Baby – Le Parioline di 18 anni di Marco Villa
Baby è la seconda serie tv italiana di Netflix e racconta la storia di Chiara e Ludovica, due liceali che finiscono in giri torbidi
È il 2010 e su YouTube arriva un video di una band sconosciuta. Chiamarlo video è fin troppo: è la foto di un cane che guarda verso l’obiettivo. Immagine fissa, mentre sotto parte un pezzo fulminante, che parla di liceali che comprano e vendono cocaina, si fanno filmini con le compagne di classe e fanno le aperte in motorino, in un misto di ingenuità e apatia, attraversato da una sottile linea di violenza sempre pronta a esplodere. Il pezzo è I Pariolini di 18 anni: in quella nicchia che era l’indie e che ancora non sapeva che nel giro di qualche anno sarebbe esplosa, la canzone diventa un fenomeno assoluto, facendo conoscere a tutti I Cani e il talento di Niccolò Contessa, il musicista che si nasconde dietro quel nome.
È il 2018, sono passati otto anni e quei pariolini cantati da Contessa hanno finito l’università, sono andati all’estero o lavorano. Sui banchi dei licei, però, sono stati sostituiti da ragazzi e ragazze nati intorno agli anni duemila, che comprano e vendono cocaina, fanno filmini con le compagne, ma ai motorini preferiscono le minicar. Quei ragazzi e ragazze che sono al centro di Baby, la seconda serie italiana prodotta da Netflix.
Disponibile in tutto il mondo dal 30 novembre, Baby è stata creata dai GRAMS*, collettivo di autori ampiamente sotto i 30 anni (Antonio Le Fosse, Giacomo Mazzariol, Marco Raspanti, Re Salvador, Eleonora Trucchi, trovate una bella intervista di gruppo su Studio). La storia è quella di Chiara e Ludovica, due adolescenti come tante che si ritrovano sballottate tra una famiglia che non c’è e un rapporto con i coetanei che si fa sempre più complicato. In cerca di autonomia e affermazione, finiscono per frequentare giri sempre più torbidi, che le portano fino alla prostituzione. Non è spoiler, Baby fin da subito è stata presentata come “la serie sulle baby squillo dei Parioli”, per poi diventare nella comunicazione semplicemente una serie sulle difficoltà dell’adolescenza.
Guardando la serie, il motivo di questo cambio di rotta è evidente: Baby è la storia di due ragazze che attraversano un periodo complicato, non è la ricostruzione di un fatto di cronaca. Non è un caso che, per buona parte delle sei puntate, il tema prostituzione non sia nemmeno sfiorato e che questo arrivi solo molto avanti nella narrazione. Gran parte degli episodi mostra Chiara e Ludovica alle prese con una quotidianità che diventa sempre più complessa da gestire.
Chiara è interpretata da Benedetta Porcaroli, già vista in Tutto può succedere (e di cui vi linko con sfacciata autopromozione l’intervista che le ho fatto su Sapiens): Chiara ha due genitori separati in casa, incapaci di vedere la realtà in cui vivono e di dare supporto alla figlia. Ludovica invece è interpretata da Alice Pagani, la più giovane delle ragazze invitate alle cene “eleganti” in Loro di Paolo Sorrentino: nella serie, Ludovica ha una madre nevrotica (Isabella Ferrari), che concentra tutte le sue attenzioni sul toy boy di turno. Intorno alle due ragazze c’è un gruppo di amici, tra cui spicca Damiano (Riccardo Mandorlini), coattello di periferia che si ritrova di colpo catapultato nel quartiere più ricco di Roma e nella scuola più esclusiva (e costosa) della città.
La scuola è ovviamente uno degli ambienti principali della serie e in alcuni momenti diventa inevitabile il confronto con la spagnola Elite, anche per alcune inquadrature d’ambiente pressoché similari. Rispetto a Elite, Baby ha la forza di tenersi lontana dal drammone esagerato, preferendo un approccio più realistico. Una scelta che funziona, perché il tono resta credibile e mai esasperato, almeno fino alla puntata finale, in cui si verifica un cedimento non da poco da questo punto di vista.
Baby è una serie interessante, con interpreti che funzionano (ottima la chimica tra le due protagoniste) e dialoghi che steccano, ma non troppo. Non è una serie perfetta e questa imperfezione si segnala soprattutto in una narrazione poco equilibrata in termini di sviluppo orizzontale: Baby procede con lo stesso ritmo per almeno quattro puntate, per poi perdere di coerenza e tentare un cambio di velocità nelle ultime due, modificando in modo quasi radicale tono e impianto e introducendo storyline che suonano pretestuose anche in vista di una seconda stagione, che però al momento non è ancora confermata.
I teen drama sono sempre complicati, a maggior ragione lo sono in Italia, perché non abbiamo una tradizione nel genere: Baby è indubbiamente un buon tentativo, che ancora non può raccogliere pieni elogi, ma che porta avanti una strada aperta con ottimi risultati da SKAM Italia, pur con tutte le differenze tra i due prodotti. Una seconda stagione potrebbe dare ancora più fiducia e slancio al gruppo autorale, perché le potenzialità ci sono tutte. Anche i rischi, però.
Perché guardare Baby: per la forza delle due protagoniste e la capacità di restare legati alla realtà
Perché mollare Baby: perché stavate cercando la serie sulle baby squillo, ma questa è un’altra storia