15 Ottobre 2019 14 commenti

El Camino – Il film di Breaking Bad è una (mezza) delusione di Diego Castelli

Grande atmosfera ed effetti nostalgia, ma la storia di Jesse aggiunge poco

Copertina, On Air

El Camino, il film sequel di Breaking Bad scritto e diretto da Vince Gilligan, è uno di quei prodotti che, oltre alle normali due reazioni – mi piace / non mi piace – ne genera almeno altre due: mi è piaciuto, ma ne parlo male per darmi un tono; oppure non mi è piaciuto, ma ne parlo bene perché così liscio più facilmente il pelo ai fan integralisti.
In questi giorni sui social si vedono esempi di tutte e quattro le categorie, anche se ovviamente chi fa parte delle ultime due cerca di nasconderlo. Io speravo, come sempre, di far parte degli entusiasti puri e semplici, come quando combattevo a mani nude contro i detrattori di Game of Thrones nel corso dell’ultima stagione.
Invece, purtroppo e non senza qualche sbuffo infastidito, devo unirmi al coro dei non pochi che si son trovati almeno un po’ delusi.

Bisogna partire da un dato importante: non ho mai pensato che questo film fosse necessario. Ci sono un tot di fan di Breaking Bad che erano rimasti parzialmente insoddisfatti dalla chiusura non definitiva della storia di Jesse, che però io ho sempre trovato soddisfacente: Walter si sacrificava in un ultimo atto di decenza e Jesse riusciva a fuggire. Cosa sarebbe successo dopo non ci interessava perché era già chiaro: Jesse era venuto fuori dal mare di feci in cui stava annegando, e chiaramente ora per lui le cose sarebbero andate meglio. Cosa fosse quel “meglio” (lavorare come magazziniere? Aprire un baretto sulla spiaggia in Venezuela?) poco importava.
In secondo luogo, Breaking Bad è Walter White. Jesse è sempre stato una spalla e, per quanto fosse una spalla eccezionale, già sopravvissuta all’idea originale di farlo morire in fretta, sempre spalla rimaneva, e trasformare le spalle in protagoniste è sempre un rischio.
Allo stesso tempo, c’era chiaramente una bella curiosità, basata sulla fiducia che riponiamo nel creatore della serie. E questo non solo per la qualità di Breaking Bad, capolavoro totale, ma anche per quella di Better Call Saul, che guarda caso è una serie incentrata su un personaggio che una volta era una spalla (anzi, una spallina), e che ora è una chicca imperdibile per tutti i fan di Breaking Bad e non solo.

E invece, purtroppo, qualcosa non ha funzionato. E da qui in poi si fanno SPOILER, quindi siete avvisati.
Per dirla in soldoni, El Camino è il pezzettino mancante della storia, cioè il modo in cui Jesse, sfuggito a tutti i cattivi di sto mondo, riesce a mettere la parola fine alla sua esistenza precedente, per cominciarne una nuova in Alaska. L’intento del film è in qualche modo quello di rassicurare chi ancora temeva per il ragazzo che sì, starà bene e non finirà ammazzato fra due giorni. Solo che era una cosa che potevamo dedurre da soli alla fine di Breaking Bad, e a cui ora arriviamo senza altri particolari guizzi.
Perché in fondo il peggior limite di El Camino è proprio questo: non aggiunge niente di davvero rilevante. Nella sua fuga, Jesse incontra alcuni vecchi amici e si scontra con vecchi nemici, e nel frattempo questa vicenda post-Walter è inframmezzata da vari flashback che raccontano momenti mai visti di Breaking Bad. Momenti che però, ancora una volta, non aggiungono granché alla storia che già conosciamo, né in termini narrativi né tematici.
Il titolo stesso del film è in qualche modo esemplificativo, visto che “El Camino” è il nome dell’auto di Jesse, che però durante il film non è caricata di alcun senso specifico che vada oltre l’essere… la macchina di Jesse. E se è vero, come mi fanno notare su facebook, che il senso è anche quello de “il cammino”, l’idea che in questo nuovo film non ci sia alcun cammino “nuovo” mi lascia ancora più l’amaro in bocca. Bastava chiamarlo “Pinkman” per avere una cosa tanto banale quanto sensata.

Certo, El Camino è una bella botta di nostalgia. In un modo o nell’altro, Gilligan riesce a inserire un sacco di personaggi e tormentoni che hanno fatto la fortuna di Breaking Bad. Torna lo stesso Walter, naturalmente, anche se il fatto che si veda un po’ il segno della pelata finta rovina un po’ l’atmosfera. Torna Mike, torna anche Kryster Ritter nei panni (silenziosi e poetici) di Jane. Ma tornano anche i riferimenti ai mitici “magnets”, e Jesse trova il tempo di sparare un estemporaneo “bitch”, che fa sempre piacere.
Se volessimo essere generosi e cercare di dare un senso al tutto, l’unione della fatica con cui Jesse cerca di salvarsi definitivamente e dei flashback con cui viene in qualche modo ricostruita tutta la sua vicenda, funzionano come una specie di momento di riflessione: Jesse resta uno dei pochi sopravvissuti di Breaking Bad, e mentre Saul Goodman è destinato a una vita in bianco e nero, lui invece ha tempo di rimasticare la sua esperienza per cavarne fuori un ultimo necessario sacrificio (illude i genitori sulla possibilità di costituirsi, salvo poi fuggire), a cui fa seguito una vera e propria rinascita del gelo.

Ma è poca roba. Ed è proprio la frequenza dei flashback, quasi sempre piuttosto poveri dal punto di vista contenutistico, a rivelare il fatto che ciò che non è flashback è niente altro che un tentativo di trovare i soldi necessari a scappare. Non c’è né il tempo né la voglia di un nuovo percorso completo, solo la chiusura di un cerchio che però forse era già perfettamente chiuso di suo.
Si vocifera che il film sia stato prodotto anche per aiutare Aaron Paul, che pare non se la passi benissimo dopo che la sua carriera post-Breaking Bad non è mai davvero decollata, ma l’impressione fastidiosa è sempre quella: che questo piccolo seguito/spin-off non ci abbia detto nulla che non sapessimo già, o che potessimo dedurre da soli. Tanto più che questa consapevolezza stride vistosamente con la ricchezza dello spin-off “vero”, cioè Better Call Saul.

Detto tutto questo, non sarebbe nemmeno giusto pensare che sia tutto da buttare, perché così non è. Se El Camino non rappresenta una grande prova di Gilligan in quanto sceneggiatore, poco o nulla gli si può dire in veste di regista. Il film riprende l’amatissimo stile di Breaking Bad e ripropone quei lunghi silenzi e quella periferia polverosa che ha fatto la fortuna della serie madre (e che per certi versi si sposava con lo stile complessivo di AMC, che anche con Mad Men e The Walking Dead cavalcava l’onda di una qualità lenta e contemplativa).
Gilligan sfrutta bene il volto sofferente di Aaron Paul nelle sue varie declinazioni temporali (sbarbato, cicatrizzato, barbone) per scandire le tappe del suo percorso, trovando qui e là momenti di lirismo improvviso, come nel ricordo di Jane in quel campo-controcampo in macchina, verso il finale.

Per non parlare di quelle (poche ma buone) scene che avrà davvero senso ricordare, come la sparatoria in stile western con cui Jesse si libera definitivamente dei suoi ultimi nemici, trasmettendoci anche un sapore particolare: il duello “sleale” in cui Jesse usa una seconda pistola nascosta per uccidere il suo avversario ci ricorda che lui, malgrado sia diventato protagonista e venga da una storia fatta di molte ferite, non è (o non è ancora) un “buono”, non lo è mai stato, e al massimo possiamo considerarlo un sopravvissuto che è tuttora disposto a tutto pur di portare a casa la pelle. Comprensibile, ma non certo eroico.
È solo alla fine, quando finalmente Jesse guida attraverso la neve che fa tanto tabula rasa, foglio bianco, che forse si apre una possibilità di vera redenzione, di cui però non sapremo mai niente, perché a quel punto la storia che conta sarà davvero finita.

Insomma, non tutto da buttare, con qualche finestra di senso e qualità che si apre qui e là nelle due ore di film. Il resto, però, è solo un amarcord nostalgico quando va bene, e un storiella di poco contenuto quando va male.
Come sempre, dipende anche da come uno si approccia: se l’idea di rivedere Walter White anche per un solo minuto vi fa star svegli la notte, allora El Camino offre quel poco che vi serve a essere felici. Ma se, come molti in questi giorni, avete osato sperare in un racconto più denso e articolato, che almeno ricordasse l’epica di Breaking Bad, allora mi sa che si poteva fare di meglio. Oppure ci si poteva accorgere che no, sapere cosa fa Jesse Pinkman nei tre giorni dopo la fine di Breaking Bad, tutto sommato non serve a granché.

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