Dynasty – Tranquilli, non è come sembra. È peggio. di Antonio Firmani
L’ennesimo reboot perdibile. Anzi, brutto.
In tempo di reboot tutto fa brodo, questo lo si era capito. È vero, la nostalgia è un business, ormai ce ne siamo fatti una ragione, ma proprio quando pensavamo che il fondo del barile fosse stato ampiamente raschiato, CW è riuscita a sorprenderci ancora. È infatti partita Dynasty, remake della soap cult degli anni ’80 ideata da Richard ed Esther Shapiro, e disponibile in Italia su Netflix.
Per chi non lo sapesse o ricordasse, la Dynasty originale è stata un prodotto di grande successo negli anni ’80, trasmesso anche in Italia da Rete 4 dall’81 all’89. Era il clone/competitor di Dallas e raccontava gli eccessi dell’élite di Denver. Attraverso gli occhi dei membri della famiglia Carrington, in perenne rivalità con i Colby, mostrava le vicende di quel fab 1% (per dirla all’americana), quel “favoloso” un per cento della popolazione mondiale di cui tutti vorremmo far parte: il club dei più ricchi e potenti al mondo.
Non è un caso che a scriverla siano Josh Schwartz e Stephanie Savage, autori di prodotti come The O.C. e Gossip Girl, e Sallie Patrick (Dirty Sexy Money). Sfarzo, bellezza, privilegi e complotti la fanno da padrone in un microcosmo elitario e pieno di segreti. In effetti gli sceneggiatori di Dynasty provano a rendere il reboot una sorta di mix tra Gossip Girl e The O.C., ma ci riescono poco. Certo Fallon, la figlia del magnate Blake Carrington, ricorda molto Blair: arrivista, complottista e pronta a tutto pur di ottenere quel che vuole. E alzi la mano poi chi non ha pensato alla villa dei Cohen guardando lo sfarzo messo in mostra durante il matrimonio fra Blake e Cristal.
Lo stesso inflazionato e stereotipato personaggio di Blake, magnate senza scrupoli e discreto manipolatore, ricorda da vicino il Caleb Nichol del sopracitato teen drama californiano.
Proprio Alan Dale (l’interprete di Caleb, assoldato da Schwarz anche per Dybasty) ci porta poi a un altro aspetto che proprio non ci ha convinto: il cast.
A fare la parte del gran burattinaio che muove tutti i fili c’è Grant Show. Ora io non so quanti anni ha in media il serialminder tipo, però io (e spero anche voi) Grant Show giovane e figo che fa il ribelle in Merlose Place (l’originale) me lo ricordo benissimo. E se lo ricordano soprattutto in America, dove il suo Jake, tutto giubbotto di pelle, moto e ciuffo ribelle, era molto amato dalle teenager dell’epoca. Ora vedere il “nostro” Jake, invecchiato e in giacca e cravatta onestamente fa un po’ strano. È come se fra dieci anni in Italia facessero una fiction sui Montezemolo, e il ruolo di Luca lo affidassero a Franco Boschi (Beppe Zarbo) di Posto al sole. Ce lo vedete voi il buon Franco, che al posto di sporcarsi in officina, se ne va in giro in giacca e cravatta alle riunioni di Confindustria?
Che dire poi del twist opposto e cioè Alan Dale, che è un po’ il “Cumenda” di tutte le serie americane – dal già citato Caleb all’ancor più cattivo Charles Widmore di Lost (solo per fare qualche esempio) – che qui invece finisce a fare il maggiordomo? Sì, ok, ci hanno lasciato intravedere che ha i super poteri e che proprio non gliela si fa sotto al naso. Sono sicuro che dalla prossima puntata sarà cattivissimo, però è davvero difficile credergli in questa veste. Tra l’altro qui sembra avere cent’anni e, più che un maggiordomo ostico a cui non puoi tener nascosto niente, sembra Niles de La Tata.
La trama è povera e prevedile e riprende a grandi linea la trama originale, che già 40 anni fa era niente più che materiale da soap opera.
I cliché si sprecano, incluso il catfight bionda/bruna per attirare le attenzioni di Blake e per avere il controllo della società. E allora succede che laddove la trama langue, gli sceneggiatori intervengono drasticamente facendo compiere ai personaggi azioni irragionevoli, pur di generare colpi di scena. Così per non rendere troppo telefonata la relazione fra Blake e Cristal, in una delle primissime scene della puntata ci becchiamo un’improbabile litigata fra i due nel bel mezzo di un meeting societario, in modo da far pensare allo spettatore che siano nemici. Scopriamo nel corso della puntata che la stessa Cristal ha una storia da chiudere, un terzo incomodo di cui viene a conoscenza anche Blake, e che va eliminato. La soluzione del problema è questa: il terzo incomodo viene mandato in una missione mortale da Blake, che per liberarsi di lui diventa mandante di un triplice omicidio. Ora va bene che questo non è uno stinco di santo, e siamo sicuri che nel corso della sua carriera si sarà fatto pochi scrupoli per chiudere affari importanti, però andiamoci piano, da qui al genocidio ce ne passa.
In conclusione, dopo tante perplessità, viene da chiedersi semplicemente: ma di questo reboot, se ne sentiva proprio il bisogno?
Perché seguire Dynasty: se vi piace il genere soapposamente inverosimile, Dynasty è proprio quella roba lì.
Perché mollare Dynasty: la ripresa di un concept vecchio di trent’anni è solo il primo sintomo di una vistosa carenza di idee.