10 Maggio 2018 9 commenti

Sweetbitter: non solo la storia di una cameriera di Diego Castelli

Su Starz arriva la serie tratta da un romanzo di successo, che racconta la crescita di una ragazza di provincia catapultata in un ristorante di lusso

Copertina, Pilot

Sweetbitter cover

Io non sono mai stato uno da “mollo tutto e vado nella grande città in cerca di fortuna”. Un po’ perché nella grande città ci vivevo già (vicino, per lo meno), e un po’ perché sono un pigro bastardo con lo spirito d’avventura di un bulldog di dodici anni.
Questo però non vuol dire che non mi possa divertire seguendo la storia di chi il coraggio di fuggire ce l’ha, anche se per farlo finisce in un altro di quei posti di cui non so nulla e tendenzialmente non voglio sapere niente: la cucina.

Oggi parliamo di Sweetbitter, nuova serie di Starz creata da Stephanie Danler, che è anche l’autrice del romanzo da cui Sweetbitter è tratta (e che si intitola, incredibile a dirsi, Sweetbitter).
Parliamo di quei classici casi editoriali che ti danno un po’ fastidio, in cui una cameriera scrive un romanzo nel tempo libero, parlando in tono semi-autobiografico delle mille esperienze del campo della ristorazione, e quasi per caso trova un editore che glielo pubblica e le dà una paccata di soldi per scriverne altri. Cioè, brava lei, complimenti, però che odio.
Odio che diventa più feroce, o al contrario più smussato, a seconda dei punti di vista, quando ci si rende conto che Sweetbitter, la serie, non è affatto male.

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La storia, come si accennava all’inizio, è di quelle supersemplici: una ragazza di provincia molla tutto per andare a New York, senza sapere esattamente cosa fare della vita. Prova a farsi assumere da un po’ di ristoranti e bar come cameriera, e alla fine trova un tizio, Howard (Paul Sparks, visto in Boardwalk Empire, House of Cards e un sacco di altri posti), che la prende a lavorare nel suo ristorante di lusso nonostante lei non abbia alcuna esperienza nel campo.
Iniziando il suo nuovo lavoro, Tess (interpretata dalla bellissimissima Ella Purnell) si trova catapultata in un vero e proprio microcosmo pieno di persone di ogni carattere e provenienza, ed è costretta a imparare tantissimo in pochissimo tempo, con conseguente ansia soffocante ma anche con la consapolezza che, forse, è capitata nel posto giusto per crescere.

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Descritta così, la storia di Sweetbitter sembra davvero identica a tantissimi altri film, serie, romanzi e racconti di giovani sfigati che trovano un terreno difficile ma fertile in cui sbocciare. Ed nei suoi elementi di base è esattamente così. A nobilitare parecchio questo pilot ci sono però due caratteristiche: dettagli e ritmo. Forse non è un caso che il regista dell’episodio sia Richard Shepard, vincitore una decina di anni fa di un Emmy Award per il pilot di Ugly Betty, altra storia di ragazzina alle prime armi catapultata in un mondo alieno e complesso: la prima puntata di Sweetbitter è calibrata al millimetro non solo nella velocità con cui tess viene sbatacchiata a destra e a manca fra cucine a tavoli, ma anche nella cura con cui la ragazza viene sempre mostrata “fuori posto”, come se gli spazi del ristorante siano percorsi da precisi corridoi e strade che tutti possono vedere tranne la protagonista, costantemente in ritardo, perennemente di intralcio. Occhio però, Sweetbitter non è esattamente una comedy, e quindi non bisogna pensare alla goffa pasticciona che casca nella farina. A nobilitare il tutto c’è un dramma costante e sottile, una tensione che attraversa tutti i personaggi, uniti dall’unico obiettivo dell’eccellenza, e capaci di trasformare l’ambiente teoricamente normale del ristorante in una costante sfida con se stessi.

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I dettagli, si diceva: già l’inizio è spiazzante, perché del passato di Tess non vediamo assolutamente nulla, se non un biglietto d’addio e la presa di coscienza che, a non scappare via, la vita le passerebbe sotto il naso inosservata. È un’idea vincente (presente a quel che ho capito anche nel romanzo), perché permette di dare davvero l’idea di una tabula rasa da cui Tess, completamente “vergine” dovrà imparare tutto. Dimentichiamoci quindi di tutte quelle serie in cui il passato torna a perseguitare la protagonista. Per ora, e c’è da credere che continuerà così ancora per un bel po’, tutto quello che conta è il qui e ora, e la capacità che Tess avrà di costruirsi un’identità.

Perché questo in fondo è il vero tema di fondo della serie. Attorniata da personaggi molto diversi, quasi nessuno “cattivo”, ma tutti vagamente ambigui e misteriosi, Tess ha molto da imparare e da capire, e non solo su come si gestisce un ristorante: l’impressione evidente, durante tutto il pilot, è che Tess sia l’unico personaggio che ancora “non è nessuno”, incapace com’è di fare qualunque cosa, e dotata tutt’al più di una ingenua determinazione e una ancora più ingenua bontà d’animo. Le persone intorno a lei invece, da Howard in giù, sono tutte già formate, hanno una loro dimensione precisa, raggiunta in un luogo che Tess credeva solo di passaggio, e che invece forse può essere un punto di arrivo o di (ri)partenza.
Emblematica, a questo proposito, la frase che le rivolge Simone (Caitlin FitzGerald di Masters of Sex) sommelier elegante ed enigmatica, che a in un momento di frenesia e stress della protagonista le dice di essere pronta a tutto, perché lavorando lì dentro ha la possibilità di diventare una persona vera.

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Può ancora succedere di tutto, in Sweetbitter, e potrebbe anche peggiorare, se per sbaglio dovesse perdere troppo presto quella patina di mistero che la anima, o se il suo tono dolceamaro (“bittersweet”, il contrario del titolo della serie) scivolasse in un drama troppo pesante o continuamente ripetuto.
Di certo però l’inizio è promettente ed elegante, e il fatto che la prima stagioni duri slo sei episodi lascia pensare che abbiano tutto sotto controllo. Vedremo.

 

Perché seguire Sweetbitter: la storia è semplice ma raccontata con ritmo, eleganza e classe. E la protagonista buca lo schermo.
Perché mollare Sweetbitter: il pilot è bello ma molto “introduttivo”, c’è il rischio che perda mordente in breve tempo.

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