The Chi: racconti di (pericolosa) periferia di Diego Castelli
Lena Waithe, la Denise di Master of None, diventa autrice di una serie di ampio respiro, che parte da un omicidio ma racconta un intero mondo
Guardando i primi due episodi di The Chi, la nuova serie di Showtime creata da Lena Waithe (la Denise di Master of None, con cui ha vinto un emmy per la sceneggiatura della 2×08, “Thanksgiving”), viene da pensare alla buona e vecchia pratica dei pitch. Il mondo cine-seriale di oggi viaggia su molti binari diversi, tanti quanti sono i modi per arrivare da un’idea iniziale a un prodotto finito, ma non è ancora tramontata (né mai tramonterà) l’immagine di un autore che si presenta in una stanza piena di gente annoiata e supponente con un unico scopo: convincerli che la sua idea merita di essere finanziata e prodotta.
E questo scenario un po’ stereotipato ma ancora valido viene in mente perché, al pensiero di fare un pitch di The Chi, saremmo in grossa difficoltà, visto che più o meno potrebbe essere riassunto così: un omicidio senza colpevole crea scompiglio in un quartiere povero di Chicago.
Ora, io non so quanti di voi vorrebbero produrre una roba del genere, visto che assomiglia ad altre settecento cose che abbiamo già visto e sentito mille volte, ma dobbiamo essere abbastanza contenti del fatto che Lena Waithe, che qualche contatto importante ce l’aveva già prima, sia riuscita a produrre la sua prima serie esattamente come voleva e, apparentemente, senza grossi compromessi.
Perché sì, The Chi parte da un’idea molto vaga, e soprattutto all’inizio lascia un po’ storditi: parecchi personaggi, diverse linee narrative a cui viene dato lo stesso identico peso, insomma la difficoltà di capire cosa si sta raccontando e perché.
Con l’andare dei minuti, però, la confusione iniziale lascia spazio a una consapevolezza diversa, che fa pensare (senza per questo voler fare paragoni) alle atmosfere delle serie di David Simon, quelle The Wire e The Deuce dove più che una storia conta un mondo.
The Chi funziona allo stesso modo: c’è effettivamente un evento centrale, l’omicidio di un ragazzo di cui per ora non conosciamo né il movente né il colpevole. Questo fatto però, invece di essere oggetto di una classica indagine poliziesca vista in mille altre serie, diventa un sasso lanciato in uno stagno, la causa di una serie di onde che pian piano si allargano e investono l’intera vita del quartiere, incontrando alcuni personaggi specifici che di quel quartiere e di quella vita sono esempi puntuali inseriti in un universo più generale.
Così, il cadavere del ragazzo viene visto da un altro giovane, che il padre del morto scambia per l’assassino. Scatta dunque la vendetta, che solo una volta compiuta si rivela essere inutile e colpevole. Nel frattempo, un bambino ha assistito al nuovo omicidio, lo va a dire al fratello del ragazzino ucciso ingiustamente, e da qui comincia a ribollire un nuovo sentimento di vendetta e giustizia.
Come si vede, una trama centrale effettivamente c’è, ma la sceneggiatura non insiste troppo sull’omicidio, evitando accuratamente di interessarsi specificamente al “chi è stato”. Quello che conta è il racconto di un mondo, di una provincia degradata e degradante, dove buona parte dei personaggi cerca di fare la cosa giusta e comportarsi bene – chi vuole diventare chef ma si trova un fratello morto senza che la polizia sappia fare nulla; chi vorrebbe essere solo un bambino che pensa ai primi amori ma intanto assiste a omicidi a sangue freddo; chi scopre di essere appena diventato padre e si trova la vita ribaltata da un bambino di cui nemmeno prevedeva l’esistenza – salvo poi incappare in ostacoli più grandi di loro.
Se esiste un tema centrale, nella rappresentazione della moderna società americana (e non solo americana), è quello delle periferie abbandonate a se stesse, dove il racconto della criminalità e della droga non può non contemplare la mancanza di opportunità, l’abbandono dello stato, la persistenza di un ambiente che strangola sul nascere qualunque desiderio di riscatto e di impegno.
The Chi, insomma, ci presenta la storia di personaggi che vorrebbero solo la possibilità di una vita normale, ma che tale possibilità rischiano di non averla mai.
Decisiva, in questo senso, è la rappresentazione del potere: il marcio della periferia, lungi dall’essere una semplice colpa di quelli che la abitano, coinvolge tutti, a tutti i livelli. Ecco allora che nella polizia ci sono sì bravi agenti e solerti detective che vorrebbero risolvere i due omicidi, ma allo stesso tempo è anche pieno di pigri bastardi che, più o meno esplicitamente, si trincerano dietro un “lasciamo che i negri si ammazzino fra loro”.
The Chi è dunque una serie che merita una decisione chiara fin dall’inizio: se si decide che è troppo generica e ondivaga per i propri gusti, benissimo, ma se si decide di starle dietro, allora bisogna darle la possibilità di svilupparsi con calma, senza bocciarla per un inizio non esattamente scoppiettante, in modo che l’oscurità della violenza possa penetrare a fondo nella vita dei protagonisti, esaltando la loro forza drammatica. Un compito non facile, ma l’inizio è abbastanza incoraggiante.
Perché seguire The Chi: per l’ampio respiro, e per al volontà di descrivere in maniera chiara un mondo complesso, difficile e pieno di sfumature.
Perché mollare The Chi: non è la serie più centrata e dritta del mondo, e anzi punta a un’ampiezza di temi e personaggi che potrebbe risultare dispersiva.