The Long Road Home – La migliore serie di guerra da anni di Marco Villa
In onda su National Geographic, The Long Road Home racconta la battaglia di Sadr City del 2004
Attenzione: momento deja vu, perché è il momento in cui si dice che “questo è l’anno delle serie militari”. Per ora ne abbiamo vista una sufficiente (The Brave), una pompatissima e trumpiana (Seal Team) e una davvero inguardabile (Valor). Cosa manca a questo elenco? Esatto: la serie bella. Oggi l’abbiamo trovata e si chiama Long Road Home.
The Long Road Home è una nuova serie tv in onda su National Geographic sia negli USA che in Italia, con una settimana di ritardo. Come le altre serie citate in apertura è a tema militare ed è ambientata all’estero, ma questa volta non abbiamo una squadra d’elite impegnata in missioni specifiche, ma una divisione spedita in Iraq per contribuire a mantenere la sicurezza a Baghdad, in particolare a Sadr City, per favorire la ricostruzione.
Siamo nell’aprile 2004 e ufficialmente in Iraq non c’è alcuna guerra, visto che un anno prima l’allora presidente George W. Bush aveva dichiarato che la missione era compiuta. Di fatto il Primo Cavalleria parte dagli Stati Uniti convinto di andare nel posto più sicuro di tutto l’Iraq, ma nel giro di quattro giorni una pattuglia si ritrova coinvolta in un’imboscata che costringe i soldati a rifugiarsi in una casa del quartiere in attesa che i rinforzi (guidati da Michael Kelly, il Doug di House of Cards) vengano a salvarli. Prima cosa importante: è una storia basata su fatti reali e la durata di The Long Road Home coincide esattamente con quella della vera battaglia, ovvero 8 ore, 7 minuti e 34 secondi.
Ogni puntata di The Long Road Home racconta la storia dal punto di vista di uno dei soldati coinvolti nell’operazione, meccanismo che ci permette di scoprire cosa hanno lasciato a casa. Proprio i momenti di flashback sono quelli più deboli: sarà che è ancora forte in testa il ricordo di Dunkirk e della sua assenza quasi totale di back stories per i propri personaggi, ma le scene di idillio famigliare con cui si cerca di aggiungere pathos alla tensione dei momenti di scontro finiscono per essere un rallentamento quasi fuori luogo. Ovvio, otto ore non sono due, ma quelle scene potevano essere meno classiche e smarmellate, invece abbiamo proprio il papà che al tramonto dà la mano alla figlia per tornare a casa. Anche meno.
La parte dove invece The Long Road Home funziona benissimo è quella di azione: per tutta la durata del primo episodio, la pattuglia protagonista vive situazioni in apparenza normali, ma che in realtà possiedono una tensione sotterranea notevole: sappiamo che qualcosa sta per succedere e la totale mancanza di indizi che ci viene fornita non fa che aumentare la nostra attesa.
Da questo punto di vista, non è possibile nessun confronto con le altre serie militari di questa stagione, perché questa è una serie vera, con un significato, che rimanda dritta al riferimento di questi anni per il genere, ovvero Generation Kill. Quella che emerge nel primo episodio, al di là di un filo di pedanteria in alcuni dialoghi che deriva probabilmente dal canale su cui va in onda, è la volontà di raccontare questo conflitto per quello che è: una guerra.
In questo contesto va inserita la scena di apertura che mostra un ospedale da campo talmente affollato da sembrare arrivato dalla Seconda guerra mondiale, così come i saluti ai soldati in partenza. Una presa di posizione forte, che non solo cerca di evitare la facile commozione eroistica, ma che il concetto di eroe critica in maniera netta in alcuni dialoghi.
The Long Road Home è una serie di guerra che ha tutto per tenere attaccati allo schermo per otto ore e oggettivamente è difficile pensare a cosa poter chiedere di più da un prodotto di questo tipo.
Perché seguire The Long Road Home: perché è difficile fare una serie di guerra che non sia smarmellata o eccessiva
Perché mollare The Long Road Home: perché è una serie 100% di genere