The Gifted: i nuovi mutanti Marvel fanno il loro dovere (mica come gli inumani…) di Diego Castelli
Il piacere di un pilot con tutte le cose al posto giusto
La cosa da fare sarebbe andare dagli autori di Inhumans, prenderli per le orecchie, costringerli a guardare il pilot di The Gifted e poi dirgli: “Visto? Ci voleva così tanto?”
Sì perché se Marvel’s Inhumans è probabilmente la delusione più grossa di questo inizio di stagione, il riscatto (parziale o totale) per la Casa delle Idee arriva da FOX, che con il primo episodio di The Gifted mette insieme un racconto che piace, che magari non rivoluziona niente ma che dà la sensazione di un lavoro fatto con criterio.
Forse non è un caso che la nuova serie sui mutanti sia firmata da Matt Nix, creatore di quella gustosa tamarrata che era Burn Notice. E non è affatto un caso che il pilot sia diretto da Bryan Singer, cioè quello che, quando si parla di mutanti Marvel al cinema, va obbligatoriamente chiamato “papà”.
The Gifted parte da premesse semplicissime, ma che tengono entrambi i piedi nella tradizione dei mutanti inventati da Stan Lee: in un mondo in cui gli X-Men sono conosciuti ma ormai scomparsi, i mutanti coi superpoteri sono guardati con sospetto e paura dal resto della popolazione, e vengono tenuti assiduamente d’occhio dalla polizia (relativamente “neutrale” nei loro confronti) ma soprattutto dal Sentinel Service, agenzia governativa che invece è più per il “io do per scontato che siano pericolosi, poi vediamo”.
In questa ambientazione di razzismo strisciante il fuoco si concentra su una singola famiglia, in cui il padre (Stephen Moyer di True Blood) e la madre (Amy Acker di Person of Interest) vengono a scoprire che entrambi i figli portano nel DNA il famigerato gene X: la ragazza (Natalie Alyn Lind di Gotham) è in grado di addensare aria e liquidi creando barriere per proteggersi, mentre il figlio più piccolo (Percy Hynes White) è una specie di produttore di terremoti e vibrazioni varie, che deve ancora imparare a controllare i suoi pericolosi poteri.
Scoperta la verità, e compreso che il Sentinel Service è pronto a imprigionare i figli, Kate e Reed (che pure è un procuratore che spesso i mutanti li imprigiona) decidono di fuggire, facendosi aiutare da un gruppo di mutanti clandestini che in termini di storie e personaggi rappresentano l’altra metà del pilota.
Senza riassumere ulteriormente, ci vuole poco per rendersi conto che in The Gifted c’è un po’ tutto quello che si cerca in una storia di mutanti Marvel: razzismo, bullismo, emarginazione del diverso, amicizia, famiglia, oltre ovviamente ad azione ed effetti speciali. E se da una parte si potrebbe dire “non c’è altro”, dall’altra si può anche pensare che non serva altro, che il mondo dei mutanti Marvel sia questa roba qui, e che la prima preoccupazione non dovrebbe essere aggiungere temi e riflessioni che comunque possono essere inseriti in seguito, quanto piuttosto assicurarsi che quello che già c’è funzioni come si deve.
E The Gifted, zitta zitta, funziona.
La scrittura è fluida, chiara, ma non per questo piena di spiegoni. Si procede con la consapevolezza che lo spettatore riconoscerà molte situazioni, dal bullismo scolastico alla fuga dei mutanti dalla polizia, dando a ogni componente il tempo giusto per creare la tensione, senza per questo perdere troppo tempo a raccontare dinamiche che chi guarda conosce benissimo.
Il risultato è un pilot in cui succedono un sacco di cose, ma dove non si ha mai la sensazione di eccessiva fretta. Ci viene raccontato tutto quello che deve essere raccontato, né più e né meno, lasciandoci con una buona sensazione di completezza e un doveroso cliffhanger verso il secondo episodio.
La messa in scena guidata da Bryan Singer, poi, è salda ed efficace, magari non originalissima, ma perfettamente funzionale.
Impregnata da una fotografia spesso scura e misteriosa, e da un montaggio serrato ma non esasperato, The Gifted costruisce buone scene d’azione e suspense, in cui effetti speciali di buon livello (e soprattutto mai esagerati) restituiscono il senso dell’esperienza mutante senza mai fare il passo più lungo della gamba, quello che da altrove scivola nel posticcio. Siamo forse dalle parti della prima Heroes, quella che sorprese il pubblico di NBC con il suo carisma prima di tutto visivo.
La fuga dai ragni meccanici, poi, è una scena d’azione robusta ed emozionante, girata con grande perizia e cura dei dettagli (come certe inquadrature sghembe o al livello del suolo, materia da saga di Alien), che lascia in bocca il sapore di un’avventura appassionante.
Per quanto mi riguarda, è così che si gira un pilot da rete generalista. Che probabilmente non può permettersi le follie di Legion o la raffinatezza quasi filosofica di un American Gods, ma che deve essere in grado di proporre una narrazione solida, pulita, efficace. A maggior ragione se parliamo di uno show tratto dal fumetto supereroistico, che nella maggior parte delle sue incarnazioni è prima di tutto un prodotto orgogliosamente popolare.
Chiaro che molte cose possono cambiare, che Bryan Singer non sarà sempre lì a mettere la sua abilità, e che è relativamente facile iniziare un racconto sulle famiglie mutanti che scappano, ma più difficile è farlo restare interessante e teso per molte settimane.
Ma pure Inhumans sembrava essere uno show che si scriveva da solo, e invece guarda lì che pastrocchio. Quindi prendiamoci questo bel pilot di The Gifted e vediamo dove ci porta.
Perché seguire The Gifted: il pilot magari non aggiunge tantissimo alla mitologia mutante che già conosciamo, ma è un episodio scritto e girato con criterio, che diverte e appassiona.
Perché mollare The Gifted: non ha – né prova ad avere – i guizzi creativi di altre serie da pay tv.