Good Omens: Prime Video e Neil Gaiman reggono le aspettative di Diego Castelli
La miniserie tratta da Buona Apocalisse a tutti è divertente, fresca e intelligente. Come speravamo.
Era una delle novità più interessanti di questo periodo e, nel suo piccolo (è una miniserie di sei episodi), non ha deluso.
Parliamo di Good Omens, il racconto comico-fantasy-religioso tratto dall’omonimo romanzo di Terry Pratchett e Neil Gaiman, tradotto in italiano come “Buona apocalisse a tutti” e prodotto da Amazon per la sua piattaforma Prime Video.
Uno show molto atteso – grazie alla fama del romanzo, dei suoi autori, e per il cast coinvolto – che risponde a un’annosa domanda: cosa succederebbe se l’Apocalisse fosse alle porte e una strana coppia composta da un angelo e un diavolo decidesse di provare a impedirla?
Ok, magari la questione non è poi così annosa, ma è comunque una domanda interessante, no?
I due protagonisti sono Azraphel, interpretato dal Michael Sheen di Masters of Sex, un angelo che vive con l’umanità praticamente dall’alba dei tempi e ha maturato un certo gusto per le cose terrene, tra cui la buona cucina; e Crawley (interpretato da David Tennant, che spero di non dover dire chi è), un diavolo che iniziò la sua carriera nei panni del serpente che convinse Eva a mangiare la famosa mela, e che ora fa una vita da fighetto super-stiloso che ogni tanto piazza qualche bell’inganno e cattiveria ai danni del genere umano, anche se poi gli umani sono sempre più bravi di lui a farsi del male fra di loro.
Azraphel e Crawley, sulla carta, sono nemici giurati, e ogni azione dell’uno dovrebbe essere votata al fallimento di quelle dell’altro, ma in realtà, nel corso dei millenni, i due hanno maturato una strana e precaria amicizia, che si basa su un sentimento comune e per entrambi probabilmente imprevisto: un certo amore per l’umanità, e un discreto fastidio all’idea che venga spazzata via.
Nell’apprendere che l’Apocalisse è vicina (Crawley ha anche contribuito all’arrivo dell’Anticristo, che al momento è un ragazzino di 11 anni in attesa di scoprire i propri poteri), i due decidono di agire contro i rispettivi superiori, nella speranza che con qualche magheggio si possa impedire una guerra che le alte sfere del Paradiso e dell’Inferno sembrano non solo volere, ma anche considerare inevitabile, ma che giocoforza causerebbe lo sterminio di tutti i poveri umani.
Da qui parte un’avventura che non serve ricostruire nei dettagli, qualora non aveste ancora visto la miniserie, ma che si può consigliare con grande serenità.
Scritta dallo stesso Gaiman e fedelissima all’opera originale (a volte perfino nelle singole battute), Good Omens è un gioiellino di comicità e fantasia, capace di stupire quasi a ogni scena.
Al di là del singolo effetto speciale o del particolare twist, alla base dell’efficacia della serie c’è una forma parodica molto british (diversi critici hanno avanzato il paragone con i mitici Monty Phyton) che prevede la costruzione di un’impalcatura epica, perfino mistica (si parla di Dio, di angeli, diavoli, del futuro del mondo, dell’Anticristo), dandogli però una patina quotidiana, quasi impiegatizia, in cui anche le creature soprannaturali sono impastoiate in un gioco burocratico che parte dall’ineffabilità del progetto di Dio, e a cascata si articola in una lunga serie di uffici, gerarchie, messaggi in codice, strampalati cacciatori di streghe e demoni puzzolenti.
Incastrando qui e là alcune deviazioni dal romanzo, buone per inserire qualche attore di spessore (come l’arcangelo Gabriele interpretato da Jon Hamm) o per tradurre in audiovisivo la voce narrante del libro (nella miniserie Dio ci parla direttamente, con la voce di Francis McDormand), Gaiman rimane però molto fedele a un’opera letteraria la cui forza sta proprio nella sua anima surreale: leggiamo/guardiamo una storia che parla di personaggi e leggende millenarie, spesso caricate da un peso clericale non indifferente, che qui diventano strumenti di un gioco buffo e sorprendente, che non punta quasi mai alla risata sguaiata, quanto piuttosto alla divertita soddisfazione di chi ama la buona creatività, specie quando viene usata per prendere un po’ in giro istituzioni grigie e pesanti.
Il tono della miniserie è settato fin dall’inizio, quando la voce di Dio ci svela che il mondo è nato 6000 anni fa circa, e i fossili di dinosauro non sono altro che uno scherzo con cui far uscire di testa gli umani. Da lì in poi non c’è un solo elemento della storia che, partendo da una base più o meno “normale”, non venga ribaltato e storpiato in una versione assurda e folle di se stesso.
I personaggi sono tanti, gli eventi pure, e si salta spesso da una linea narrativa all’altra, eppure, nonostante questa leggera cacofonia, la trama rimane solida e salda, e non c’è quasi mai il rischio di perdere il filo.
Non pensate, però, che sia tutto un gioco linguistico e visivo fine a se stesso. Sotteso alla miniserie (forse più ancora che al romanzo) c’è un vibrante messaggio pacifista, e un’appassionata difesa dell’umana imperfezione. A conti fatti, le immacolate creature celestiali sono noiose e arroganti, mentre i diavoli troppo brutti e corrotti, entrambi incapaci di apprezzare la bellezza dell’imprevedibilità, tutti tesi a seguire il percorso prefissato da un destino che sembra dominare anche gli umani e i loro difensori (Azraphel e Crawley), ma a cui i “buoni” cercano in ogni modo di opporsi in nome della propria autodeterminazione. In ogni piccolo peccato di gola di Azraphel, in ogni sgasata di auto da parte di Crawley, e infine nella loro improbabile ma salda amicizia, c’è una grande passione per le piccole gioie della vita, soprattutto per quelle impreviste, che non meritano di essere spazzate via da una guerra inutile.
In questo appare saggia l’idea di trasformare il romanzo in miniserie: c’è tutto quello che ci deve essere, senza per questo finire in sbrodolamenti di sorta, e tutte le parti in causa hanno potuto dare il meglio di sé, a cominciare da Sheen e Tennant: i due riescono a trasmettere la loro profonda diversità (giocata anche su semplici toni cromatici bianco/rosso), ma anche quella complicità necessaria a rendere plausibile l’alleanza di due creature così agli antipodi.
L’unico problema, con Good Omens, è che finisce. Il che può spiacere, visto che ci vuole davvero poco ad affezionarsi all’atmosfera deliziosamente assurda della serie, sempre fresca e sopra le righe.
Ma alla fine si capisce che è giusto così: questa è la storia che andava raccontata, dall’inizio alla fine. Allungarla tanto per allungarla non avrebbe avuto molto senso.
Perché seguire Good Omens: La miniserie, molto fedele al romanzo, ne restituisce il meglio, cioè la parodia surreale e intelligente del fantasy a sfondo religioso.
Perché mollare Good Omens: se non vi piacciono le parodie molto british, tutte surrealtà e personaggi assurdi.