City on a Hill – Kevin Bacon in una serie di qualità altissima di Marco Villa
Una città corrotta, un agente FBI ancora più corrotto e un procuratore che vuole fare la rivoluzione: City on a Hill è una bella bombetta
City on a Hill inizia senza introduzioni. Al primo secondo siamo già dentro la storia: due persone che camminano e parlano fitto fitto di cose che non sappiamo, con qualche piccolo riferimento per spiegare il contesto, ma senza esagerare. Uno dei due è Jackie Rohr, un agente dell’FBI interpretato da Kevin Bacon. È una di quelle figure borderline che sembrano uscite da un libro di Don Winslow, personaggi che sono dalla parte dei buoni, ma che buoni non sono, perché per raggiungere i propri scopi fanno di tutto, dal ricatto in su. Rohr agisce in un mondo sporchissimo: siamo a Boston, alla fine degli anni ‘80, una città in cui politica, magistratura e polizia si sostengono a vicenda in un gioco di corruzioni e coperture.
Se c’è uno che agisce al limite, deve esserci per forza qualcuno che vuole fare tutto a modino: è Decourcy Ward (Aldis Hodge), procuratore super-idealista, che si mette in testa di ripulire la città e dare via a una sorta di rivoluzione. I due inizialmente si scontrano, ma finiscono per trovare un punto di equilibrio che li spingerà a collaborare per fermare un gruppo di malavitosi di periferia, guidati da quella faccia perfetta da cattivo che è Jonathan Tucker, protagonista di The Black Donnellys, una serie bellissima e molto sfortunata di cui parlammo agli inizia di Serial Minds.
City on a Hill è una serie classica, che si mette al punto di incontro tra drama, thriller e noir. Partita su Showtime il 16 giugno (e in arrivo a settembre su Sky in Italia), ha gli amichetti Matt Damon e Ben Affleck tra i produttori, mentre la regia del primo episodio è di un veterano come Michael Cuesta. Proprio dalla regia è il caso di partire, perché City on a Hill è un racconto che non si allontana mai dai propri personaggi: pochissime inquadrature larghe, anche quelle più movimentate sono sempre realizzate rimanendo incollati ai volti e ai corpi degli attori. Perché di fatto City on a Hill è una storia di personaggi e di motivazioni usate per raggiungere i propri scopi.
A livello di scrittura, nel primo episodio appare evidente il tentativo del creatore Chuck MacLean di ribaltare il sentimento del pubblico nei confronti dei personaggi principali: Rohr è un bastardo, l’idealista Ward è quasi irritante nel suo essere mister perfezione, mentre al contrario il criminale Frankie Ryan è la figura per cui spendere due lire di simpatia. Di giorno lavora in un supermercato, di notte diventa rapinatore disposto a tutto, anche a uccidere, per provare a portare a casa qualche soldo in più per migliorare il bilancio famigliare. La famiglia, del resto, è l’elemento cruciale di questa sottotrama, con la criminalità mostrata come unico sbocco possibile per poter essere genitori in grado di garantire una vita dignitosa ai propri figli.
Nel corso delle sette puntate City on a Hill giocherà a portare i tre personaggi principali in una zona sempre più grigia, sfumando i confini tra ciò che è lecito e ciò che non si può e non si deve fare. Il tutto senza indulgere nella tentazione del Grande Affresco di Un’Epoca, che sarebbe la peggiore deriva possibile per una serie di questo tipo. City on a Hill al contrario ha la forza per imporsi come una storia potente, che già dal pilot si propone con forza. Per i 4 che l’hanno vista e con le debite proporzioni, il mondo di riferimento potrebbe essere Show Me A Hero di David Simon per HBO, mica poco.
Perché guardare City on a Hill: per i livelli molto alti di scrittura e regia
Perché mollare City on a Hill: perché non è il classico thrillerone