A Discovery of Witches: sangue, amore e fantasy in salsa british di Roberta Jerace
Soliti amori, soliti poteri, però dai, almeno non sono adolescenti
Partiamo con una considerazione semplice: A Discovery of Whitches è la classica storia di creature fantastiche, le stesse che imperversano sui nostri schermi da anni e che non smettono di trovare avventori entusiasti, popolando l’immaginario di ogni generazione da Bram Stoker a oggi.
La serie è un adattamento abbastanza fedele (almeno secondo quanto riferito dai lettori) al primo romanzo della trilogia All Souls di Deborah Harkness, che figura anche come produttrice esecutiva. Prodotto da Sky One, è curato dalla showrunner Kelly Brooke (Mr. Selfridge; I Medici) per la regia di Alice Troughton (In the flesh; Doctor Who; Merlin).
Una lettura attenta di questi nomi già permette di intuire le anime della serie: attenta alla scrittura, sofisticatamente inglese, con uno sguardo ammiccante rivolto al linguaggio seriale americano al fine di non rinunciare a un profilo internazionalmente riconoscibile. Tutto questo rende lo show seducente per una vasta platea di spettatori, ma forse rinuncia a quella caratteristica cifra british che ha permesso a serie di grande qualità, negli ultimi anni, di distinguersi per la loro capacità di regalarci autentici scorci di umanità anche nel più soprannaturale degli scenari (basti pensare a quel capolavoro di In The Flesh).
Avviso: un po’ di trama e qualche spoiler di poco conto.
La storia è sempre la stessa: da Dante a Shakespeare passando per Ginevra e Lancillotto o Catherine ed Heathcliff, l’umanità ha sempre avuto un debole per le storie d’amore impossibili.
Qui i due protagonisti, la dottoressa Diana Bishop (interpretata da Teresa Palmer; Warm Bodies) e il genetista Matthew Clairmont (Matthew Goode; Downton Abbey, The Good Wife), sono rispettivamente una strega e un vampiro divisi dall’appartenenza a due specie in conflitto e da un patto che impedisce le relazioni miste.
Una declinazione abbastanza tradizionale del genere strega/vampiro penserete. Ma qui subentrano le differenze rispetto alle precedenti narrazioni televisive: la storia d’amore non è tra due adolescenti (operazione già perfettamente riuscita in True Blood, dove all’inizio almeno una dei due era ragazzina), ma tra due adulti reduci dal proprio percorso personale e del tutto immersi in una quotidianità dalla direzione chiara e decisa. Diana, infatti, è una professoressa di Storia ad Oxford, Matthew invece è impegnato a studiare geneticamente le varie creature quando l’imprevisto ritrovamento di un manoscritto stregato mette sulla stessa strada i due protagonisti scombussolando il loro percorso e minacciando di rompere ogni equilibrio per tutte le specie.
Non fatevi ingannare dal titolo, non ci troviamo davanti alla scoperta dei poteri da parte della strega, o alle difficoltà del processo di trasformazione in vampiro, questi sono passaggi dai quali i nostri protagonisti sono già transitati, sono già approdati a una fase apparentemente matura della loro vita. Nonostante ciò l’amore è quello con la A maiuscola: attrazione che è centro di gravitazione assoluta, passione che caparbiamente supera tutti gli ostacoli e che pure resta sempre sorprendentemente adolescenziale che gli anni siano i 17 di Twilight, i 30 di Diana o i 1000 di Matthew. Ottimo a tal proposito il finale letteralmente “mozzafiato” del primo episodio, con la tensione palpabile tra i due e un twist selvaggio e grintoso.
Il salto di qualità più esplicito è probabilmente quello ravvisabile nella scelta delle location: dalla biblioteca Bodleiana di Oxford, ai sestieri di Venezia, ai castelli della Francia, alle campagne gallesi, ognuno di questi scenari porta con sé l’implicita magia del vecchio continente, che fotografia e scenografia non hanno dovuto far altro che valorizzare per imprimere un effetto stupefacente alla godibilità visiva della serie. Un vero e proprio spettacolo per gli occhi!
Tra gli aspetti non proprio felici invece, c’è la pletora di personaggi che viene presentata e agisce al fianco o alle spalle dei due principali: parenti e amici (Alex Kingston, Doctor Who; Louise Brealey, Sherlock), congreghe di streghe, famiglie di vampiri, cattivoni manipolatori (Owen Teale, Game of Thrones), elementi che minacciano di rivelarsi schegge impazzite. Ci sfugge la definizione del ruolo e della personalità di tutti e rischiamo di smarrirci tra le fila di questo intreccio di rapporti. Ah, dimenticavo, ci sono pure i demoni! Evidentemente ancora ai margini della storyline principale fanno la parte dell’insalata, insapore rispetto alle portate principali ma serve a sgrassare e poi se non c’è se ne sente la mancanza.
Le magie poi, non possono meravigliarci più di tanto, bersagliati come siamo da effetti speciali di grande qualità sul piccolo e sul grande schermo. Qualche puntata dopo ad esempio, il “vento delle streghe” appare assai poco spaventoso e dev’essere spiegato direttamente al pubblico perché questo ne colga il valore chiave.
Qualcosa manca quindi, nella traduzione dal romanzo alla tv, ma certamente non il conflitto di Diana con la sua natura magica; la magia di Diana scaturisce dalle emozioni e il suo tentativo di sfuggirle è vano. Non rimane allo spettatore che cogliere la valenza narrativa e il suggerimento simbolico di questa storia che vuole fortemente ricordarci come ogni emozione può essere una vera e propria magia.
Perché seguire A Discovery of Witches: La classica storia di demoni vampiri e streghe in veste british, che potrebbe diventare più di quanto ha dimostrato fino ad ora.
Perché mollare A Discovery of Witches: Perché non fa il botto e non siamo sicuri che tutte le imperfezioni verranno corrette in corso d’opera.