Game of Thrones ultima stagione – Series Finale di Diego Castelli
Il receriassunto della fine di un’era
SPOILER SU… BEH, TUTTA LA SERIE DI GAME OF THRONES
SIGH
Chi ha letto Il Signore degli Anelli, ma in realtà pure chi ha visto solo i film, sa bene che il celeberrimo romanzo di Tolkien non termina al momento della sconfitta di Sauron, quando l’Anello del Potere cade nel magma del Monte Fato. Fra quel momento e l’effettiva parola fine ci sono molte decine di pagine in cui succede assai poco, se non un lento e a tratti malinconico congedo da tutti i protagonisti.
È la prima cosa a cui ho pensato quando ho visto che Game of Thrones, per certi versi, finisce mezz’ora abbondante prima dei titoli di coda. Con un percorso volutamente anticlimatico, in questo debitore del fantasy più classico, è giunta a conclusione una delle saghe serial-televisive più importanti della storia. E se certamente ne riparleremo nei prossimi giorni in termini più generali, magari a mente più fredda, qui e ora dobbiamo procedere con il receriassunto di una puntata insieme prevista e sorprendente.
Una puntata nuovamente eccezionale dal punto di vista visivo, elemento questo di cui si continua a parlare troppo poco, e una puntata che ha lavorato splendidamente sui simboli e sulle metafore, capace di inquadrare anni di storie in una prospettiva globale sia dal punto di vista dei singoli personaggi, sia da quello più generale di un “messaggio” da lasciare allo spettatore.
Come accaduto in tutta la stagione, l’episodio si presta poi a qualche critica dal punto di vista della compressione degli eventi, lasciando qui e là la sensazione che alcune dinamiche avrebbero potuto dare linfa a una stagione intera. Al termine della quale, però, altre cose sarebbero successe e altre linee sarebbero nate.
Intanto, l’epopea di Westeros è finita, e oggi siamo tutti un po’ più poveri.
Raramente abbiamo visto un previously così centrato sugli avvenimenti dell’episodio immediatamente precedente. La sensazione che trasmette è quella di essere ancora lì, fra le macerie di King’s Landing. Il passato conta sempre meno, abbiamo fretta di vedere cosa accadrà nel presente.
Prendiamoci un momento anche per sottolineare l’emozione nell’ascoltare la sigla per l’ultima volta. Lo confesso, in questi anni spesso lo skippata. Stavolta no.
L’inizio è per Tyrion, che cammina nella città distrutta e fumante, attorniato da cadaveri e futuri tali. L’amarezza è palpabile, il silenzio irreale, il senso di fallimento evidente.
Per le strade di Approdo la violenza non è finita, e Verme Grigio è pronto a giustiziare alcuni soldati prigionieri. Jon lo vede e cerca di fermarlo, spalleggiato da Davos. La guerra è vinta, i prigionieri sono inermi e non costituiscono più un pericolo. “Respirano”, ribatte Verme Grigio, sottolineando che gli ordini della regina sono chiari e vanno portati fino in fondo. La spietatezza e la lealtà totale di Verme a Daenerys serviranno anche alla fine, in fase di spartizione dei poteri, ma hanno prima di tutto il compito di completare (non senza una buona dose di rimpianto) il percorso del personaggio: Verme Grigio non aveva emozioni o scopi che non fossero il suo dovere, ed era riuscito a tornare umano solo grazie a Missandei. Morta lei, all’Immacolato non è rimasto altro che tornare ciò che era.
Ad ogni modo, per evitare lotte fratricide (ma soprattutto di essere trafitto dagli Immacolati), Jon è costretto ad allontanarsi, lasciando proseguire le esecuzioni.
Possiamo già dirci che, come alcuni prevedevano o speravano, Tyrion è il grande protagonista del finale di Game of Thrones, quello che sopravvive per tutta la serie a dispetto delle sue difficoltà (prima di tutto fisiche) e che alla fine consegna ai popoli di Westeros una strada precisa da seguire. In questa scena gli viene concesso un ultimo saluto ai fratelli: Tyrion va nelle segrete del castello e trova la frana che ha ucciso Jaime e Cersei. A spuntare per prima dalle macerie è la mano finta di Jaime, grazie alla quale Tyrion trova i due corpi, ancora abbracciati. Una scena toccante da un punto di vista familiare, ma che riverbera anche una sorta di eco politica: dei tanti che abbiamo visto scorrere sullo schermo in questi anni, il piccolo e bistrattato Tyrion è l’ultimo Lannister rimasto, proprio lui che era considerato dai suoi stessi parenti come il meno meritevole di sopravvivenza.
Per un attimo vediamo Arya ancora immersa nella distruzione di King’s Landing. Il cavallo non c’è più, l’aveva usato solo per fare scena, è una che ci tiene. Nel frattempo Jon sale al castello in una delle tante inquadrature memorabili di questo episodio: l’uomo si fa largo fra i dothraki rimasti e cammina verso il grande vessillo dei Targaryen, rosso su fondo nero, che in questa immagine a tutto fa pensare tranne che a una simpatica liberazione dei popoli oppressi. Se ci fosse Capitan America penserebbe a una base dell’Hydra.
Jon arriva in cima alle scale e vede Daenerys. Dietro di lei, il drago spiega le ali, che in quel momento sembrano spuntare dalle spalle della regina, a darle giusto quel piccolo tocco di demoniaco.
Daenerys è ormai vestita di nero, giusto per non lasciare dubbi sul suo passaggio al lato oscuro, e rivolge ai suoi soldati un discorso abbastanza delirante in cui le promesse di libertà per tutti i popoli del mondo cozzano vistosamente con una messa in scena da adunata nazista.
Si avvicina Tyrion, che ne ha i proverbiali coglioni pieni e non ha più intenzione di prestarsi alla follia della regina. Lei lo accusa di tradimento per aver liberato Jaime, e lui ribatte ricordandole che ha appena massacrato una città intera. Il gesto teatrale con cui si toglie la spilla da primo cavaliere, gettandola a terra e rinnegando la sua lealtà a Daenerys, è solo il primo di una serie di applausi che il buon Lannister meriterà da qui a fine episodio. Ovviamente però la regina lo fa arrestare.
Arya compare accanto a Jon quasi per magia, facendolo sobbalzare. La giovane Stark parla senza peli sulla lingua: Daenerys è un’assassina, e per lei Jon (ma pure Sansa) rappresenterà sempre una minaccia. Jon cerca di rimanere aggrappato al motivetto “è la nostra regina, è la nostra regina”, ma ormai appare sempre più una difesa d’ufficio.
Arriviamo a un momento cardine dell’episodio. Un lungo e denso dialogo fra Tyrion e Jon, in cui sostanzialmente il nano convince il legittimo erede di casa Targaryen a prendere finalmente una decisione contro Daenerys.
A colpire, all’inizio, è il tono di Tyrion, che sembra improvvisamente tornato l’ironico folletto di un tempo, come se il naufragio della sua versione più “seria” (quella che aveva offerto il proprio supporto a Daenerys) avesse lasciato indietro solo il buon vecchio mastro di vini e frequentatore di bordelli. Il pensiero che rivolge alle ceneri di Varys, pronte a dire alle sue “te l’avevo detto”, strappa un lungo sorriso malinconico.
La dinamica è chiara: Jon è un guerriero e, a dispetto del suo nobile lignaggio, resta un uomo semplice, che tende a ragionare per assoluti. È quindi Tyrion, meno abile di lui con la spada ma assai più ferrato nell’uso dell’intelletto, a doverlo convincere di cosa c’è sul piatto. Le parole che usa per descrivere la corruzione che il potere ha esercitato su Daenerys sono splendide. Per esempio, chiede a Jon di ricordare il discorso appena pronunciato dalla regina, che sembra poter avere una sola conseguenza: Daenerys continuerà a liberare, liberare, e liberare, finché non regnerà su tutti.
Con le parole di Tyrion, mostrando un’abilità quasi profetica, gli sceneggiatori sembrano rispondere alle critiche di questi giorni, che ovviamente non potevano conoscere al momento di girare l’episodio. Di fronte alle rimostranze di Jon, che cerca di giustificare Daenerys come meglio può, Tyrion ricostruisce il percorso psicologico di lei, sottolineando come la quantità di carneficine compiute dalla regina – carneficine ai danni di “cattivi”, per cui era sempre stata applaudita – l’abbiano portata a pensare di essere sempre e comunque nel giusto. Di fatto Tyrion sta accusando Daenerys di delirio di onnipotenza, e Jon pare troppo ottuso per arrivarci.
“L’amore è la morte del dovere”, dice Jon citando il maestro Aemon, per venire dietro a Tyrion che denunciava i propri errori, mossi dalla fede in Daenerys. Ma il nano ribatte ribaltando la frase: a volte il dovere è la morte dell’amore, che alle nostre orecchie suona come una specie di ultima chiamata alle armi per Jon. L’ex bastardo di Ned Stark, però, è ancora restio a cedere, e sembra addirittura pronto a morire se questo farà contenta la regina. Qui allora Tyrion cala l’asso che è già servito altre volte: ricorda a Jon che le sue sorelle non si inginocchieranno mai a questa Daenerys, lasciando implicitamente presagire che anche loro potrebbero essere passate a fil di spada. E questo, già lo sappiamo, è un tema che per Jon è più importante di tutto.
Entriamo così in un’altra scena memorabile. Jon vuole andare da Daenerys e sulla sua strada trova Drogon, che lo fissa per un po’ e poi lo lascia passare. Il dettaglio non è secondario: in questo momento ci fa pensare che non possa succedere nulla di troppo crudo, visto che il drago giudica Jon innocuo; quando poi qualcosa di crudo succederà, ripensare a questo momento ci farà riflettere sul ruolo e sulla personalità del rettilone.
Per la prima volta vediamo Daenerys in prossimità del trono. La stanza è distrutta, ma la regina se ne frega: la vicinanza al trono la galvanizza, le strappa sorrisetti, le fa accarezzare le else delle spade con fremito quasi erotico. Il contrasto fra la devastazione che la circonda e il piacere che prova ad essere al cospetto del tanto agognato trono è il simbolo perfetto del suo cambiamento: la Daenerys di una volta (o quello che una volta credevamo essere Daenerys) se ne sarebbe fregata di un “oggetto” di per sé inutile come il trono di spade, mentre ora lo fissa con bramosia patologica.
Jon arriva nella stanza, e Daenerys gli parla come se niente fosse, allungando vecchi ricordi di lei e del fratello. Ma Jon la inchioda alle sue responsabilità, ricordandole degli innocenti uccisi. La regina ormai non ci sta più con la testa, e si trincera dietro le colpe degli altri, prima di tutte quelle di Cersei che ha usati gli innocenti come un’arma contro di lei.
In questo momento il tema non è tanto quello della pericolosità di Jon in quanto erede della dinastia Targaryen, ed è giusto che sia così, perché altrimenti ciò che succede immediatamente dopo potrebbe apparire come semplice istinto di sopravvivenza da parte dell’uomo. Così non è, perché Daenerys ribadisce di voler governare insieme a Jon, e a scontrarsi non sono tanto due amanti, o due parenti, ma due prospettive sulla vita, due diversi modi di pensare. Jon vuole un mondo di misericordia, e Daenerys dice di volere la stessa cosa, ma lei è disposta a usare tutta la violenza necessaria per arrivarci. La domanda che aleggia, semplice ma potente, è: può un mondo di misericordia e giustizia essere costruito sul sangue di chi non era d’accordo?
Jon porta un elemento di relativismo, dicendo che ciò che è giusto per loro, potrebbe non essere giusto per altri, e Daenerys ribatte con un “gli altri non hanno possibilità di scegliere”.
A questo punto Jon piazza un “sarai sempre la mia regina” che ci stranisce: ma come, ci sembravi così pronto a fare ciò che è giusto. Pochi secondi, però, e sotto la musica da romanzone rosa si sente il rumore di una lama che penetra in un corpo. Una lama di chi?? Nel corpo DI CHI???
Il primo pensiero è che Daenerys abbia ucciso Jon, cosa che potrebbe far partire altre tre stagioni con Sansa che muove contro King’s Landing, Arya che ammazza il drago da sola, a mani nude e con un braccio legato dietro la schiena, e via dicendo. Poi però ci ricordiamo che manca mezz’ora alla fine della serie, e quindi diventa più ragionevole che sia stato lui a colpire a lei.
Questo è il punto dell’episodio in cui maggiormente di sente la fretta di chiudere. Ha tutto il suo bel senso, ma l’idea che manchi un episodiello in cui Jon si strugge un po’ di più per la futura decisione rimane.
Quasi chiamato dalla morte della madre, Drogon arriva sulla scena, alle spalle di Jon.
Madonna che ansia.
Nella scena più tenera e strappacuore della stagione tutta, il drago saggia col muso il corpo di Daenerys, verificandone la morte. Se solo avesse il faccino più carino, sarebbe da versare fiumi di lacrime.
Con davanti il cadavere della madre, Drogon alza la testa e punta Jon, che dice le sue ultime preghiere. Il drago carica le fiamme nella gola, ma non colpisce l’umano, bensì il trono di spade. In una vampata di fuoco, l’oggetto del millenario desiderio di nobili e guerrieri fonde nel calore soprannaturale. Poi Drogon prende il corpo dai Daenerys e se ne va.
La scena lascia volutamente qualche interrogativo sulla mossa del drago, e già si sprecano i divertenti meme su Drogon-rinomato-statista che, con acume superiore a quello degli umani, piazza il gesto dal grande valore politico. Se non volessimo dare troppo spessore all’intelligenza “umana” della bestia, però, potrebbe bastare il fatto che Drogon ha percepito il cambiamento profondo della madre, che considerava ormai smarrita per sempre, riconoscendo nella cupidigia per il trono il motore di quello smarrimento.
Ricordiamo inoltre quello che dicevamo prima: pochi minuti prima dell’assassinio, Drogon valuta attentamente Jon e lo lascia passare. Non avrebbe senso pensare a un errore di valutazione, quanto piuttosto all’accettazione del fatto che Jon (un altro Targaryen, peraltro) sta andando a fare ciò che ormai è inevitabile.
Torniamo a Tyrion, in cella. Verme Grigio lo va a prendere e lo porta al cospetto di un nutrito gruppo di vecchie conoscenze, da Sansa a Bran, da Arya a Brienne, da Sam a Davos. Ci rendiamo conto solo ora, anche grazie al sole che splende, che devono essere passate settimane dalla morte di Daenerys.
Sansa chiede a Verme Grigio di Jon, tuttora prigioniero. Bastano un paio di battute per aggiornarci a sufficienza: Daenerys è caduta, ma Approdo è ancora in mano agli Immacolati e la situazione politica di Westeros è tuttora tesa. Sansa, peraltro, ci mette un attimo a minacciare Verme di ritorsioni, se dovesse fare del male a Jon. Subito dopo, Yara e Arya, due donne dal nome simile ma dalle idee opposte, si scambiano piacevolezze simili: “io sono fedele a Daenerys che ci ha liberato dalla tirannia, facciano quel che vogliono” – “Se fai toccare mio fratello, ti taglio la gola”.
Davos cerca di usare un po’ di diplomazia, proponendo a Verme di prendersi delle terre e fondare una sua dinastia. L’immacolato ribatte che non vogliono un pagamento, vogliono giustizia. Peraltro Davos ha suggerito a un eunuco di fondare una dinastia. Non proprio da “maestro della dialettica” eh.
Si inserisce Tyrion, che ricorda a tutti che Verme non può decidere niente, serve la delibera di un re o di una regina. Gli fanno notare che al momento non ci sono sovrani. E Tyrion, giustamente: “Siete le persone più potenti di Westeros, sceglietene uno”.
Non deve sfuggire la portata di una frase del genere. Se è vero che questo lungo finale fa molto fantasy classico, la consapevole destrutturazione di ogni epica guerriero-cavalleresca è tipica di Game of Thrones. Questa serie non può finire con un condottiero che alza una spada verso il cielo rivendicando una vittoria in nome di una qualche divinità. Dopo una devastante lotta contro un esercito di zombie, e un massacro cittadino a dorso di drago, Game of Thrones ci ricorda che non esiste tragedia a cui gli uomini non possano far seguire le loro solite beghe, i soliti magheggi, le solite contrattazioni.
In più, Tyrion introduce un tema decisivo: un governante si può pure scegliere.
In questo senso, meraviglioso lo scambio successivo. A parte la gustosa gag in cui il redivivo Edmure Tully (non lo vedevamo dalla sesta stagione) si alza offrendosi per il trono, con Sansa che gli dice “zio, per piacere siediti”, c’è Sam che di fatto propone la democrazia. Siccome si sta cercando di fare il bene di tutti, dice lui, forse la decisione dovrebbe essere di tutti. Sembra l’inizio di chissà quale scena edificante, se non che i nobili presenti ridono a crepapelle, Sansa compresa, ed è fantastico perché è un ulteriore “ritorno a Game of Thrones”: sì ok, nell’ultimo paio d’anni siamo stati un po’ più hollywoodiani e spettacolari, e magari meno sporcaccioni e più buonisti, però adesso su, il suffragio universale, non esageriamo!
“Magari dovremmo far pure votare i cani!”, e giù risate.
Ma quindi alla fine sul trono (o suo sostituto) chi si siede? E qui parte il discorso super-meta di Tyrion, che spiega come niente unisca le persone come una buona storia, molto più dell’oro o degli eserciti.
A questo punto bisogna capirsi bene, perché quando il Lannister propone Bran, la prima reazione può essere forte. Del tipo “che cazzo stai a di’??”.
È chiaro che dal punto di vista concreto, delle abilità di regnante, Bran è una scelta abbastanza ridicola. Ma quello che Tyrion, e con lui tutta la serie, vuole far passare è un valore simbolico. Bran ha una storia personale che parla di riscatto, roba che sui social tira un casino, ma soprattutto, nella sua identità soprannaturale, è il custode della memoria degli uomini, e per questo stesso motivo era la vittima designata del Night King: senza memoria, l’umanità si estingue. Quello che Tyrion suggerisce, dunque, è mettere la memoria sul trono, far sì che gli errori del passato vengano compresi per non essere ripetuti.
Poi entrano in gioco anche questioni più spicce: come sottolineato da Sansa, Bran non può avere figli, e per Tyrion questo è solo un plus. Senza il “pericolo” di una dinastia, i prossimi sovrani e sovrane potranno essere scelti per i loro meriti, e non designati sulla base del sangue.
Insomma, a Tyrion l’idea piace proprio, e quando chiede a Bran se piace anche a lui, quello risponde da super badass: “Secondo te perché ho fatto tutta questa strada?”
Bran, abbiamo capito che sai tutto, però anche meno arrogante, dai.
Ad ogni modo, i lord sono d’accordo, con Sansa che chiede solo che il Nord rimanga indipendente, come è sempre stato. Alla fine, quindi, Bran diventa re dei “sei” regni, e il regno rimasto è comunque di un’altra Stark. Mica male…
Come primo atto da sovrano, Bran nomina Tyrion primo cavaliere. Verme Grigio protesta, ma Bran dice “non rompere, sono il re”. Il che, naturalmente, cozza un po’ col fatto che Bran nel recente passato aveva detto di non poter essere Lord di Grande Inverno, anzi di non poter essere Lord di niente, perché lui è il corvo dai tre occhi e bla bla bla. Ma scommetto che, se glielo chiedessero adesso, direbbe “ho detto che non posso essere lord, non che non posso essere re”.
Comunque, Tyrion stesso non sarebbe d’accordo, ma Bran non ha paura dei suoi fallimenti e dei suoi errori, perché ora può passare la vita a ripararli.
E Jon? Il poverino è ancora in cella, rinchiuso dopo l’assassinio di Daenerys. Per bocca di Tyrion scopriamo che, visto che sia la sua libertà che la sua morte potrebbero provocare una guerra, Jon verrà mandato al nord, dai guardiani della notte (che non ci sono più, ma nel senso, vai là e stai là), e sarà costretto a un esilio senza terre, senza moglie e senza progenie. Un compromesso che non piace davvero a nessuno ma, come sottolinea Tyrion, forse proprio per questo è un buon compromesso.
Non sfugga il valore di questo sviluppo: per anni Jon è stato l’eroe designato della serie, a maggior ragione dopo la scoperta della sua identità di Targaryen. E se pure potevamo immaginare che non sarebbe finito sul trono, lo immaginavano solo perché sarebbe stato “troppo” scontato. Alla fine, il suo diventare mero oggetto di lotta politica, pronto a finire oltre la Barriera ed essere forse dimenticato, rafforza l’idea di una chiusura, di un passaggio: il tempo degli eroi, delle dinastie e della magia è finito. Inizia un’era di politica, di compromesso, di pace, un’era in cui il re ha sì dei poteri, ma è pur sempre un ragazzo paralitico, e il primo cavaliere è un nano incapace di combattere.
In questo senso, bella anche la risposta che Tyrion dà a Jon quando quest’ultimo gli chiede un giudizio sul suo operato. “Chiedimelo fra dieci anni”, a sottolineare che non è più possibile vivere di assoluti, ma solo di decisioni ponderate che dovranno comunque subire il giudizio della Storia.
Arriva il momento del saluto fra Stark. Sansa si dispiace di non aver potuto fare di più per Jon, ma lui è già contento che lei abbia liberato il Nord, che non poteva chiedere di meglio che essere regnato dalla figlia di Ned Stark. Arya, dal canto suo, progetta di salpare a Ovest di Westeros, per vedere cosa c’è al di là del mare. Diciamo che parte per trovare le Indie e finirà in America.
Ultime parole di Jon anche per Bran, con cui si scusa per non essere stato con lui nel momento del bisogno. E indovina come risponde Bran? “Eri esattamente dove dovevi essere”.
Madonna Bran che palle, ti hanno pure fatto re, smollati un po’…
Una piccola scena anche per Brienne, che troviamo seduta a una scrivania, intenta a redigere sul librone dei cavalieri gli ultimi atti della vita di Jaime. Saranno contenti quelli che accusavano Brienne di aver perso troppa compostezza al momento di implorare l’amato di non partire per King’s Landing: settimane dopo gli eventi, prima di rimettersi al lavoro e andare avanti con la sua vita, la prode donnona spende sobrie parole gentili per l’ex Sterminatore di Re, concludendo la sua storia con un criptico “morì proteggendo la sua regina”. In pratica lo perdona, lasciando che ai lettori del futuro salti agli occhi la sua nobiltà, prima di chiedersi quale regina, e perché.
Siamo agli sgoccioli. Con una certa trepidazione, Tyrion aspetta ospiti nel suo “ufficio”. Arrivano Bronn, Sam, Davos, poi anche Brienne e Bran. C’è spazio per un po’ di simpatia, per ricordare che Bronn ha effettivamente ottenuto ciò che gli era stato promesso (tipo Alto Giardino), per apprendere che Podrick è diventato cavaliere, e per presentare il libro “A Song of Ice and Fire”, in cui Tyrion, con suo disappunto, non compare (il preciso perché non lo sappiamo, può essere che Ebrose non volesse citare troppo un Lannister in una cronaca probabilmente tutta starkiana).
Al di là della simpatia, la scena ha due scopi ben precisi: il primo è mostrare il vero ruolo di Bran, sovrano “di garanzia”, come potremmo dire oggi, che ha una funzione soprattutto simbolica, mentre il concreto dell’amministrazione del regno è lasciato in mano a Tyrion. Il secondo, specie quando la camera arretra lentamente, facendoci “uscire” dalla stanza mentre i personaggi ancora discutono, è darci il senso di un lieto fine in cui per Westeros inizia una nuova era di pace dove a prendere le decisioni per il popolo è un gruppo di amici e alleati, e non di avversari.
Non ha potuto prendersi il trono e ha perso anche la libertà di andare dove vuole, ma almeno Jon si prende le ultimissime scene di Game of Thrones. Il nostro arriva alla Barriera e ritrova Tormund, am soprattutto riabbraccia Ghost (pur senza un orecchio, povera bestiola), il cui abbandono la settimana scorsa aveva fatto imbufalire i social.
Insieme, intervallati da immagini degli altri Stark che si apprestano a vivere il loro futuro, Jon si unisce ai bruti e inizia il suo esilio, in una landa innevata ma da cui spuntano fili d’erba, verso un posto mitico e lontano dove un guerriero risorto può ancora esistere.