The Last Post – Una serie tv riuscita a metà (forse anche meno) di Marco Villa
The Last Post cerca è una serie tv incompiuta, che non vuole essere d’azione, ma non sa nemmeno essere introspettiva fino in fondo
È l’anno delle serie tv dedicate ai militari in missione: abbiamo visto Brave e Seal Team, a breve parleremo anche di Valor, ma nel frattempo non potevamo lasciarci scappare The Last Post, che in fondo è una variazione sul tema. Siamo sempre in territori stranieri, abbiamo sempre un esercito occidentale alle prese con ribelli locali, ma questa volta si tratta dell’esercito inglese. Il cambiamento più grosso, però, è quello temporale: non siamo nel 2017, ma negli anni ‘60 e l’ambientazione è quella di Aden, ultimo avamposto di quello che fu il grande impero britannico.
The Last Post è una serie tv in onda dal primo ottobre su BBC One, creata e scritta da Peter Moffat, tra le altre cose autore della bellissima The Village. The Last Post è ambientata in una base militare inglese ad Aden, in un periodo cruciale della storia inglese: il periodo coloniale sta per finire e questo clima da fine di un’epoca è l’elemento più chiaro della vita di un gruppo di militari che divide gli spazi di una caserma. Ci sono i soldati semplici e ci sono gli ufficiali, che con loro hanno portato anche le mogli. La serie inizia nei giorni in cui cambia il comandante dell’avamposto: se ne va l’amatissimo Nick Page, gli succede il giovanissimo Joe Martin. In apparenza la situazione è tranquilla, in realtà intorno alla base si muovono alcuni ribelli che vogliono attaccare i militari. Succede così che la jeep che sta portando il già citato amatissimo verso l’aeroporto viene fatta saltare in aria, uccidendo l’ufficiale e cambiando di colpo la vita di quelli che si trovano nella base.
Questo succede al termine dell’episodio, ma tranquilli: non è uno spoiler. Fin dall’inizio, infatti, è evidente la piega che prenderà la puntata, con sottolineature eccessivamente indulgenti sulla bontà del comandante uscente, descritto a metà tra Gandhi e Rocco Siffredi. Sì, perché mentre i commilitoni ne declamano le doti di comando, la moglie di un altro ufficiale si strugge nel dolore perché il suo amante se ne sta andando.
Il pilot di The Last Post è tutto tranne che entusiasmante, ma ha il suo pregio principale nella capacità di rendere alla perfezione il senso di noia e abbandono che attraversa le vite di soldati e mogli al seguito. Sotto un sole che non dà scampo, rinchiusi in pochi metri quadri di cortile e alloggiamenti, si ritrovano in una situazione che ha dell’irreale e che potrebbe essere uscita da un film di Antonioni (sbem, la sparo gigante). Fotografia apertissima per ricreare il calore schiacciante, espressioni perennemente tra l’annoiato e il rassegnato, la situazione di sospensione viene resa in modo efficace. Peccato che l’attenzione per questa parte di racconto renda quasi inutile tutto il resto: fosse un film, potrebbe anche starci, ma qui si parla di sei episodi, quindi un orizzonte narrativo è più che necessario.
E quando si arriva a questo lato del discorso, le cose si complicano: tutto ciò che riguarda la trama militare in senso stretto non regge, dimostrando in maniera evidente come a Peter Moffat interessasse di più lo scavo psicologico dei personaggi che la storia vera e propria. Il primo episodio di The Last Post è quello di una serie che ha la forza di raccontare una storia in maniera diversa, ma non ha il coraggio di andare fino in fondo, portando a un livello ulteriore di rarefazione il proprio stile narrativo. Risultato: The Last Post è una serie a metà, che finisce per annoiare senza affondare il colpo.
Perché guardare The Last Post: per la capacità di rendere quella sensazione di sospensione che vivono i personaggi
Perché mollare The Last Post: perché non riesce a essere introspettiva fino in fondo, evitando di affondare davvero il colpo