28 Marzo 2019 9 commenti

What We Do In The Shadows: vampiri da ridere, ma ridere sul serio di Diego Castelli

Subito amore per la comedy vampiresca

Copertina, Pilot

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Aspetta che tiro un sospirone.
Ahhhh.
Sì perché va bene fare i critici di spessore, va bene lambiccarsi il cervello con i mille strati delle serie più ardite, ma ci sono anche delle volte che l’unica cosa che vorresti è una serie che fa quello che promette, con gusto e originalità, senza cambiare il mondo ma rendendolo comunque un posto migliore.

Caso vuole che oggi parliamo di What We Do In The Shadows, la serie di FX tratta dall’omonimo film neozelandese del 2014 e diretto da Taika Waititi (regista di Thor: Ragnarok) che qui torna come produttore esecutivo e regista del pilot.
E What We Do In The Shadows, come il film da cui deriva, è una comedy fresca, divertente, originale, e che assomiglia pure un po’ a Parks and Recreation, cosa che non fa mai male.
La vicinanza è soprattutto tecnica, perché WWDITS è un mockumentary, un finto documentario in cui un’ipotetica troupe si accompagna ai personaggi oggetto di indagine per seguirne le gesta quotidiane e raccogliere i loro pareri e le loro storie.
Uno stile che ormai conosciamo benissimo, comune anche a The Office e Modern Family, ma che con WWDITS fa un salto di qualità “tematico”: se gli altri casi di mockumentary seguivano persone teoricamente realistiche, per lo meno alla base, qui a essere documentata è la vita di un gruppo di vampiri, vampiri veri, che succhiano il sangue, si trasformano in pipistrelli e vivono centinaia di anni.
Basterebbe già questo per dire che WWDITS merita per lo meno un’occhiata, perché prende uno stile comico solitamente dedicato ad altri contesti, e lo piazza su uno dei generi fantasy più in voga negli ultimi 10-15 anni, con un risultato ben preciso: aumentare ancora di più l’effetto di straniamento e, con esso, l’efficacia comica.

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Al momento, i personaggi principali sono cinque: Nandor, proprietario della casa in cui si svolgono le vicende, vampiro elegante e teoricamente fascinoso, ma spesso incapace di gestire al meglio questo suo supposto carisma; Laszlo e Nadja, una coppia di vampiri europei che vive da secoli all’insegna del piacere e dell’edonismo, ma con problemi e tensioni da normalissima coppia sposata; Guillermo, il famiglio del gruppo, un buffo umano che da dieci anni serve fedelmente Nandor e che vorrebbe tanto essere trasformato in vampiro; e infine Colin, che da un certo punto di vista è la vera genialata della serie: è un vampiro psichico, uno che non succhia il sangue bensì l’energia vitale di chi gli sta intorno, che viene da lui annoiato a morte o infastidito fino alla frustrazione. Colin afferma che questo è il tipo di vampiro più comune, e guardandolo non avrete difficoltà a immaginarvi almeno un conoscente che risponda alle caratteristiche…

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Come accennato, le potenzialità di WWDITS nascono proprio dal suo concept, dall’idea di prendere un genere solitamente trattato in un altro modo (quasi sempre da “drama”, pur con le deviazioni più grottesche o simpatiche alla Supernatural), per applicargli sopra una delle formule più gettonate della comedy contemporanea, in cui la supposta volontà di girare un documentario cozza meravigliosamente con la natura evidentemente fantastica e irrealistica dei suoi protagonisti.
Essere un vampiro nel 2019 non è uno scherzo, l’immortalità e la magia non garantiscono la supremazia sui brulicanti esseri umani, e la vita vampiresca è costretta a compromessi probabilmente sconosciuti ai grandi succhiasagnue del passato. Nandor e gli altri sono vampiri un po’ dimessi, residuali, legati a tradizioni di cui non frega più niente a nessuno, e che quando ricevono la visita di un importante nobile vampiro europeo che vorrebbe rilanciare la conquista dell’America, lo accolgono con il glitter sulla faccia (alla Twilight) e le striscioline colorate di carta appese al soffitto.
Di fatto sono una minoranza, come in fondo sono sempre stati. Ma se una volta erano una minoranza potente e pericolosa, una minoranza “protagonista”, ora sono più che altro degli sfigati, poco più che cosplayer con i poteri, incapaci di stare aggrappati a una Storia che di loro si preoccupa sempre meno.

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Comprensibilmente, dunque, la comicità migliore di WWDITS non sta tanto nelle battute, nei giochi di parole, nel ritmo forsennato delle gag: come in The Office, il meglio arriva dal disagio, dalla rappresentazione di personaggi che sanno di voler essere più di quello che appaiono, ma che non ci riescono, e che di fronte a una telecamera devono fare buon viso a cattivo gioco, cercando di nascondere al pubblico una goffaggine che invece è sempre palese e deliziosa.
Il pilot di WWDITS funziona da subito, dalla primissima scena in cui Guillermo dovrebbe risvegliare il padrone dopo il tramonto, e non riesce a sollevare il coperchio della bara, rimasto incastrato. Da lì è una discesa su un dolce pendio di inadeguatezza, con vampiri che mangiano la gente ma non fanno paura a nessuno, mostri millenari che interrompono i loro discorsi demoniaci per accorgersi delle telecamere, poveri nerd appassionati di giochi di ruolo che diventano prede facili (e ovviamente vergini) per i festini di benvenuto organizzati da Nandor e soci.
L’affetto per questa banda di scalcagnati è praticamente immediato, e la serie sembra avere ancora moltissime frecce al suo arco, perché c’è un intero genere da esplorare, spolpare e ribaltare con le tecniche di una comicità solitamente rivolta ad altri contesti, ma che applicata a questo fa semplicemente squittire dalla gioia.
Perché seguire What We Do In The Shadows: è una comedy fresca, simpatica, a tratti deliziosa, che usa lo stile del mockumentary per ribaltare il genere notturno e fascinoso per eccellenza.
Perché mollare What We Do In The Shadows: non so dire perché non si dovrebbe provare un affetto immediato per una cosa del genere, ma diciamo che se le comedy mockumentary non vi sono mai piaciute, forse questa non vi farà cambiare idea.

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