Years and Years: un commento finale per un’altra miniserie eccezionale di Diego Castelli
Tanto da imparare, e tanto da temere in Years and Years
Prima o poi qualcuno più attrezzato, saggio e paziente di noi scriverà un bel pezzo (o magari l’ha già scritto) su come negli ultimi mesi stiamo assistendo a un’improvvisa rifioritura del genere delle miniserie, e segnatamente delle miniserie ispirate a fatti reali, del passato o di un possibile futuro. E dopo aver notato questo trend (composto per esempio da Chernobyl, When They See Us, City on a Hill), quel qualcuno più saggio e paziente si farà pure qualche domanda sul perché così tanta qualità stia finendo proprio in quel formato. E magari la risposta avrà qualcosa a che fare con la necessità, nei tempi in cui viviamo, di rileggere stralci del nostro passato per cercare risposte a domande che non sapevamo ci saremmo mai posti, di fronte a situazioni politiche, economiche, etiche, ambientali che, in modo sempre più pressante, ci chiedono di fare un punto della situazione, ripensando a come viviamo e come abbiamo vissuto finora in quanto Occidente.
Dopo aver visto il finale di Years and Years, la serie di BBC creata da Russell T Davies, c’è da pensare che essa sia il punto di arrivo (o forse di ulteriore partenza) di un discorso complessivo che nessuno ha coordinato, ma che tutti stanno in qualche modo pronunciando.
Per i dettagli preliminari sulla serie vi rimando alla recensione del pilot scritta dalla nostra Francesca Mottola. Anche perché questo è un articolo abbastanza spoileroso, e do un po’ per scontato che voi che lo state leggendo già sappiate tutto o quasi quello che è successo.
Ci tenevo però a fare un commento finale perché, dopo quel pilot così denso di storie, personaggi e atmosfere, la serie ha continuato a far scorrere il tempo della narrazione accumulando speculazioni sempre più ardite sul futuro del Regno Unito e del mondo intero, senza però mai perdere di vista un filo rosso legato al presente, e un interesse molto preciso per le singole vite dei protagonisti.
Ed è qui che va cercato il vero significato di Years and Years. Un significato che, per la verità, è piuttosto esplicito: nonna Muriel, nell’ultimo episodio, accusa la sua famiglia di essere, metaforicamente, la causa del disastro a cui stanno assistendo, un disastro fatto di mala politica, populismo, campi di concentramento, deportazioni, bombe nucleari. “Perché mai sarebbe colpa nostra?” si chiedono i suoi familiari, che negli ultimi anni sono stati costretti più che altro a sopravvivere, trovando lavori umilissimi dopo aver perso quelli per cui avevano studiato, e dopo aver visto la morte di un fratello. E la risposta di Muriel semplice e chiara, può essere riassunta così: “è colpa vostra perché sapevate quello che stava accadendo, e non avete fatto niente”.
Il messaggio politico di Years and Years è dunque limpidissimo, per nulla sfumato: in questo momento, nel presente degli spettatori, l’Occidente è preda di una spirale di follia in cui una politica populista e demagogica è insieme causa e sintomo di una spericolata discesa negli abissi, in cui gli elettori vengono facilmente manipolati da chi non ha niente da dire, ma lo dice bene, in cui ogni solidarietà umana è stata superata da un individualismo simil-patriottico privo di senso, e in cui equilibri talvolta secolari fra nazioni e popoli vengono sconvolti dalla pura e semplice ignoranza. Quello che la serie fa, a conti fatti, è mostrare le possibili conseguenze di quella spirale negativa.
Se però la narrazione di Years and Years fosse un semplice contenitore per un messaggio politico, avrebbe poca rilevanza. Potremmo condividere o meno il messaggio, ma dal punto di vista artistico non aggiungerebbe niente a un talk show condotto da Floris.
Lo scarto però esiste, ed è poderoso. Quando si arriva al discorso di Muriel, che sveglia le coscienze dei nipoti e li porta ad agire per il bene comune come mai avevano fatto prima, gli spettatori non cascano dal pero, perché ciò che l’anziana donna rivela non è una sorpresa, ma la semplice constatazione di ciò che abbiamo visto nelle settimane precedenti.
Al cuore di Years and Years c’è una narrazione doppia, che procede su due binari apparentemente paralleli: da una parte la storia politica d’Inghilterra, segnata in particolar modo dall’ascesa di Vivianne Rook (chissà se il suo partito delle 4 stelle è ispirato a certi movimenti nostrani…), dall’altra la vita quotidiana dei Lyons, che da quella storia politica è chiaramente influenzata (Stephen che perde il lavoro, Daniel che perde la vita per aiutare l’amato deportato), ma da cui rimane in qualche modo slegata.
Nei cinque episodi che precedono il finale, i Lyons hanno il loro daffare per tenere insieme i rapporti reciproci, conservare il lavoro, trovare di che arrivare a fine mese, gestire gli amici, gli amanti, le figlie in vena di transumanesimo. Parliamo insomma di persone normali, con i loro problemi, in cui è facilissimo identificarsi, anche per quanto riguarda il rapporto con il resto del mondo: i Lyons usano soprattutto la tv e internet per tenersi informati su quanto accade fuori dalle loro case. Al massimo vanno ai comizi di Vivianne Rook. E questa attitudine prettamente “spettatoriale”, che potremmo riassumere con un “ho già i cazzi miei a cui pensare, il resto lo guardo in tv”, è esattamente il motivo della degenerazione del paese.
Quando Muriel arriva ad accusare i nipoti di essere responsabili del disfacimento politico-morale della nazione, allo spettatore non arriva solo l’opinione di una nonna, bensì l’esplicitazione di ciò che ha visto fino a quel momento: persone così prese dalla loro individuale quotidianità, da aver perso di vista il quadro generale, che a suo tempo avrebbero potuto influenzare molto più facilmente con un voto, una manifestazione, una petizione, senza dover arrivare alla rivoluzione quasi militare del finale di stagione.
Il post-discorso di Muriel è la parte più fictionosa della miniserie, quando praticamente tutti i Lyons trovano un ruolo chiave della rivolta che porta alla deposizione della Rook e ai primi barlumi di speranza per la società. Ma il tema non è quello, perché Years and Years, nel risolvere la questione in modo vagamente eroico, non ci toglie alcuna responsabilità: la miniserie racconta un futuro possibile, e distopico, con l’unico scopo di metterci in guardia su ciò che oggi, qui e ora, stiamo già facendo per arrivarci, che non è “comportarci male” (sarebbe troppo facile) quanto semplicemente fregarcene per pensare ognuno ai propri comodi.
E per quanto tutti i racconti distopici abbiano, fra i loro obiettivi, quello di mettere in guardia i lettori/spettatori del presente dai possibili rischi della loro condotta, raramente ci è capitato di vedere uno show capace di mostrarci con tale chiarezza quanta parte di ciò che consideriamo umano e normale, sia in realtà parte del problema.
In bocca al lupo a tutti.