Mosaic – La serie tv (quasi) interattiva di Steven Soderbergh di Marco Villa
In Mosaic, Sharon Stone è al centro di una vicenda complicata e spezzettata come tante tessere di un -maddai- mosaico
Da vent’anni cercano in ogni modo di venderci nuove esperienze di fruizione degli audiovisivi: dal 3D a realtà sempre più immersive, ma paradossalmente siamo arrivati a guardare film e serie su schermi mai così piccoli, in situazioni mai così scomode e precarie. Insomma, nonostante la possibilità di esperienze di visione sempre più sofisticate e avanzate, alla fine quello che vince è il contenuto. Un possibile cambiamento di queste modalità passerà quindi non tanto dalla dimensione di uno schermo o dalla sua qualità, ma da un intervento diretto su ciò che quello schermo mostra. Mosaic va proprio in quella direzione, cercando di dare un ruolo più attivo allo spettatore, senza però rinunciare a un altissimo livello di scrittura e messa in scena. Non una serie low budget sperimentale, insomma, ma un prodotto di punta che in più prova a osare.
Mosaic è una serie tv andata in onda in sei giorni consecutivi su HBO a gennaio e disponibile in Italia su Sky Atlantic HD. Scritta da Ed Solomon, è interamente diretta da Steven Soderbergh, che ha messo testa anche sul diverso approccio da parte dello spettatore a cui accennavo poco fa. Ma prima, parliamo della serie. Mosaic è la storia di come Olivia Lake, una illustratrice per ragazzi di enorme successo (Sharon Stone), venga presa tra due fuochi da gente che in modi diversi vuole approfittarsi di lei: c’è il giovane artista aitante e muscoloso (Garrett Hedlund) che viene ospitato in casa e che spera di sfruttare gli agganci di Olivia per diventare una star e poi c’è il truffatore di professione (Frederik Weller) che tenta di circuirla per costringerla a vendere la casa in cui abita, che probabilmente è posizionata su un grosso giacimento. Olivia è una donna profondamente sola, che non è riuscita a legarsi a nessuno nella vita, forse per via di un Grande Trauma del Passato (marchio registrato) che prima o poi arriveremo a scoprire. Tutto quello che vi ho appena detto è in realtà raccontato in flashback, con un rewind di quattro anni: il tempo presente vede infatti il giovane aitante accusato dell’omicidio della stessa Olivia. Cosa sarà successo in questo misterioso triangolo? Ah, che ansia.
Ansia che viene accentuata dal fatto che Mosaic è costruita in modo per nulla lineare: le varie storyline sono accostate, ma non intrecciate, riprendendo per l’appunto il titolo della serie stessa. Tante tessere che trovano il proprio senso solo da un punto di osservazione distaccato, che per forza arriverà solo con il procedere degli episodi. Questa struttura è legata a doppio filo all’idea di immersione di Soderbergh: negli Stati Uniti, infatti, è possibile scaricare un’app che permette non solo di vedere la serie, ma anche di scegliere il punto di vista attraverso il quale viverla. Lo spettatore può così switchare da un personaggio all’altro, oltre a usufruire di una serie di contenuti speciali che vanno ad arricchire il contesto generale.
Da questo punto di vista, Mosaic si presta tantissimo, ma anche noi poveri italiani possiamo guardarla con soddisfazione, anche senza app. Il primo episodio si presenta infatti con una chiara impronta autorale, non solo dal punto di vista della scrittura, ma anche della messa in scena: fotografia con toni che oscillano tra il giallo caldo del tempo presente e l’atmosfera gelida del flashback, a rafforzare un’ambientazione che fa del ghiaccio e della neve il proprio elemento principale.
Per come è stata concepita, Mosaic vuole essere una serie di alto profilo, del resto i nomi coinvolti sono lì a dimostrarlo, ma la sua struttura invita alla prudenza: il primo episodio genera curiosità ed è innegabile una fascinazione di fondo. I conti però prima o poi dovranno tornare e lì si deciderà tutto, soprattutto sul versante personaggi, al momento ancora a rischio stereotipo.
Perché guardare Mosaic: per l’ottimo cast e una scrittura per nulla lineare
Perché mollare Mosaic: perché non possiamo godere dell’app e perché il rischio che le cose vadano in mille direzioni è concreto