Life Sentence: giudizio sospeso (o quasi) per la nuova serie di CW di Roberta Jerace
Partendo da una buona idea, Life Sentence non riesce ancora a essere incisiva come potrebbe. Ce la farà mai?
In letteratura Mary Sue indica un personaggio fastidiosamente privo di difetti: è bella, buona, intelligente, è circondata dalle persone giuste, ha un taglio di capelli favoloso e quando affronta qualche difficoltà ne esce sempre, immancabilmente, vincente.
I primi dieci minuti del pilot di Life Sentence riassumono gli ultimi otto anni della vita di Stella Abbott (Lucy Hale), e il fatto che ci ripetano più volte che ha il cancro e che le siano concessi ancora solo pochi mesi di vita non ci libera da quella fastidiosa e appiccicaticcia sensazione di trovarci davanti a Mary Sue e famiglia.
Life Sentence è una serie tv ideata e prodotta per The CW da Erin Cardillo e Richard Keith (già creatori del poco fortunato Significant Mother). Racconta le vicende di una giovane donna guarita dal cancro, che si ritrova ad affrontare la vita ordinaria e le conseguenze delle scelte fatte quando pensava di stare per morire.
In sostanza shakerate Red Band Society con No Tomorrow, aggiungete una spruzzata di Jane the virgin e accendete la telecamera: il concept c’è e non è niente male!
Allarme SPOILER. Ed ecco le novità (potenzialmente) interessanti. Per condensare la felicità di una vita in pochi anni, la famiglia di Stella ha abilmente nascosto segreti e bugie: il fratello (Jayson Blair; The new normal) è un donnaiolo senza né arte né parte che vive ancora a casa; la sorella maggiore “odia” i propri figli perché le sono costati la carriera; i genitori sono separati perché il padre (Dylan Walsh; Nip/Tuc) si è indebitato celando il tutto alla moglie, e la madre ha una relazione con l’amica di famiglia. Ed ecco a voi la fiera delle controverse tematiche sociali contemporanee. E non vi sto neanche rivelando tutto!
Qui dovrebbe arrivare la parte divertente, cioè vedere la dolce e vitale Stella affrontare equivoci e disastri, crolli nervosi e coabitazioni forzate, lavori improbabili, imbarazzanti confessioni e chi più ne ha più ne metta.
Ma non vedrete nulla di tutto ciò. O vedrete poco.
Le rivelazioni avvengono tutte forzatamente insieme, diluendo il singolo effetto sorpresa, gli scambi tra i personaggi sono poco incisivi, le battute prive di verve, e la famiglia disfunzionale non riesce a esserlo fino in fondo.
Ora è chiaro che Stella non abbia mai visto Forrest Gump, altrimenti avrebbe saputo che “la vita è come una scatola di cioccolatini e non sai mai quello che ti capita”. Il modo di Stella di fronteggiare queste inaspettate difficoltà, quindi la chiave di lettura degli eventi, è debole e finisce inevitabilmente con un fallimento, ma sarebbe stato meglio un gigantesco disastro. Come la festa organizzata da lei in giardino, metafora esteticamente riuscita ed efficace, forse l’unica.
Nel linguaggio cinematografico-seriale, siamo abituati a vedere esempi di giovani che hanno combattuto un cancro terminale in un’età così formativa come l’adolescenza, maturare un carattere forte, la capacità di avere una parola vigorosa e l’attitudine a mettere tutto nell’unica saggia prospettiva possibile. Una cosa invece di Stella ci è chiara: è un essere umano incompiuto, metà donna metà cancro, e fatica a trovare una strada giusta per lei e interessante per noi. Discorso che vale anche per la sua interprete, quella Lucy Hale che attirerà i fan di Pretty Little Liars e che non è mai sgradevole o incapace, ma che galleggia appena sopra la soglia dell’invisibilità, nonostante il suo chiacchiericcio incessante sia la voce narrante dell’intera puntata.
Ma quindi buttiamo via tutto? No dai. Come abbiamo detto l’idea di fondo c’è, così come qualche risata e un paio di riflessioni dal sapore buonista, ma non per questo meno vere. Il disegno degli autori non è ancora così chiaro, quindi lo sviluppo delle puntate potrebbe anche sorprenderci positivamente, e una protagonista così a metà strada è sì un difetto, ma anche il simbolo di un viaggio verso la completezza che potrebbe essere il motivo vero per cui seguire una serie come questa.
Certo, per quanto il messaggio di fondo sia una grande verità, ciò non significa che non l’abbiamo già sentita. Detta da qualcun altro. In modo più efficace. In altre serie tv. Però non vorremmo sembrare pignoli…
Perché seguire Life Sentence: 40 minuti di impegno leggero e una ampia gamma di possibili direzioni verso cui può dirigersi.
Perché non seguire Life Sentence: non decolla mai davvero e la nostra sentenza potrebbe continuare ad essere un noiosissimo ni.
2 commenti a Life Sentence: giudizio sospeso (o quasi) per la nuova serie di CW
Ma dopo The Big C c’è ancora spazio per trattare l’argomento cancro in una serie televisiva?
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