Condor – Una serie tv di spionaggio che si dimentica di esserlo di Marco Villa
Il pilot di Condor non è tragico, ma non funziona a livello di equilibri, al punto che spesso ci si dimentica di essere davanti a una serie tv di spionaggio
Questione di equilibri, di bilanciamenti. Se fai una comedy, non puoi passare tre quarti del pilot a fare dialoghi drammatici in punta di lacrima. Allo stesso modo, se fai una serie spy, non puoi passare metà del pilot a parlare dei problemi amorosi del protagonista e a mostrare quanto si allena e quanto è tonico nella corsa. Per questo, pur non essendo tragica, Condor non lascia un segno che sia uno.
Condor è la nuova serie tv di Audience, ispirata a I sei giorni del condor (libro) e a I tre giorni del condor (film). Siamo a Washington, in un ambiente attiguo alla CIA, ma non pienamente inglobato in essa: Joe (Max Irons, già in Tutankhamon) è infatti un programmatore che lavora alla realizzazione di software in grado di aiutare l’agenzia a scovare potenziali minacce. Lui e il suo team fanno ricerca tecnologica a tutto campo, sperando di trovare l’idea giusta in grado di salvare il mondo: un po’ come un vecchio progetto che torna d’attualità, perché permette alla CIA di sventare un attacco batteriologico in uno stadio affollato da 80mila persone. O almeno così sembra, perché ben presto si scopre che l’attacco è una false-flag, ovvero una messinscena attuata da branche deviate della stessa CIA. Ignaro di questo, ignaro di tutto, il buon Joe si mette a indagare sul mancato attentatore e per questo entra nel mirino dei colleghi traditori.
La storia di Condor è interessante e parte da uno spunto originale, perché non siamo di fronte al classico agente operativo che rischia la pelle sul campo. Il problema è che il primo episodio è scritto parecchio male: tutta la faccenda della CIA deviata la conosce solo lo spettatore e va a toccare Joe solo negli ultimi minuti. Per fare minutaggio, quindi, gli autori insistono parecchio per costruire la backstory del protagonista, che a quanto pare fatica a trovare l’amore della sua vita e a fidarsi e si fa delle grandi corse. La parte sentimentale occupa persino la prima sequenza della serie e torna per altri due lunghi momenti. Allo stesso modo, la corsa è l’altro tormentone e vediamo più volte Joe scattare di qua e di là per Washington.
Paradossalmente il pilot di Condor risulta così sbilanciato su temi e toni che non sono quelli spy: è evidente che nelle prossime puntate le cose cambieranno, ma non avendo potuto testare la qualità di scrittura della parte più thrilling è difficile dare un giudizio positivo. Su tutto, però, si impone un Brendan Fraser nei panni del burattinaio oscuro, che dopo Trust piazza un altro personaggio marginale, ma potente.
Spesso le serie di questo tipo concentrano nel pilot grandi quantità di azione, lasciando al prosieguo della stagione il compito di dare più sfaccettature ai personaggi: qui succede l’opposto, ma con una qualità di scrittura piuttosto dozzinale. Non è una bocciatura in toto, non è il pilot peggiore dell’anno, ma qualcosa di meglio andava fatto.
Perché guardare Condor: perché è una spy story con un punto di vista differente
Perché mollare Condor: perché fatica a equilibrare i vari aspetti della storia