25 Aprile 2019 23 commenti

Black Summer: Netflix propone la sua alternativa a The Walking Dead di Diego Castelli

Qui muoiono tutti e nessuno coltiva pomodori

Copertina, Pilot

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Quando una serie o un film che trattano un tema/genere specifico raggiungono un successo particolarmente elevato, tendono a diventare paradigma di quel tema/genere, esempio principale a cui tutti gli eventuali concorrenti finiscono con l’essere paragonati, come se quel termine di paragone fosse la forma “più pura” di quel tipo di storia.
Una percezione distorta, naturalmente, perché i generi sono fluidi, le storie anche, quello che sembra una novità oggi sarà la norma di domani, e ciò che fonda un genere viene spesso dimenticato e sostituito con discendenti che si arrogano il diritto di essere considerati i “primi”.

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Negli ultimi anni, per lo meno in tv, il concetto di zombie fa rima con The Walking Dead. Questo può piacere o meno, ed è certamente pieno di puristi del genere che guardano a TWD come un sottoprodotto di una tradizione ben più lunga e transmediale (cosa che ovviamente è, da un certo punto di vista).
Fatto sta che il modello-Walking Dead, con gli zombie che si comportano in un certo modo (lenti, apatici, pericolosi in gruppo e quasi malinconici da soli), gli umani che cercano di ricostruire un abbozzo di civiltà, le articolate riflessioni sulla natura umana, è da anni la principale forma del genere, a cui eventuali concorrenti devono rapportarsi per costruire differenze e trovare nuove strade.

Cosa che la casa di produzione The Asylum aveva già fatto nel 2014 con Z Nation, per certi aspetti una parodia di The Walking Dead in cui la consueta battaglia di pochi superstiti contro i non-morti veniva colorata con sfumature di ironia, splatter e leggerezza sconosciute all’”originale” (con ovvie virgolette).
Ora i ragazzi di The Asylum ci riprovano su Netflix con Black Summer, che ha un pregio molto importante: provare a costruire un’alternativa molto più precisa a The Walking Dead, trovando una strada e uno stile rigorosamente personali, per ricordarci che il genere zombie si può fare in tanti modi diversi.

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Di fatto Black Summer è un prequel di Z Nation, perché per stessa ammissione dei creatori Karl Schaefer e John Hyams (il primo già co-creatore di Z Nation) racconta la prima estate dell’apocalisse zombie, anni prima degli eventi raccontati nella serie del 2014.
Detto questo, però, cambia radicalmente il tono, perché in Black Summer non c’è proprio niente da ridere. Rispetto a The Walking Dead, cambia il modo in cui sono rappresentati gli zombie (molto più veloci, ringhianti e rabbiosi) ma soprattutto il modo in cui sono rappresentati gli umani. Se The Walking Dead racconta il tentativo dei sopravvissuti di ricostruire una civiltà, scontrandosi sulle modalità di quella ricostruzione, Black Summer si concentra sul panico di cui la popolazione rimane vittima all’inizio dell’apocalisse, raccontando la follia collettiva che distrugge ogni regola morale o etica che possa aver guidato il comportamento delle persone fino a quel momento.
Non ci sono amicizia né amore, in Black Summer, solo puro istinto di sopravvivenza, che condanna alla morte quasi certa chiunque provi a conservare un qualche briciolo di umanità.

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Ed essendo prima di tutto una serie sul panico e sulle creature primitive che ancora albergano in ognuno di noi, Black Summer è anche e soprattutto una serie di azione e suspense. Dimenticatevi i lunghi sguardi con cui uno stranito Rick Grimes si alzava dal suo letto d’ospedale, rendendosi conto del deserto intorno a lui: in Black Summer si corre, si lotta, si urla, ce la si fa sotto costantemente, perché i personaggi non hanno ancora avuto fisicamente il tempo di fermarsi per respirare.
Con queste premesse, sceneggiatura e messa in scena funzionano alla grande, e Black Summer mostra una precisa aderenza alle dinamiche del binge watching, che per ovvie ragioni non hanno né The Walking DeadZ Nation: divisi in brevi capitoli i cui titoli punteggiano la narrazione, gli episodi di Black Summer sono un flusso continuo di morte e paura che non prevede o concede pause, immergendo gli spettatori nella stessa ansia dei protagonisti, che non sanno se sopravviveranno ancora per un’altra ora.
Azione e horror vengono fuse in una spirale sincopata in cui i molti attori del cast corale si trovano a dover esprimere prima di tutto un senso di completo spaesamento e l’incapacità di mettere ordine di una situazione di costante emergenza, che per gli spettatori si traduce in un intrattenimento puro, senza fronzoli.
Azzeccatissime alcune scelte registe, come la volontà di insistere su certi piani sequenza che immergono lo spettatore nell’emergenza, oppure sul contrasto fra le scenografie ancora idilliache, pre-apocalisse, e il silenzio di morte che accompagna la tragedia (il quarto episodio è quasi completamente muto). Ottimo anche il breve finale, una splendida bolla di puro caos.

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Ovviamente, sul medio-lungo periodo Black Summer può incorrere in rischi concreti: se continua con questa impostazione da “qui e ora”, rischia di perdere freschezza e rinunciare a qualunque profondità; se però tenta di alzare il livello e stratificare il racconto, potrebbe finire col sembrare più simile di quanto vorrebbe ai suoi illustri concorrenti.
Ma questi sono problemi da porsi successivamente: quello che conta davvero è che iniziando Black Summer si ha la netta impressione di guardare qualcosa che crediamo di conoscere già, ma che suona nuovo e pimpante. E per ora tanto basta.
Perché guardare Black Summer: una storia di zombie che suona sorprendentemente veloce, paurosa e fresca.
Perché mollare Black Summer: per esiste il rischio che quella freschezza di perda abbastanza presto.

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