Wayne – Poteva essere una copia, e invece è una figata di Diego Castelli
Di adolescenti strani, problematici e assurdi non ne abbiamo mai abbastanza
Quasi tutte le attività umane sono soggette alle mode, e le serie tv non fanno certo eccezione. Non appena una cosa funziona, lunghe file di figli, cugini ed eredi dichiarati cominciano a spuntare come funghi, un po’ come quando leggiamo la notizia di un cane che morde un bambino, e per i due giorni successivi sembra che le uniche notizie che contano siano quelle dei cani che mordono i bambini.
La cosa vale per qualunque genere (si pensi agli eredi di Lost poco dopo la fine della mitica serie sui naufraghi), ma soprattutto per le serie teen, che come i loro spettatori cambiano di generazione in generazione, a ritmi forsennati. Come diceva giusto pochi giorni fa la nostra Roberta parlando di Roswell New Mexico, abbiamo avuto Beverly Hills 90210, poi superato, migliorato e aggiornato dai vari Buffy e Dawson’s Creek, a loro volta poi modificati e rimodellati dai Gossip Girl e Pretty Little Liars, in un flusso continuo a inarrestabile.
Oggi – e con oggi intendo proprio “in questi ultimi 12-18 mesi” – si sta imponendo un’adolescenza ancora diversa, piena di personaggi strambi, buffi, perfino al limite della patologia, che incarnano la voglia di indipendenza e autodeterminazione con la forza dirompente della devianza.
Forse il capostipite, o meglio quello che ci viene subito in mente, è The End of the F***ing World, ma non è che Sex Education stia da un’altra parte, per quanto paradossalmente più realistica. Mettendoci anche dentro l’anima di Shameless, che ormai è un classicone, è chiaro che chiunque viene “dopo” si porta inevitabilmente dietro un certo odore di derivato, un rischio di ripetizione. Oppure, proprio partire da una base consolidata permette di fare ulteriori passi avanti o in direzioni ancora diverse.
Ed è il caso di Wayne.
La nuova serie di Youtube Premium, creata da Shawn Simmons e prodotta dagli sceneggiatori dei due (splendidi) film su Deadpool (Paul Wernick e Rhett reese), si innesta proprio in quel solco lì. Protagonista è Wayne (Mark McKenna), un ragazzo parecchio strano che vive col padre malato di cancro, e che alla morte del genitore decide di intraprendere un viaggio verso la Florida alla ricerca di un’auto che la madre (sparita dalla sua vita quando Wayne aveva cinque anni) ha rubato all’ex compagno. Un viaggio che, come da prassi, Wayne intraprende insieme a Del (Ciara Bravo), una ragazza di cui è innamorato è che non è strana quanto lui, ma poco ci manca.
Proprio come in The End of the F***ing World, dunque, abbiamo una “fuga”, due adolescenti contro il mondo, la periferia (questa volta americana) come metafora di un deserto di regole e valori, che però non è deserto di sentimenti.
Sembrerebbe esserci tutto per parlare di plagio, o quantomeno di “la solita cosa”. E invece no. Wayne si salva dalle critiche, e pure con un certo slancio, perché su quella struttura di base riesce a trovare un tono ancora diverso, più virato verso la comedy, ma senza dimenticare un ciccinnino di tenerezza.
A cambiare rispetto allo standard è già la natura più intima di Wayne (e parlo avendo visto tre episodi, non mi spoilerate il resto): al contrario di altri adolescenti, tutti ripiegati su se stessi, Wayne è invece proiettato verso l’esterno, sempre pronto ad aiutare. A modo suo, naturalmente: è allergico a qualunque ingiustizia, e quando ne vede una deve intervenire, in modo compulsivo, non rinunciando alla violenza più immediata e mettendosi rigorosamente in pericolo di vita. Una specie di altruismo innato e quasi maniacale, unito a quella che sembra una totale incapacità di ragionare con una prospettiva che vada oltre i prossimi cinque minuti.
Wayne è un ragazzo pericoloso e sanguinario, ma anche straordinariamente sincero e dolce, pronto a dare la vita per te se sei un innocente e a staccarti il naso a morsi se sei un bastardo.
Questa componente in qualche modo supereroistica (senza che ci siano di mezzo mantelli e poteri) è tutt’altro che casuale, ed è rimarcata dallo stile complessivo della messa in scena, sottilmente ma esplicitamente fumettosa: i personaggi, soprattutto quelli secondari, sono tagliati con l’accetta, costruiti per essere macchiette spesso cattive o immeritevoli da contrapporre all’idealismo primitivo ma puro di Wayne, identificati da pochi ma inequivocabili elementi visivi (i due gemelli beoti, il paradenti con scritto “killer”, ecc). Soprattutto, c’è un gusto per una comicità grezzona che in effetti ricorda un po’ quella di Deadpool, e che qui si concretizza soprattutto nelle figure ridicole dei familiari di Del e degli agenti di polizia incaricati di ritrovare i fuggitivi.
C’è molta carne al fuoco, in Wayne, e il rischio più grosso era quello di non tenere insieme le diverse anime, di fare il pastrocchio scopiazzato o, al contrario, l’ibrido insapore. Così fortunatamente non è: come le migliori serie di questo genere, Wayne riesce a trovare il perfetto equilibrio fra la sua componente più commediosa, grottesca e violenta, e quella romantica e malinconica, in cui i sentimenti più puri spuntano sul marciume come fiori in una discarica.
A cambiare, soprattutto, è il modo in cui ci si può identificare nel protagonista: se altri show di questo tipo suggeriscono un’identificazione “in negativo”, per cui si riconoscono nei protagonisti dei tratti distruttivi del nostro carattere, trovando conforto nella comunione della sfiga (si pensi a Sex Education e a quanto sollievo potrebbe dare a chi effettivamente lotta con qualche problema di natura sessuale), con Wayne siamo spinti da un moto aspirazionale. Certo, nessuno di noi vorrebbe essere “proprio come Wayne”, che è un sociopatico violento, ma riconosciamo in lui l’assenza di paura, la sete di giustizia, la sincerità incrollabile, la capacità di far fronte a qualunque avversità o dolore (fisico o psicologico) con la schiena dritta e l’inquietante sorriso sulle labbra. Se, insomma, non ci viene voglia di “essere Wayne”, siamo sicuramente stuzzicati dall’idea di diventare “un po’ più Wayne” nella nostra vita quotidiana. E nel frattempo, quasi senza accorgerci, ci beviamo tutti gi episodi.
Perché seguire Wayne: il genere adolescenza-surrealmente-ribelle ormai lo conosciamo, ma Wayne riesce a trovare una sua strada, sorprendentemente tenera, comica e violenta.
Perché mollare Wayne: Qui e là è inevitabile un certo senso di dejà vu, specie pensando a The End of The F***ing World.
PS sarà il caso che qualcuno cominci a riconoscere il valore delle produzioni di Youtube, di cui nessuno parla mai, ma che anche solo con Cobra Kai, Impulse e Wayne avrebbe diritto a sedersi a tavoli più pregiati di quelli a qui è relegato.