Who Is America: l’inquietante morte del significato nel (geniale) ritorno televisivo di Sacha Baron Cohen di Diego Castelli
Con Who Is America, Sacha Baron Cohen torna in tv e mostrarci senza pietà lo schifo che siamo diventati
Sacha Baron Cohen può piacere o non piacere, ma nessuno può dire che in questi ultimi vent’anni non sia riuscito a costruire uno stile dalla riconoscibilità assoluta, sia in tv che al cinema.
Quale che sia la piattaforma, il formato o il personaggio interpretato (da Ali G a Borat), la satira del comico e autore londinese ha un fisionomia ben precisa, che nella quasi totalità dei casi prevede l’incontro fra i suoi personaggi e persone (più o meno note) che non sanno di trovarsi di fronte un comico pesantemente travestito e truccato. Ali G, il suo primo alter ego a diventare famoso, faceva esattamente questo: intervistava vip di varia estrazione che credevano di partecipare a una normale intervista, salvo poi essere risucchiati in un vortice di totale idiozia da cui inevitabilmente non sapevano come uscire.
Con gli anni la verve comica di Cohen si è fatta via via più politica, e ormai il suo nome è legato a una precisa di idea di smarchermento dell’umana stupidità, con particolare riferimento al cittadino medio americano, in modi che molti trovano fastidiosi o perfino squallidi, ma che raramente mancano il bersaglio.
Who Is America, in onda su Showtime, rappresenta il ritorno di Sacha Baron Cohen alla tv dopo la lunga parentesi cinematografica, e l’approccio alla materia è sempre lo stesso. Nel pilot, della durata di mezz’ora, il comico presenta quattro nuovi personaggi, che incontrano un certo numero di personalità molto diverse: Billy Wayne Ruddick Jr PhD, amante dei complotti e fondatore del fantomatico sito truthbrary.com, incontra Berny Sanders, ex candidato alle primarie democratiche per la corsa alla Casa Bianca; Nira Cain-N’Degeocello, democratico superstrano dalla vita assai particolare, incontra Jane Page Thompson, delegata repubblicana per il Sud Carolina e trumpiana di ferro; Rick Sherman, ex detenuto diventato artista che usa i propri fluidi corporei per dipingere, propone i suoi lavori a una consulente d’arte di Laguna Beach; e infine Erran Morad, esperto israeliano di anti-terrorismo, incontra numerosi repubblicani pro-armi, fra cui Philip Van Cleave, presiente del Virginia Citizens Defense League.
La dinamica, come detto, è sempre la stessa: Cohen si presenta col suo personaggio fittizio, cerca di empatizzare con le sue “vittime”, e prova a portarle su una strada di totale confusione mentale, tale da renderli poco più che pupazzi senza cervello nelle sue mani.
Dal punto di vista puramente comico e satirico, il gioco funziona a fasi alterne. Il segmento più debole è probabilmente quello di N’Degeocello, in cui l’assurdità dei racconti di Cohen (la cui figlia super-liberal viene costretta a mestruare su una bandiera americana come forma di ricordo del sacrificio sanguinoso dei padri fondatori) si scontra con la pacata gentilezza dei suoi interlocutori, completamente sgomenti di fronte alle sue parole, ma così calmi e gentili da farci provare sincera pietà per loro.
All’opposto, riuscitissimo il capitolo con Erran Moran, a cui basta un niente per portare i vari repubblicani di ferro a giustificare e addirittura promuovere con entusiasmo un programma da lui ideato per mettere le armi da fuoco nelle mani di bambini di tre anni. Van Cleave viene addirittura convinto a girare una specie di programma per bambini in cui promuovere l’adozione, da parte degli asili, di armi mascherate da animali di pezza, per far impratichire i ragazzini. Un instant classic.
Ma al netto della riuscita meramente spettacolare dello show, e dei brividi che corrono lungo la schiena nel sentire certe prese di posizione degli intervistati (brividi tutto sommato “facili”, perché Cohen va a beccare il peggio del peggio e lo manipola con facilità), il più grosso risultato di questo episodio, e forse dell’intero stile del comico inglese, sta nel mettere in evidenza quella che potremmo definire la morte del significato, ucciso dal contesto e dalla partigianeria.
Che si tratti di repubblicani fanatici delle armi, o di una gallerista che arriva a definire “arte” i disegnetti fecal-spermatici di un ex detenuto, il nocciolo della questione riguarda sempre e comunque l’incapacità, da parte delle persone con cui il protagonista si interfaccia, di comprendere appieno il significato delle parole che vengono pronunciate, ipnotizzate come sono dal contesto in cui si trovano ad ascoltarle e dalla telecamera che nel caso specifico gli viene puntata contro.
Se è vero, come è vero, che gli anni in cui viviamo sono caratterizzati da una progressiva perdita di capacità critica e di banale abilità nella comprensione dei testi più semplici, in favore di un massiccio abbandono verso opinioni precostituite, “pacchetti” valoriali predigeriti e una generale propensione all’alzare la voce piuttosto che a migliorare gli argomenti (si pensi alla facilità di circolazione delle più assurde fake news, o al rapporto acritico e pressoché fideistico con certi leader politici), Who Is America centra perfettamente il bersaglio: a essere svelata e spiattellata sullo schermo non è tanto la stupidità della gente, quanto lo scollamento delle loro percezioni, l’incapacità di riconoscere contesti e linguaggi diversi da quello a cui sono abituati e legati a doppio filo, come se qualunque elemento di “novità”, o discordante, venisse immediatamente normalizzato dentro confini comprensibili e rassicuranti.
Non è altro che il concetto della bolla di filtraggio, il fenomeno tipico dei social per cui ogni utente finisce col trovarsi di fronte solo contenuti che già conosce e già approva, senza possibilità di strade alternative. Il risultato estremo, sembra dirci Sacha Baron Cohen, è la surreale incapacità di riconoscere quando ci si trova fuori dalla bolla, che non è più solo un momentaneo e leggittimo spazio di comfort, ma un vero e proprio stile di vita.
L’immediatezza con cui Cohen mette in scena questa terrificante realtà dei nostri tempi vale da sola il prezzo del biglietto.
Perché seguire Who Is America: una comedy che faccia ridere ma che riesca anche a inquietare a livello così profondo, è merce rara e preziosa.
Perché mollare Who Is America: solo se avete già sperimentato in passato lo stile di Sacha Baron Cohen, e già sapete che vi fa schifissimo (ma una chance dategliela lo stesso)