Queen America – Su Facebook Watch, Catherine Zeta-Jones diventa allenatrice di miss di Diego Castelli
Queen America è una comedy leggera, ma non priva di qualche elemento interessante
La questione è questa: non abbiamo ancora recensito una sola serie di Facebook Watch, quella che dovrebbe essere (al momento molto in piccolo) la Netflix gratuita targata Facebook. La sua programmazione, fatta di drama, comedy, documentari ecc, è iniziata ormai da un annetto, ma ha raggiunto una certa rilevanza solo con la recente Sorry for Your Loss, drama a sfondo vedovale (ma poi esisterà la parola “vedovale”?) con Elizabeth Olsen. Una serie di cui, per inciso, non abbiamo visto una sola puntata, cosa per la quale dovremmo sentirci palesemente in colpa, ma visto che è quasi Natale ce ne sbattiamo abbastanza le balle (anche se toccherà comunque recuperarla in qualche modo).
Per (non) rimetterci in pari, procediamo allora a recensire una delle ultimissime arrivate in casa Facebook Watch, cioè Queen America, altra serie che si permette di spararci addosso un faccione hollywoodiano come quello di Catherine Zeta Jones.
Creata da Meaghan Oppenheimer, sceneggiatrice ancora giovanissima al suo primo progetto seriale importante, Queen America esplora il mondo delle miss, raccontando il dietro le quinte della corsa a Miss America e focalizzandosi su compromessi, sotterfugi, fatiche, dolori e soddisfazioni delle aspiranti reginette di bellezza.
Non è però un racconto drammatico e duro, bensì una comedy quasi sempre leggera, in cui Catherine Zeta Jones interpreta una coach delle miss che si ritrova suo malgrado ad allenare una ragazza indubbiamente carina, ma anche goffa, ingenua e apparentemente poco portata per la vita da reginetta, tutta glamour e sorrisi finti.
Senza essere la serie dell’anno, Queen America ha però diversi pregi, perché non ha paura di lavorare con quelli che sono i punti di forza scontati di un concept come questo. I dietro le quinte funzionano sempre, specie quando si tratta di raccontare la fatica nascosta dietro performance apparentemente naturali e spontanee, come possono essere il canto, la danza, o perfino la cucina. In questo senso, il mondo dorato delle miss è perfetto: sul palco e davanti alle telecamere, le ragazze sono sempre perfette, immacolate, belle dentro e fuori. A luci spente, però, vengono fuori l’allenamento maniacale, le insicurezze e gli errori.
Soprattutto, niente come le competizioni di bellezza si presta a ragionamenti più ampi sulla società dell’immagine e sulla rappresentazione della donna. Nella serie, Miss America è un simbolo di perfezione, un’ideale da raggiungere e mostrare al popolo. Ma la sceneggiatura non dimentica mai di mostrarci la sostanziale fragilità di quel mito, non solo in termini di importanza effettiva nel mondo (dai, francamente, che diavolo ce ne frega delle miss nel 2018?), ma anche nel rapporto fra realtà e finzione nella stessa immagine pubblica delle ragazze: l’allenamento a cui le protagoniste si prestano non punta a farle diventare migliori (più belle, più atletiche, più intelligenti, più colte), bensì a farle sembrare tali, a esclusivo beneficio dei giudici di turno.
Mentre cavalca i suoi sogni di effimera gloria, la coach Vicki (interpretata dalla Zeta-Jones) è anche una donna che ha lasciato indietro una figlia, affidandola alla sorella senza riconoscerla, e comportandosi con lei come una zia sempre indaffarata. Pur nell’atmosfera commediosa, nasce quindi un tema importante di responsabilità e di priorità, che diventa ancora più rilevante se pensiamo, più in generale, al mondo in cui viviamo: se è vero che le miss hanno perso importanza, e a cadenza regolare vengono sollevate perplessità circa la rappresentazione che competizioni del genere danno delle donne, è altrettanto vero che quella attuale è una società dove trionfa un generale pressapochismo, e dove svetta la figura di personalità (politiche, dello spettacolo, del web) che non sanno fare effettivamente niente, ma in qualche modo sanno porsi.
Queen America è insomma una serie leggera e divertente, apparentemente senza grosse pretese, ma che scava in tematiche centrali del nostro tempo, magari non specificamente “nuove”, ma ritarate su un’evoluzione moderna – e a tratti inquietante – della nostra cultura e del modo in cui vediamo noi stessi.
Se riuscite a superare il fatto che su Facebook Watch ogni tanto parte la pubblicità (facendoci sentire come davanti alla tv generalista), io qualche episodio ve lo consiglierei.
Perché seguire Queen America: è una comedy leggera e divertente, ma che affronta temi meno banali di quello che potrebbe sembrare.
Perché mollare Queen America: se i concorsi di bellezza vi interessano poco sia nella realtà che nella fiction.