Krypton – La serie tv con protagonista il nonno di Superman di Diego Castelli
Tra faide e intrighi, Krypton racconta della famiglia dell’Uomo d’Acciaio prima dell’esplosione del suo pianeta d’origine
SPOILER RIDOTTI AL MINIMO
Ci siamo già passati ai tempi di Gotham, quando ci trovammo a parlare di una serie tv ambientata nel mondo di un famoso supereroe, senza però poter vedere il supereroe. La sfida dichiarata era quella di smentire l’insistente vocina che sibilava il suo “come cazzo vi viene in mente di parlare di Gotham senza Batman?”, dimostrando che esistono ambientazioni così ben congegnate, unite a personaggi di contorno così forti, da poter fare a meno dell’ingombrante protagonista (che comunque in Gotham c’è, anche se giovane).
Da questo punto di vista, la sfida di Krypton, nuova serie di Sy-Fy creata da David S. Goyer (sceneggiatore della trilogia del Cavaliere Oscuro, di Man of Steel, di Blade, ma anche creatore di Flashforward), è ancora più ardua: raccontare del nonno di Superman senza mai far vedere Superman, e nemmeno il padre di Superman, che almeno era un po’ famoso pure lui.
No, qui si parla di Seg (Cameron Cuffe), nonno dell’uomo d’acciaio, la cui famiglia è finita nella polvere dopo che suo nonno (quindi il trisnonno di Clark Kent) è stato condannato per tradimento da un gruppetto poco edificante di politicanti, asserviti a un’autorità religiosa (la Voce di Rao) che va in giro con una buffa maschera con molte facce.
Ora, è evidente che le premesse sono molto simili a quelle di Gotham: Krypton è effettivamente un luogo mitico, citato e raccontato da decenni di fumetti, e la serie di Sy-Fy si ispira esplicitamente alla sua versione probabilmente più famosa, edificata dalla saga Man of Steel di John Byrne e assorbita e rilanciata dai film con Christopher Reeve (di cui ancora echeggia il tema musicale). Parliamo di un Krypton descritto come un impero in decadenza, antico e tecnologicamente avanzatissimo, ma che ha perso da tempo la sua bussola morale e, molto più banalmente, la sua felicità. Gli abitanti sono divisi in classi sociali rigide e mortificanti, uomini e donne si accoppiano in provetta, la giustizia è amministrata in maniera sommaria da autorità che ritengono di avere tutte le risposte. Un mondo arrogante che, già la sappiamo, non sarà nemmeno in grado di cogliere i segnali della propria distruzione.
Stiamo parlando, in buona sostanza, di un’ambientazione che gli autori reputano meritevole di un approfondimento tutto suo, talmente meritevole da potersi permettere di saltare perfino la generazione di Jor-El, padre di Superman e personaggio molto famoso, per andare a parlare dello sconosciutissimo nonno, la cui giovinezza è, in effetti, assai lontana dall’evento più famoso della storia di Krypton, cioè la sua esplosione.
Se Superman non c’è (più o meno), e se non c’è nemmeno la distruzione del pianeta, dobbiamo dunque affidarci alla promessa di un racconto in cui gli eventi e i personaggi più famosi della saga diventano, idealmente, solo il contorno di una storia familiare, politica e militare che dovrebbe funzionare di suo, e che per temi e trattamento vuole rientrare nell’alveo di una fantascienza più ampia.
Questa, come detto, è la promessa. Ambiziosa, coraggiosa, magari un po’ folle e per questo degna di simpatia. Poi però c’è l’effettivo pilot di Krypton, e qui arrivano gli scricchiolii.
L’episodio ha un pregio abbastanza evidente: succede un sacco di roba. Ci vengono presentati molti personaggi, vengono anticipati certi eventi rilevanti che altre serie avrebbero tenuto in serbo per episodi successivi, si percepisce chiaramente la voglia di costruire un’epica di ampio respiro.
Se guardiamo però al sugo vero e proprio, oltre le belle intenzioni, troviamo anche un racconto molto semplice, spesso didascalico, francamente prevedibile in quasi tutte le sue componenti. I personaggi sono tagliati con l’accetta, dal protagonista giovane e ribelle che vuole riabilitare il nome della famiglia, al padre ormai rassegnato alla disgrazia della sua famiglia; dall’amore segreto e proibito al cattivo manipolatore e viscido. Il confine tra “classico” e “banale” è molto sottile, e non aiuta il fatto che tutto questo sia raccontato da una regia che, tolto qualche bel paesaggio fantascientifico, non va oltre il compitino-ino-ino, fra scenografie fin troppo teatrali, scazzottate in cui nessuno si fa male, gesti tipicamente terrestri che magari era il caso di lasciare fuori da una serie ambientata in un pianeta lontanissimo, e altre simili ingenuità.
A voler ben guardare, qualche problema lo si nota fin dai primissimi secondi, quando la voce fuori campo di Seg parla al famoso nipote ancora non nato per assicurargli che nella storia della casa di El c’è molto da raccontare oltre alla sua fine: una storia di sacrificio e trionfo, di lotta alla tirannia ecc ecc.
Excusatio non petita, accusatio manifesta, dicevano i latini: tanto valeva appendere un cartello con scritto “vi prego guardateci, sapremo essere divertenti, giurin giuretta”.
La primissima impressione, insomma, è quella di un buon potenziale almeno in parte sprecato. Un’idea coraggiosa che, non trovando lo stesso coraggio nella messa in scena e nella scrittura, finisce con l’essere poco efficace e, per questo, ancora più indebolita dalla sua più evidente fragilità (cioè l’assenza di Superman). Certo, alla vigilia anche l’idea in sé mi pareva azzardata, e già il fatto di averne fatto intravedere le reali potenzialità non è da buttar via. Serve però uno sforzo in più (anche due o tre) per rendere Krypton davvero memorabile. Vedremo.
Perché seguire Krypton: mettendo un sacco di carne al fuoco, Goyer e compagni riescono a far intravedere le reali potenzialità di un concept che alla vigilia pareva già monco.
Perché mollare Krypton: se può diventare una buona serie, ancora non lo è. Troppo didascalica, esplicita, spesso fastidiosamente prevedibile.