The Marvelous Mrs. Maisel: quel grande finale della seconda stagione di Diego Castelli
Una stagione divertente, con qualche ombra e un’ottima conclusione
SPOILER SU TUTTA LA STAGIONE
Nel giro di un paio d’anni, parlare bene di The Marvelous Mrs. Maisel è diventato una specie di sport (inter)nazionale a cui tutti vogliono partecipare. Noi compresi, naturalmente, perché la serie creata da Amy Sherman-Palladino si è scavata un posto nei nostri cuoricioni dopo una-puntata-una, e nessuno la schioda più da lì.
In occasione dell’arrivo della seconda stagione avevamo parlato della premiere vista in anteprima a Milano, sottolineando la bellezza dell’ambientazione parigina, la riproposizione dello stile rapido, fresco e frizzante che aveva caratterizzato la prima annata, la voglia di vedere dove sarebbe andata a parare la storia di questa ex moglie perfettina decisa a sfondare nel mondo grezzo e volgarotto (ma tanto creativo e soddisfacente) della stand-up comedy.
Nel complesso, la seconda stagione ha rispettato le aspettative, pur con qualche piccolo giro a vuoto, ma è stata soprattutto capace di regalarci un grande finale.
Guardando più nel dettaglio, forse ha quasi più senso parlare di ciò che in questo ciclo di episodi non ha funzionato, o ha funzionato meno, visto che quello che invece funziona alla grande (i dialoghi serrati, la ricchissima messa in scena, l’orchestrazione minuziosa di grandi scene corale dal sapore squisitamente teatrale) lo conosciamo già.
In questo senso, la seconda stagione di The Marvelous Mrs Maisel ha mostrato due difetti piccoli ma abbastanza vistosi: da una parte l’abbandono frettoloso dell’ambientazione parigina, che alla vigilia era stata venduta come grande novità della stagione, e che invece è sparita prestissimo; dall’altra (e Parigi è in qualche modo sintomo di questo problema), un certo autocompiancimento da parte degli autori.
Nel corso degli episodi, fra il viaggio in Francia per recuperare la madre di Midge e le settimane estive alle Catskills, c’è stata l’impressione di una collezione di quadretti divertenti che non sempre servivano alla trama più generale della serie. Alcuni temi e storie principali (il nuovo amore della protagonista, i patemi del padre per i segreti di entrambi i figli) hanno continuato a svilupparsi per tutta la stagione, ma altrettanto evidente è stata la volontà di creare siparietti simpatici che dovevano funzionare di per sé, quasi che fossero scene già pensate per una condivisione virale a prescindere dal contesto.
Non c’è nulla di male, naturalmente, nell’orchestrare sequenze e gag che c’entrino relativamente poco con la trama principale di una serie o di un film, potremmo fare sedici miliardi di esempi al riguardo. L’impressione, però, è che questa seconda stagione di Mrs Maisel abbia leggermente esagerato, con la scrittura di “bei momenti” che però rivelavano troppo rapidamente la loro natura di riempitivi stupidoni, in barba al fatto che, quando uno spettatore sta guardando una serie che sa essere orizzontale, quella orizzontalità la vuole sempre tenere sott’occhio. (o magari la Sherman-Palladino voleva finire nei serial moments, ma non si è ricordata che le serie in streaming non ci finiscono! Mi avesse telefonato glielo avrei spiegato, ma quella è una testona…)
L’esempio forse più evidente è proprio la vicenda della madre di Midge, che per i primi due episodi monopolizza l’attenzione (e il setting) con la sua voglia di indipendenza, e poi semplicemente sparisce, senza che quella storia abbia alcuna rilevanza da lì a fine stagione.
Soprattutto, per lungo tempo l’impressione è che la più sacrificata sia proprio la carriera comica di Midge, che continua a punteggiare la trama con sempre nuove serate, ma che per un numero troppo grosso di episodi risulta accessoria rispetto a sottotrame diventate improvvisamente, e un po’ impropriamente, più importanti: su tutte la storia d’amore con Benjamin (interpretato dal fan favorite Zachary Levi), che per larga parte della stagione trasforma la serie nella commedia romantica che in teoria non è.
Questo però è un difetto-non-difetto, perché da un certo punto di vista può essere inteso come la preparazione più efficace possibile (benché in un certo modo “faticosa”) per un grandissimo finale.
Nell’ultimo episodio, dove aver partecipato al Telethon e aver conosciuto il famoso cantante Shy Baldwin, Midge riceve la proposta di sei mesi di tour in cui dovrà aprire i concerti del musicista, girando l’America e mettendo una nuova, robustissima base al suo successo. Proposta che Midge accetta subito, senza se e senza ma.
Considerando tutto quello che abbiamo visto prima, questa decisione è il vero fulcro tematico e filosofico della stagione, la vera chiave di volta. Fino a quel momento, avevamo visto la protagonista impegnata a “tenere insieme tutto”: la carriera, la famiglia, l’amore. E se è vero che qualche screzio con i genitori si era creato, così come qualche attrito con l’ex marito all’arrivo del nuovo compagno, è altrettanto vero che Midge se la stava cavando bene, rattoppando e risolvendo, usando la sua parlantina e la sua verve, senza rinunciare a nulla, credendo di poter puntare a un nuovo matrimonio E alla pace familiare E alla carriera tutta da sviluppare.
Il finale, invece, alza improvvisamente il tono drammatico-malinconico della serie, e ci mostra una Midge finalmente cosciente di dover rinunciare a qualcosa. L’insistenza sul romanticismo degli episodi precedenti acquista dunque un nuovo senso, perché è dal romanticismo (bello, hollywoodianamente prezioso) che Midge deve allontanarsi per realizzare il suo sogno, e proprio quell’insistenza ce ne restituisce bene tutto il peso.
Ottima, in questo senso, la scelta di usare “All Alone”, la canzone-monologo con cui Lenny Bruce conquista il pubblico televisivo e apre una breccia nella consapevolezza di Midge. Quel pezzo (che è la riproposizione di un evento reale, lo trovate qui) è insieme un consiglio e una condanna, perché Lenny Bruce è effettivamente morto da solo, di overdose, e il fatto che Midge capisca proprio da lui cosa deve fare della sua vita getta un’ombra inaspettata sull’esistenza solitamente colorata e solare della protagonista.
E di certo non dobbiamo fare l’errore di non considerare il peso politico di una scelta del genere. Che The Marvelous Mrs Maisel fosse una serie femminile e femminista lo sapevamo già, e fin dal suo concept (una donna che cerca di sfondare in un lavoro tradizionalmente maschile) rivendica un ruolo diverso per le donne nella società e una lotta continua agli stereotipi di genere, con cui Midge gioca continuamente (è una comica vigorosa e a tratti volgarotta, ma anche una donna fine ed elegante).
Il finale, però, aggiunge un ulteriore tassello. Perché da un certo punto di vista è facile mettere in scena una storia ambientata nel passato, in cui una donna deve combattere per ottenere diritti che noi, nel 2018, consideriamo già acquisiti. “Ti piace vincere facile”, verrebbe da dire, perché raccontare una storia al femminile in cui non c’è dubbio sulla ragione della protagonista e sul torto di chi la ostacola, rende tutto eticamente ineccepibile, ma anche un po’ scontato.
Con il finale della seconda stagione, invece, The Marvelous Mrs Maisel alza la difficoltà. No, Midge non può fare tutto. E no, la scelta che compie non è necessariamente quella giusta, perché il paragone con Lenny Bruce ci dice che la donna potrebbe condannarsi a una vita di solitudine e infelicità. Ma la rivoluzione è proprio qui, nella possibilità, anche per una donna, di prendere la decisione “sbagliata”, quella meno ovvia, quella potenzialmente autolesionista. In un mondo (narrativo, seriale, cinematografico) in qui solo agli uomini è consentito essere belli e dannati, la vera libertà femminile è anche e soprattutto libertà di rinunciare a tutto ciò che la società dice essere “giusto e normale” per una donna, per imboccare una strada oscura, senza certezze, in cui è anche possibile perdersi, costruendo però nel frattempo qualcosa di grandioso. Cosa che gli uomini fanno da sempre, e che alle donne è tradizionalmente impedito.