The Umbrella Academy: quando l’adattamento funziona senza scimmiottare [no spoiler] di Diego Castelli
Un primissimo sguardo alla serie tratta dal romanzo di Gerard Way
Nel consueto imbarazzo in stile Netflix – non so mai se aspettare di vedere tutti gli episodi di una nuova serie prima di scriverne, o se invece dare un primo commento per poi eventualmente completarlo alla fine – credo che The Umbrella Academy si meriti serenamente una doppia recensione.
Perché anche volendo scrivere un primo pezzo privo di spoiler, per chi ancora non avesse dato una chance alla serie, è possibile dirci alcune cose sul modo in cui, nel 2019, ci approcciamo alle nuove serie tv, in un periodo storico in cui l’offerta è così ampia da diventare perfino ansiogena.
Se volessimo fare i finti professoroni, potremmo parlare di un fenomeno che invento in questo momento e che chiamerei “traslazione dell’hype”.
Passo indietro: The Umbrella Academy, creata per la tv da Steve Blackman, è tratta dall’omonimo fumetto scritto da Gerard Way (di professione cantante). Un fumetto a serie limitata, “corto”, scritto nel non più vicinissimo 2007, che all’epoca arrivò nelle fumetterie con forza imprevista.
Se anche non masticate di comics (e io non sono un esperto), potrebbe bastarvi una breve ricerca su google per trovare molto spesso il termine “rivoluzione” associato all’opera di Way. In pratica, The Umbrella Academy prendeva il mondo del supereroismo e riusciva a dargli una veste nuova, inaspettata, surreale: perché sì, ci sono i superpoteri e gli eroi, 7 ragazzi e ragazze nati misteriosamente da donne non incinte fino a venti minuti prima del parto, e adottati da Sir Reginald Hargreeves, un miliardario misterioso e glaciale; e sì, ci sono scontri, esplosioni, viaggi nel tempo, battaglie per impedire il verificarsi di misteriose apocalissi.
Ma c’è soprattutto uno scavo psicologico deviato e inedito, in cui questa famiglia completamente disfunzionale mostra il lato ben poco glamour di un supereroismo imposto, in cui gli eroi non sono ragazzi che scelgono di essere “super”, ma vengono allevati a tal scopo, perdendo rapidamente di vista alcuni parametri fondamentali relativi alla loro identità e al loro posto nel mondo.
Tornando a Netflix e a quella fantomatica traslazione dell’hype, la fama di The Umbrella Academy (il fumetto) ha immediatamente imposto una chiave interpretativa alla serie, che la sta semplicemente rovinando agli occhi di una influente fetta di spettatori. In pratica, si dà per scontato che se il fumetto è stato a suo modo rivoluzionario, la serie non possa fare a meno di essere rivoluzionaria, pena la bocciatura. E siccome la serie, per i tre episodi che ho visto finora, rivoluzionaria non è, ecco spuntare qui e là recensioni un po’ freddine, in cui ci si lamenta della classica diluizione di Netflix (il fumetto è molto rapido e condensato, mentre nella serie il brodo si allunga), e in generale della difficoltà, per lo show, di avere un impatto paragonabile a quello dell’originale.
Lo trovo un approccio ingiusto e autolesionista. Pensare che ogni versione di una storia debba avere lo stesso impatto a prescindere dal tempo in cui viene prodotta e dal mezzo con cui viene veicolata, è un’utopia che non tiene conto delle mille variabili storiche, estetiche, tecniche e creative coinvolte nel processo. La domanda per me non dovrebbe riguardare l’impatto della serie The Umbrella Academy in rapporto all’impatto che ebbe l’omonimo fumetto. Dovrebbe invece attenere alla capacità della serie di essere un buon adattamento, di cogliere elementi decisivi del suo genitore cartaceo, di completare e ampliare quella mitologia.
Da questo punto di vista, la serie di Netflix mi sembra un lavoro molto migliore di quello che alcuni vorrebbero far credere.
A partire dal paradosso della lunghezza: se è vero che spesso i fumetti sono più facili da adattare in serie, in quanto già in partenza “episodici”, è altrettanto vero che The Umbrella Academy è comunque piuttosto corto e denso. Allo stesso tempo, la serie tv ha il pregio di tenersi stretta tutti o quasi gli avvenimenti principali, ampliando però la narrazione come a volerci dare qualche dettaglio in più, che non cozza con la storia originale, ma le dà più sugo. Per esempio, nel fumetto uno dei fratelli, Ben, è morto da giovane, e di lui si parla molto poco, nonostante un potere figo e inquietante (gli escono dei tentacoli pericolosissimi dall’addome). Nella serie tv è comunque morto giovane, ma il suo spirito continua a manifestarsi a un altro dei fratelli, Klaus, che fra le altre cose è un medium. Come si vede, nessun caposaldo del racconto originale è stato stravolto, ma qualcosa di interessante è stato aggiunto.
La cosa funziona più o meno allo stesso modo anche per gli altri personaggi, in un continuo rimpallarsi fra la loro giovinezza e la vita adulta, esattamente come su carta. In particolare, grande attenzione è riservata alla psicologia di Vanya: l’unica dei sette senza poteri, nel corso della stagione acquisirà un’importanaza più ampia del previsto (non credo sia uno spoiler clamoroso) e nella fase iniziale viene “coccolata” a dovere dagli sceneggiatori, per farci sentire con più forza il peso di un’esistenza ai margini, in cui il padre la teneva sempre ben lontano dagli scontri, sottolineando che non era per niente speciale.
L’impressione, insomma, è che il fumetto di The Umbrella Academy, con la sua densità narrativa e il suo stile di grande impatto, sia diventato una specie di traccia da cui la serie ha tratto spunto per ampliare il discorso, raccontare di più, affrontare con maggiore respiro certi temi.
Questo fa perdere forza al tutto? Boh, può essere, e come sempre il gusto non si discute. Ma l’operazione ha una sua logica ben precisa, che si allontana dalla sperimentazione del fumetto (che in una serie tv abbiamo visto per esempio in Legion), per diventarne una specie di supporto.
Ultime considerazione sul visivo, dove The Umbrella Academy ha parecchio da dire. La serie non punta allo stile straniante del fumetto disegnato da Gabriel Bà, che si allontana molto dalle forme rassicuranti di tanto fumetto americano, e si presenta come più tradizionale.
Ancora una volta però, alcuni elementi dell’originale vengono ripresi e riformulati in modo efficace, dal fisico prorompente di Luther (il fratello numero 1, teoricamente il leader della squadra, quello che più di tutti si interroga sulle dinamiche della morte del padre, evento che porta il gruppo a riunirsi dopo anni di separazione), a quello che è forse il dettaglio più sorprendente, cioè la cura nella realizzazione digitale di Pogo, lo scimpanzé intelligente che funziona un po’ da maggiordomo/coscienza critica del gruppo, nonché il personaggio più saggio e presente a se stesso dell’intera serie (e il fatto che il più saggio di tutti sia una scimmia forse dice qualcosa di più generale, ma ne riparleremo). Raramente in tv abbiamo visto personaggi digitali così ben realizzati.
Aggiungeteci un’ottima colonna sonora, belle scene d’azione e di violenza, e un tono che oscilla costantemente fra il supereroismo, la black comedy alla Tenenbaum, e il drama familiare puro, ed ecco che The Umbrella Academy finisce col presentarsi come un piatto particolarmente ricco e sfaccettato.
Il lavoro di Netflix è sicuramente un po’ “normalizzante” rispetto ai fumetti, che per stile e tono sembra proprio un’emanazione della mente dei suoi due autori, laddove la serie tv ha più l’aspetto della classica produzione televisiva ad alto budget. Ma la storia era e resta interessante, e il suo ampliamento ad uso e consumo di una platea televisiva potenzialmente più ampia non snatura l’originale, offrendone semplicemente una versione diversa e per certi aspetti più corposa.
Il mio consiglio, in attesa di una recensione finale più spoilerosa (in cui magari cambierò completamente idea, chi lo sa), è di leggere-guardare entrambi: i fumetti sono editi in Italia da BAO Publishing e si bevono in un pomeriggio, la serie a quel punto vi sembrerà un gemello diverso, ma comunque degno di attenzione.
Perché seguire The Umbrella Academy: una serie ben diretta e bene interpretata, con tanti spunti interessanti e la sua quota di originalità.
Perché mollare The Umbrella Academy: se non vi piacciono troppo i generi ibridi, o se siete fan del fumetto che contestano a prescindere versioni diverse da quella cartacea.