Killing Eve season finale: prima stagione approvatissima! di Diego Castelli
Di Killing Eve ci era piaciuto il pilot, e poi ci è piaciuto anche tutto il resto
SPOILER SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE
Dopo otto episodi della prima stagione, e con in saccoccia il rinnovo per la seconda, possiamo ora confermare serenamente quello che il Villa butto lì in occasione del pilot: Killing Eve è una signora serie, Phoebe Waller-Bridge è una signora autrice (ma lo sapevamo già), e in generale ci siamo divertiti un casino.
Se vi serve un recap più puntuale della serie, vi rimando alla recensione iniziale. Qui basti ricordare che la Eve del titolo è una spia abituata più alla scrivania che all’azione, che si trova a costruire uno strano rapporto cacciatore-preda (dove i due ruoli si scambiano continuamente) con una killer russa e fuori di testa di nome Villanelle.
Due mi sembrano i livelli di lettura più meritevoli in questo momento. In primo luogo il gioco sui generi. Nel tentativo (riuscitissimo) di proporre qualcosa di fresco in un mondo audiovisivo che di spie e sicari ne ha visti a migliaia, Waller-Bridge decide di contaminare più generi diversi, accostando aree tematiche e di intrattenimento che di solito non stanno così vicine.
E non è solo questione di “mettere il divertimento dentro una storia di spie”, perché altrimenti potremmo citare un qualunque Mission: Impossible con Tom Cruise. È questione di stupire scientemente lo spettatore con continui cambi di tono. Killing Eve sa essere comica (specie nei rapporti fra Eve e i colleghi) e grottesca (ogni volta che entra in gioco la violenza quasi sbarazzina di Villanelle), ma anche seria e calcolata. E queste due anime si intersecano in maniera sorprendente, come se fossero legate a un interruttore che l’autrice aziona a intervalli imprevedibili.
Il risultato è un’architettura narrativa e di messa in scena che non annoia mai, perché non siamo mai in grado di dire se la prossima scena sarà tosta o leggera, complicata o stupidona, ma il filo della narrazione è comunque tenuto abbastanza saldo affinché quei salti di tono non vengano percepiti come puro caos.
Questo, naturalmente, si deve anche al fatto che la follia viene in qualche modo normalizzata da spazi precisi in cui viene contenuta: con Villanelle sappiamo di essere sempre sull’orlo della sorpresa più cruda e matta, con Eve e i suoi colleghi sappiamo di entrare nel mondo della commedia dialogica, e quando invece si avvicinano le due protagoniste ecco che scende in campo una tensione più pura, legata allo scontro fra il mondo emotivo di Eve (dove la morte delle persone non è una bella cosa) e quello di Villanelle (dove la morte è solo uno strumento di lavoro e pure di svago).
C’è però un altro livello di lettura, in qualche modo più personale, che ci fa vedere ancora di più la mano di Waller-Bridge, una che prima di Killing Eve aveva scritto e interpretato drama e commedie magari strambe (come Fleabag), ma comunque più legate a una dimensione personal-romantica della vita.
In realtà, anche Killing Eve riesce a essere quasi una serie romantica. In molti hanno sottolineato il suo carattere femminile e femminista, che non riguarda solo il fatto che la maggior parte dei personaggi principali (con l’esclusione di Konstantin) sono donne.
Proprio come in Fleabag, dove il racconto tutto sommato tradizionale di una donna single veniva stravolto dal modo spesso apertamente maschile con cui la protagonista gestiva la sua singletudine, in Killing Eve si lavora su una base tradizionalmente maschile (le spie e i killer) per buttarci dentro una spiccata femminilità, che però non si concretizza (il bello è qui) in una sorta di generica fragilità. Tutt’altro, Eve e soprattutto Villanelle sono donne fortissime, indipendenti, determinate, ben superiori, come acume e praticità, rispetto agli uomini che hanno intorno. Eppure mantengono un’empatia tipicamente femminile che poi è il cuore della loro relazione: alla base di Killing Eve, perfino del suo titolo, c’è una strana e imprevedibile amicizia.
È un’amicizia che nasce e ruota intorno a un preciso elemento, che è il contrario del titolo: dalla prospettiva di Villanelle, Eve è diversa dagli altri perché è l’unica persona che non vorrebbe uccidere. Il vero perché non lo sa nemmeno lei, ma la cosa strana e buffa è che Eve sembra provare la stessa cosa. Quella che inizia come una caccia al killer diventa presto un’ossessione, e per quanto i sentimenti dell’una e dell’altra siano diversi (ciò che Villanelle prova per Eve si avvicina all’attrazione romantica e sessuale, oltre a una più vaga ricerca di famiglia e normalità che manifesta anche con Konstantin, mentre Eve è più attratta da Villanelle in quanto figura quasi mitologica), quello che conta è un progressivo avvicinamento che impedisce loro di farsi davvero del male.
Chiamiamola amicizia, che viene facile: a dispetto di condizioni oggettivamente poco favorevoli, tra Eve e Villanelle nasce un’amicizia tanto più forte quanto più è immotivata (e a tratti questo è perfino motivo di frustrazione per lo spettatore). Eve e Villanelle arrivano a volersi bene, a non desiderare il male dell’altra, e la serie finisce ben presto a strutturarsi non come una contro l’altra, bensì come tutte e due contro il mondo, in un rapporto dolcemente perverso che non dovrebbe esistere ma che non riesce nemmeno a non-esistere.
A colpire, insomma, è la capacità di Phoebe Waller-Bridge di ribaltare continuamente gli stereotipi. Lo faceva in Fleabag e lo fa qui, dove scrive una storia di spie che fanno ridere, di donne-killer più spietate di tante controparti maschili, di amicizie pure e semplici come quelle fra liceali, ma incastrate in un contesto di violenza, ossessione e follia. Non c’è un solo elemento “normale” in Killing Eve, eppure, altro paradosso, si empatizza senza problemi con i personaggi, proprio perché in certe loro incoerenze rivediamo un tratto tipicamente umano (e, per certi versi, tipicamente femminile) che però non è mai una debolezza, quanto più un arricchimento e un elevamento rispetto allo standard marchiato a fuoco delle spie e dei film d’azione.
Il finale naturalmente è stata l’apoteosi di questi continui cambi di fronte: Eve e Villanelle (intepretate con il consueto, studiato stupore da Sandra Oh e Jodie Comer) sono nella stessa stanza e sono praticamente amiche, stanche e spossate dopo un continuo inseguimento che, forse, non è quello che vogliono veramente; poi Eve risponde agli obblighi “lavorativi” a cui si sente legate e accoltella Villanelle; poi però se ne pente, cercando di aiutarla ma lasciandosela scappare. Ancora una volta, siamo di fronte a un’amicizia giovane e ingenua, emozionante e complicata, tratta però non come un teen drama, ma come una spy story sanguinolenta.
Alla fine della corsa, in attesa della prossima stagione, siamo probabilmente un po’ storditi. Però ci siamo tanto divertiti e vogliamo clamorosamente bene a tutte e due le protagoniste. Di più non si poteva proprio chiedere.
PS posso fare solo un appunto all’episodio finale: quando Villanelle dialoga su una panchina con la figlia rapita di Konstantin (vedere foto sotto), le due si muovono di fronte a un green screen di bassissima lega, ma proprio brutto brutto brutto, come se avessero improvvisamente finito i soldi per farlo meglio.
Così, ci tenevo a dirlo nel caso qualcuno dei produttori leggese l’articolo (eventualità che mi pare probabilissima).