Dogs of Berlin – Chi ha ucciso il bomber della nazionale tedesca? di Marco Villa
Dogs of Berlin è la seconda serie tedesca di Netflix, una serie che affronta il tema dell’identità e pone al centro la comunità turca
L’autunno di Netflix è all’insegna delle serie europee. Prima l’innominabile spagnola, poi la nostra Baby e la polacca 1983, ora la tedesca Dogs of Berlin, seconda produzione germanica dopo la sofisticata Dark. L’aggettivo non è casuale, perché tanto era ambiziosa e strutturata quella, tanto è pop e leggera questa, con spunti interessanti e qualche ingenuità.
Scritta e diretta da Christian Alvart, regista che vanta film a Hollywood, Dogs of Berlin è disponibile su Netflix dal 7 dicembre e i solutori più che abili avranno già capito che è ambientata nella capitale tedesca. Qui si incrociano due vicende parallele, che il sempre più abile solutore può supporre che prima o poi si incontreranno. La prima ruota intorno a un cadavere ritrovato per strada: non un cadavere qualsiasi, ma quello del bomber della nazionale tedesca, un calciatore da Pallone d’Oro di origine turca, che ha scelto di giocare per la Germania, causando non pochi malumori in Turchia. Il cadavere viene ritrovato la notte prima di una sfida decisiva proprio tra Germania e Turchia e questo mette in moto una serie di reazioni: la prima è quella di tenere tutto segreto per evitare disordini, la seconda è quella del poliziotto Kurt Grimmer (Felix Kramer), uno pieno di debiti e con un fratello a capo di un gruppo nazi, che spedisce la fidanzata a fare una super scommessa contro la Germania. Tutto questo, ovviamente, prima di iniziare a indagare. La seconda vicenda è invece legata a Erol Birkan (Fahri Yardim), poliziotto che guida una complessa indagine su un gruppo di narcotrafficanti turchi. Piccola postilla, anche Erol è di origine turca e il fatto di essere entrato in polizia lo rende poco simpatico agli occhi dei suoi compatrioti.
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La questione identitaria è centrale in Dogs of Berlin: nel primo episodio si pone a più riprese, non solo nella trama principale, ma anche in dialoghi e scambi. Per un pubblico tedesco si tratta di temi senz’altro cruciali, ma riescono a essere interessanti anche per chi tedesco non è. Altro spunto interessante è quello dell’uccisione del giocatore, che cala la serie in un mondo potente e pieno di simbologie estreme come quello del calcio. A questo, aggiungete un tono che non ha paura di essere autoironico, con un protagonista che è tutto tranne che il classico poliziotto ombroso.
Queste le note positive, adesso arriva la parte meno simpatica. Dogs of Berlin paga parecchio in ingenuità, con un pilot strutturato in modo poco sensato e alcune cadute di stile. Dopo una partenza accattivante, c’è una lunghissima parte centrale in cui si introducono senza sosta situazioni e personaggi, senza che la storia principale abbia il minimo sussulto. La parte peggiore, però, arriva quando Dogs of Berlin cerca di passare da serie pop a serie profonda, con un dialogo che vorrebbe tanto fare True Detective, in cui si paragona il libero arbitrio di uomini e cani, arrivando alla conclusione che in fondo entrambi hanno qualcuno che decide per loro. E via di filosofia spicciola, piazzata negli ultimi sette minuti per avere un finale riflessivo, che finisce per lasciare delusi alla fine del primo episodio. Non proprio una scelta vincente.
Perché guardare Dogs of Berlin: per il tema turchi di Germania e lo spunto del calciatore ucciso
Perché mollare Dogs of Berlin: perché la deriva “spagnola” è sempre dietro l’angolo