reese Witherspoon), giornalista di provincia talentuosa e molto preparata, ma dal carattere impossibile, che diventa protagonista suo malgrado del video virale del giorno. Nel corso delle prime tre puntate, pubblicate contemporaneamente su Apple TV+ al momento del lancio, seguiamo questi due filoni, che inevitabilmente finiscono per incrociarsi.
Tanto vale togliersi subito il pensiero: per ambientazione e taglio, The Morning Show ha come inevitabile riferimento i lavori di Aaron Sorkin, che al mondo delle redazioni giornalistiche ha dedicato la sua prima e la sua ultima (per ora) serie tv, rispettivamente Sports Night e The Newsroom. L’ispirazione è palese e nel primo episodio si omaggia pure la camminata con dialogo nei corridoi che è un classico sorkiniano (il cosiddetto walk and talk), ironizzando però che al giorno d’oggi è diventata impossibile, stando tutti sempre piegati sugli smartphone a scrollare. Una citazione carina, che è però l’unico vero punto di contatto: rispetto ai lavori di Sorkin, a The Morning Show mancano ritmo, dialoghi, acutezza e personaggi. Insomma, tutto pare in tono minore. Non ci sono scambi di battute che facciano drizzare le antenne, così come non ci sono personaggi che conquistino da subito.
Al netto di questo, merita senz’altro un elogio Jennifer Aniston, bravissima nel rendere il proprio personaggio sempre a un passo dal crollo nervoso, senza però trasformarsi in macchietta, ma anzi risultando credibile sia nei momenti di down, che in quelli di ripresa. Al contrario, la Bradley Jackson di Reese Witherspoon emerge come un personaggio piatto e molto scritto, inscatolato in un continuo loop di risentimento che la porta a essere ripetitiva già dopo poche scene. Avrà senz’altro tempo di crescere, così come potrà crescere il personaggio di Steve Carell, portatore di una delle sottotrame più interessanti e sorprendenti della serie.
Come detto, Mitch Kessler viene licenziato per molestie sul luogo di lavoro, sorte toccata a tanti uomini dello spettacolo negli ultimi anni, compresi conduttori di show mattutini come Matt Lauer. Mitch si proclama innocente, afferma che non si tratta di molestie ma di rapporti consensuali, e decide di provare a intestarsi una battaglia per tracciare una linea: da una parte gli Weinstein e “quelli che si masturbano in pubblico”, dall’altra chi, come lui, ha commesso l’errore di andare a letto con donne che lavorano nel suo show. E qui la sottotrama diventa messaggio, perché si trasforma in una discussione sul MeToo. Anche esplicita, basti considerare il dialogo tra Mitch e il suo produttore, che definisce il MeToo “una reazione sproporzionata (overcorrection in originale) a secoli di comportamenti sbagliati che uomini come noi non hanno mai tenuto”.
Nessun girarci intorno, insomma, ma un approccio diverso da quello che ci saremmo aspettati: non una demonizzazione a priori del personaggio di Mitch, ma il tentativo di renderlo tridimensionale e di portare avanti un approfondimento sul modo in cui affronta quello che gli è successo, senza renderlo un mostro. Una scelta importante, che pesa ancora di più dal momento che non si tratta di una serie di un network fermo al secolo scorso, scritta da uomini in età da pensione. No, siamo sulla piattaforma di una delle aziende dichiaratamente più aperte e liberal e la serie è firmata da una donna. Nessuna auto-assoluzione da cameratismo, insomma, ma la volontà di evitare di procedere per semplificazioni. E questo, va da sé, è un enorme punto a favore, anche se a naso rischierà di attirare su The Morning Show non poche critiche, perché affronta il tema con un atteggiamento molto diverso dallo standard e che al momento mette del tutto in secondo piano le vittime e preferisce criticare l’ipocrisia formato comunicato stampa delle grandi aziende.
Mi sono dilungato molto su questo aspetto perché è senza dubbio il più stimolante della serie, quello in grado di aumentare l’interesse, anche a fronte di tre episodi che non sono certo perfetti, anzi. The Morning Show ha il merito di partire con puntate che hanno una coerenza narrativa generale, ma che zoppicano in vari punti.
Al di là delle distanze dal modello sorkiniano, il racconto manca di compattezza: spesso si ha l’impressione di una serie di vicende e temi mischiati senza una costruzione ragionata e attenta. La volontà di creare un prodotto alto, che contenesse anche messaggi di un certo peso sembra al momento aver limitato le potenzialità di The Morning Show, che esce dai primi tre episodi non certo come una serie in grado di imporsi sul panorama audiovisivo. A voler fare un collegamento, la serie sembra soffrire degli stessi difetti tecnici della piattaforma: in apparenza tutto sembra famigliare e oliato, ma in realtà i meccanismi tendono a girare male e bloccarsi.
Perché guardare The Morning Show: per l’angolazione sul tema MeToo e perché è l’ingresso di Apple in questo mondo, poche storie.
Perché mollare The Morning Show: perché Sorkin è lontano e la confusione, invece, è molto vicina.