American Vandal di Netflix è molto più di quello che sembra di Marco Villa
American Vandal è tutto tranne che una serie stupida
Un trailer fantastico, che diverte e ti fa dire “beh, bravi!”, ma che ti lascia con un punto di domanda grosso così: come faranno a tenere botta per otto puntate con una premessa che sembra stiracchiata già per un film di 90 minuti scarsi? Domanda più che legittima, a cui si può rispondere facilmente: per farcela, bisogna realizzare una serie come American Vandal, che è molto più di quello che sembra.
American Vandal è una nuova serie tv di Netflix, creata e diretta da Tony Yacenda e disponibile dal 15 settembre sul servizio di streaming. Il suo concept è molto semplice: un mockumentary che sia parodia delle serie true crime, ovvero quei titoli che raccontano vicende di cronaca e provano a scovare attraverso il documentario verità mai scoperte fino a quel momento. L’esempio più chiaro è proprio in casa Netflix e risponde al nome di Making a Murderer. American Vandal parte dalla stessa premessa, raccontando la storia di Dylan Maxwell, studente della cittadina californiana di Oceanside e della sua odissea giudiziaria, cui viene sottoposto per un sostanziale pregiudizio da parte degli investigatori.
Messa così sembra esattamente Making a Murderer, peccato che il reato in questione sia aver disegnato 27 peni su altrettante macchine di docenti del liceo locale e che tutta la parte investigativa avviene all’interno della scuola. Lo spostamento è chiaro e la scelta di un reato di questo tipo apre alla possibilità di giochi di parole e battute pressoché infinite.
Quello che colpisce nei primi episodi è l’assoluta volontà di aderire allo stile del true crime: American Vandal non è una parodia realizzata mandando in vacca un genere, ma una parodia che prende quel genere e lo rispetta fin nei minimi dettagli, esasperandolo e applicandolo a un fatto comico. L’accusato è infatti un totale cretino, uno che cerca di lanciare un canale YouTube di scherzi tipo vestirsi da suora e ingropparsi alberi nei parchi, oppure scoreggiare in faccia ai neonati. Cose che fanno molto ridere, ma che indicano chiaramente il livello intellettivo del nostro amico.
A cercare di scagionarlo sono due suoi compagni di liceo, gli sfigati della situazione, quelli che non vengono invitati alle feste nemmeno quando TUTTI sono invitati: Peter e Sam, che prendono una videocamera e si mettono a realizzare un documentario per dimostrare che il povero Dylan sta dicendo la verità: non è stato lui a disegnare tutti quei piselli.
Le prime tre-quattro puntate di American Vandal sono quelle più pesanti, perché la scelta di aderire al linguaggio in stile Making a Murderer impone anche una continua ripetizione di informazioni sia in voice over, sia con interviste, sia con grafiche. Per questo motivo, inizialmente il gioco sembra non reggere e sembrano confermarsi i dubbi emersi già in occasione del trailer: perché fare una serie? Dalla quinta puntata, però, tutto cambia: di colpo il ritmo si velocizza e lo spettatore si ritrova nella surreale situazione di voler davvero sapere chi ha disegnato i piselli sulle macchine. Da quell’episodio, American Vandal decolla: dopo aver poggiato le basi del progetto con episodi ben inseriti nel genere, inizia a diventare qualcos’altro e inizia a diventare molto più di quello che ci si aspetta da una serie che ha “dicks” come parola più pronunciata in assoluto.
La vicenda di Dylan diventa infatti, più in generale, quella di un ragazzo che viene giudicato a priori e a cui non viene mai concesso il beneficio del dubbio, nemmeno al liceo: uno che è un cretino, ma è talmente incastrato in quel ruolo da non potersi mai riscattare davvero, rischiando così di finire vittima di un destino che in parte ha contribuito a costruire, in parte no. Con un ulteriore avvitamento su se stessa, anche la serie segue lo stesso percorso, creando con la prima metà un’immagine di sé che finisce per essere riduttiva e viene ribaltata in senso positivo dalla seconda metà. E qui si viaggia ulteriormente a livello di meta-narrazione, senza temere il salto nel vuoto e riuscendo sempre a smorzare i momenti più seri con altri talmente grotteschi da tenere sempre tutto in equilibrio.
Perché sì: American Vandal è più di quello che ti aspetteresti, ma è comunque soprattutto una serie divertente, che sfrutta in fino fondo l’idea brillante da cui parte. A conti fatti, probabilmente ci sono un paio di episodi di troppo, ma se arriverete alla fine non ve li ricorderete nemmeno più.
Perché guardare American Vandal: perché l’idea di base è geniale, è applicata alla perfezione e più si va avanti, più si apprezza il tutto
Perché mollare American Vandal: perché la pedanteria dell’inizio è necessaria, ma può annoiare