Dark prima stagione – Considerazioni finali di Diego Castelli
Dark ci ha trasmesso tantissimo disagio, ma alle volte serve
ATTENZIONE: SPOILER SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE DI DARK
Devo ammettere che con Dark, per lo meno all’inizio, ho fatto un po’ fatica. Sarà che il tedesco mi costava più dell’inglese, sarà che volente o nolente sono serialmente americanofilo e prediligo atmosfere un po’ più hollywoodiane, sarà che è Natale e tutta sta cupezza mi metteva un po’ a disagio, fatto sta che dopo i primi due episodi mi ero un po’ fermato.
Non c’era però volontà di mollare. Non solo per gli elogi che la serie continuava a prendersi (non sarebbe certo il primo telefilm osannato che non guardo), ma perché un suo fascino ce l’aveva comunque, un reale senso di mistero che, invece di presentarsi allo spettatore con l’ansia da prestazione tipica delle serie americane (“Ciao, sono una nuova serie, e sono misteriosa”), preferiva costruirsi piano piano, facendo procedere di pari passo il drama, il poliziesco e la fantascienza.
Alla fine, come dovrebbe sempre essere nelle serie tv e nella vita, l’obiettivo non è smettere di avere pregiudizi (biologicamente impossibile) quanto sforzarsi di superarli quando se lo meritano. Ebbene, ora che la stagione l’ho finita non ho più dubbi sul fatto che Dark meriti ampiamente la visione, per quanto cupa e difficile (e leeeeenta) sappia essere a tratti.
Il suo primo pregio è proprio l’approccio profondamente europeo nei confronti di una materia cinematograficamente mainstream come i viaggi nel tempo. Che si parli di H. G. Wells o di Ritorno al Futuro, nell’attuale cultura popolare il viaggio nel tempo è accompagnato da sentimenti ben precisi e in buona parte “positivi”: l’avventura, l’amore per la scoperta, il sense of wonder, spesso anche la comicità e la leggerezza.
Uuuhh guarda Marty, ti sei appena limonato tua madre, non è de-li-zio-so?
Dark invece (sarà che è tedesco, e vai col pregiudizio) prende il concetto del viaggio nel tempo e ce ne mostra l’aspetto più cupo e spaventoso: quando il giovane Jonas realizza di aver baciato sua zia, insomma, è tutt’altro che divertito, così come quando incontra il se stesso del futuro. Niente baci e abbracci e niente richieste sui vincitori del mondiale 2018.
Su quest’ultimo punto vale la pena approfondire. Giocata per metà come un drama in cui si intrecciano tradimenti, desideri negati, e rancori vecchi quando l’adolescenza, e per l’altra metà come fantascienza purissima (e pure un po’ vintage) in cui la manipolazione dell’energia nucleare si rivela disastrosa a livello spaziotemporale, Dark mette in scena soprattutto la pochezza dell’uomo, fisica, morale ed esistenziale. Chi più chi meno, i protagonisti di Dark fanno tutti un po’ schifo, sono persone che difficilmente vorremmo incontrare nella vita: fedifraghi, vendicativi, depressi, approfittatori (da qualunque punto di vista la si guardi, Ulrich ammazza bambini a sassate). E la loro pochezza individuale e relazionale non è che il riflesso della loro completa insignificanza cosmica.
Da questo punto di vista Dark non introduce incredibili novità narrative, perché i pezzi del puzzle temporale che mette in campo sono simili ad altre opere delle stesso genere: si pensi solo al concetto del loop temporale e di passato che non può essere modificato ma solo confermato. Ciò che Dark fa di diverso (non in assoluto, ma per lo meno rispetto alla “normalità” del viaggio temporale seriale) è mostrarci quanto le miserie umane siano ben poca cosa, rispetto all’enormità degli ingranaggi del Tempo (con la lettera maiuscola che è meglio).
In questo discorso è abbastanza centrale la figura di Noah, che tuttora può essere identificato come il “cattivo” ma che rifiuta energicamente questa etichetta, mostrandosi anzi come un buono che, a differenza degli altri aspiranti tali, sa che a volte per far trionfare il bene servono sacrifici dolorosi. Il “buio” del titolo dunque, che rimanda al buco nero attorno al quale gravita tutta la storia (non senza qualche eccessivo semplicismo scientifico) è un buio esistenziale che fagocita tutto e tutti, e rende sostanzialmente ininfluente le singole differenze caratteriali e di azione. Non importa ciò che fai, non frega niente a nessuno, per lo meno a nessuno che “conti”: l’unica cosa importante è che il ruolo che la Storia ha già scritto per te.
Il che non significa che Hannah smetta di essere una stronza, perché lo è fin da ragazzina, ma nel grande schema delle cose il suo ruolo non è tanto diverso, soprattutto né meglio né peggio, rispetto a quello di Jonas o Charlotte o Mikkel.
Ci mancano ancora dei pezzi, e non sappiamo esattamente quali direzioni le serie prenderà in futuro né se offrirà ai suoi protagonisti qualche reale chance di riscatto, ma quello che ci dice per ora è abbastanza chiaro: smetti di festeggiare, perché la tua vita è legata a un destino solidissimo che, se anche potesse essere modificato, di certo non potrà essere modificato da te, sciocca merdina.
Non si dimentichi nemmeno la frase con cui il Jonas adulto si congeda dalla sua controparte più giovane: “Non siamo liberi nelle nostre scelte perché non siamo liberi in ciò che vogliamo”. Un’altra considerazione che, al di là dello specifico del viaggio temporale, priva l’uomo di qualunque speranza di positiva razionalità, legandolo a istinti quasi primordiali che guidano il suo agire ben oltre qualunque capacità di libero arbitrio.
Oh poi non è che dobbiamo essere d’accordo eh, Jonas ha anche avuto una vita abbastanza orrenda e ci sta che sia pessimista, ma l’esortazione di Dark è quella di guardare a questa materia con occhio adulto e non solo fanciullesco.
La regia, affidata in tutti gli episodi al creatore Baran bo Odar, segue questo stesso percorso e immerge i personaggi di Dark in un mondo buio, lento, spesso fisicamente angusto: per viaggiare nel tempo non si usa una bella macchina d’epoca che svolazza in cielo, ma bisogna strisciare in claustrofobici corridoi di pietra. I protagonisti, spesso bagnati, sudati e ammaccati, provano a trovare un senso alle loro vite senza sapere che probabilmente non c’è, se non quello di far parte del loop temporale, e il loro istintivo bisogno di serenità viene puntualmente frustrato da rivelazioni lugubri, suicidi e antiche faide. Ancora una volta, l’intento è quello di far brulicare questi poveri esserini in una pozza più grande e pericolosa di loro, lasciandoli quasi sempre all’oscuro di tutto, e mostrando i loro volti sconvolti quando piccoli brandelli di amarissima verità vengono portati alla luce del sole (che poi, “sole”, diciamo vaga luce in mezzo alle nuvole cariche di pioggia).
La serie mostra qualche fragilità solo in alcuni punti, a volte per questioni di budget: quando il vedo-non vedo che caratterizza la maggior parte degli episodi lascia il posto ai veri e propri effetti digitali, tutto diventa leggermente più posticcio e meno credibile.
In verità, però, l’elemento che mi ha convinto meno da un punto di vista visivo è stato proprio il finale: quando Jonas finisce nel futuro (in maniera del tutto coerente e necessaria rispetto a ciò che abbiamo visto fino a quel momento, sia chiaro), ciò che vediamo sono un po’ di guerriglieri in tenuta militare che, improvvisamente, ricordano prodotti molto più diretti e terra terra tipo The 100 o Falling Skies. Diciamo che ci vedo il rischio di un allargamento pericoloso verso scenari e atmosfere che Dark, già perfettamente centrata di suo, dovrebbe a mio giudizio evitare.
In conclusione, un’ultima nota patriottica. Perché una cosa come Dark non l’abbiamo fatta in Italia?
Al momento di investire nella produzione locale del nostro paese, Netflix ha deciso di puntare su Suburra, e francamente lo trovo un peccato. Di fiction mafio-criminal-poliziesche la storia italiana è stracolma, e la stessa Suburra, arrivando nel 2017, è finita col diventare una specie di copia spesso sbiadita del vero fenomeno criminal-seriale di questi anni, cioè Gomorra.
E pur sapendo benissimo che Netflix ha puntato sul sicuro, creando un prodotto molto italiano per l’Italia, e molto tedesco per la Germania, mi chiedo se con la sua forza internazionale non potesse provare a giocare un po’ di più nel nostro paese, allargando le maglie di una serialità che altri network, per questioni di banale ritorno economico, spesso non possono permettersi. Invece la cosa più fantasy che si è vista recentemente sulla tv italiana è Sirene di Rai Uno. Bravi per il coraggio, però Dark è un po’ un’altra cosa.