17 Aprile 2019 12 commenti

Quicksand – Facciamo una raccolta firme contro i flashback? di Marco Villa

Quicksand parte benissimo con un pianosequenza da brividi, ma poi diventa un polpettone teen raccontato in flashback

Copertina, Pilot

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È ormai un sottogenere dei crime, che potremmo chiamare crime a ritroso. Si parte con uno o più accusati, messi sotto torchio dagli investigatori e pian piano si va a delineare di cosa sono imputati. Niente di nuovo, ma negli ultimi anni si tratta di una formula cui hanno fatto ricorso diverse serie di successo, dalla How To Get Away With Murder di Shonda Rhimes all’orrida Elite, passando in fondo anche per 13 Reasons Why. Quello del flashback è in fondo un trucchetto narrativo comodo e di facile presa sul pubblico, ma sempre di trucchetto si tratta, perché poi serve la sostanza. Il giochino non regge a lungo da solo se non è sostenuto da qualcosa di forte e la sensazione è che in Quicksand di forte ci sia solo lo spunto iniziale.

Quicksand è una nuova serie di Netflix, originale svedese disponibile dal 5 aprile, tratta dal libro di Malin Persson Giolito, tradotto in italiano come Sabbie Mobili. Si apre con uno sparo e con un tesissimo pianosequenza, che va a indagare dettagli di corpi stesi a terra. Si tratta delle vittime di una sparatoria avvenuta in un liceo, una di quelle stragi che di solito arrivano dagli Stati Uniti. Sulla scena del crimine assistiamo all’arresto di Maya (Hanna Ardéhn), che viene prelevata, sottoposta a rilievi di ogni tipo e messa in isolamento in carcere. Noi sappiamo di cosa è accusata, lei ancora no, perché sembra immersa in uno stato di trance. Quando scopre di essere la principale sospettata per la morte dei suoi compagni di classe, inizia a parlare con il suo avvocato.

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Ecco, voi cosa vi aspettereste da un legale in questa situazione? Ovviamente che inizi chiedendo cosa sia successo in quell’aula. Eh, troppo comodo. In un contesto del tutto surreale, l’avvocato le chiede come ha conosciuto il suo ragazzo Sebastian (Felix Sandman): e da lì parte il gigantesco flashback che occupa buona parte della prima puntata e che cambia in modo netto il tono e il sapore di Quicksand.

Dopo un quarto d’ora essenziale e quasi asettico (due aggettivi per noi molto positivi), Quicksand diventa di colpo un polpettone teen, tutto fatto di sguardi amorosi e ambientazioni da film con principesse moderne. Sia Maya, sia il suo fidanzato Sebastian provengono da famiglie ricchissime di Stoccolma e la loro storia inizia all’insegna di vacanze in Costa Azzurra e settimane sugli yacht. Questa vita smeralda viene mostrata in contrapposizione con il rigore cui deve sottostare Maya in carcere: l’intento è chiaro, ma il risultato finale non è mettere in evidenza il processo di caduta cui è andata incontro la ragazza, ma rendere ancora più pastellosi i momenti felici. Ovviamente sarà in quel rapporto – e in particolare nella famiglia di lui – la causa ultima di quello che è successo, ma un tono meno da film tv stile Hallmark avrebbe giovato.

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Perché qui arriviamo al crollo del meccanismo a ritroso di cui si parlava in apertura: la sostanza rischia di non esserci, perché la strada che sembra essere stata imboccata è quella di una soap adolescenziale. Quicksand si trova così spaccata a metà: da una parte una dinamica molto interessante come quella della strage scolastica, tema attualissimo e importante, soprattutto se trattato con questo distacco; dall’altra una vicenda adolescenziale che difficilmente interesserà chi è fuori da quel target. Peccato.

Perché guardare Quicksand: perché nonostante tutto il meccanismo vi ha preso

Perché mollare Quicksand: perché un terzo di puntata interessante è troppo poco

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