Philip K. Dick’s Electric Dreams: alla ricerca della nuova Black Mirror di Diego Castelli
La nuova fantascienza di Channel 4, prodotta da Bryan Cranston
C’è molto di buono (più alcune perplessità) nell’esordio di Philip K. Dick’s Electric Dreams, la serie di Channel 4 prodotta fra gli altri da Bryan Cranston, con la quale la rete inglese che era la patria di Black Mirror prova a colmare il vuoto lasciato proprio dall’antologia distopica di Charlie Brooker, nel frattempo finita su Netflix.
E il fatto che la nuova fantascienza antologica di Channel 4 (siamo di nuovo di fronte a episodi completamente autoconclusivi) affondi paradossalmente le dita nel passato, nelle opere di uno dei più grandi autori del genere, è solo la prima di numerose tensioni che rendono “The Hood Maker”, primo episodio dello show, un esordio pieno di fascino e di pericoli.
Se già le recensioni dei pilot sono spesso azzardate, perché una serie tv può migliorare molto (o peggiorare di brutto) nel giro di poche settimane, lanciarsi in un giudizio su una serie antologica ha un vago sapor di suicidio, considerando che la prossima settimana vedremo una nuova storia, in una nuova ambientazione, con nuovi attori e autori diversi.
Allo stesso tempo, “The Hood Maker” si porta dietro alcune scelte abbastanza evidenti e probabilmente strutturali. Il riferimento a Dick è molto preciso, perché l’episodio rimanda a un racconto del 1955 in cui la premessa è più o meno la stessa: un misterioso scienziato che inventa un dispositivo in grado di bloccare i poteri di una razza di telepati che un governo oppressivo vuole usare per controllare i pensieri della gente. Allo stesso tempo, l’episodio televiso prende quella materia e la modifica in modo spesso sostanziale, inserendo punti di vista più articolati, qualche sorpresa un po’ più “commerciale”, e il vago tentativo di attualizzare la materia narrativa, con riferimenti non ossessivi ma comunque chiari al nostro presente.
Questo è un punto importante. Se Black Mirror è una serie espressamente dedicata alle tematiche della tecnologia, di internet, dei social, alla ricerca di improbabili futuri distopici che consentano di riflettere sulle storture del presente, Electric Dreams si trova (e si troverà) a lavorare su una materia letteraria vecchia perlomeno di 35 anni (Dick è morto nel 1982). Questo sparge sulla serie un’inevitabile patina vintage, che va benissimo in quanto trasposizione letteraria, ma che potrebbe rendere i suoi temi un po’ meno attuali, o comunque meno originali, rispetto ad altri esempi di fantascienza più radicata nel presente.
In questo senso, “The Hood Maker” ragiona sulla privacy e sull’influenza della società sul singolo individuo, mostrandoci un mondo in cui nemmeno gli spazi della propria mente sono al riparo da intrusioni altrui. Un tema che in realtà è ancora molto attuale, in questi anni fatti di social dove ci si fotografa anche al cesso, e di riconoscimenti facciali degli smartphone che i complottisti sono pronti a far risalire alla volontà dei governi di tracciare i nostri spostamenti. Certo è che, però, quello stesso tema trasposto in una lotta fra Normali e Teeps (i telepati) si porta dietro un inevitabile sapore d’altri tempi.
Questa è una criticità in qualche modo “fondante” di Electric Dreams, che la serie continuerà a portarsi dietro e che ogni settimana verrà affrontata in modi diversi. Ma l’analisi non si esaurisce mica qui, perché poi di roba buona ce n’è tanta. Non solo nei protagonisti da copertina, soprattutto l’ex Robb Stark Richard Madden, ma soprattutto in una messa in scena ricca, sensata, anche banalmente “costosa” nella ricostruzione distopica di un futuro grigio, polveroso e opprimente.
Ci sono molte buone idee nella regia di Julian Jarrold, che in quarantacinque minuti condensa una storia (di sole 18 pagine) che avrebbe potuto essere la base per un film, ma che in versione ridotta riesce comunque a non essere troppo frettolosa, proprio perché i molti avvenimenti e svolte vengono ingabbiate e ordinate in scene mai banali, in cui si mostra più che spiegare, ma non per questo si perde in comprensione.
Soprattutto, lo sceneggiatore Matthew Graham (fra i creatori di Life on Mars) riesce a superare la dicotomia abbastanza netta fra buoni e cattivi presente nel racconto di Dick, offrendoci uno scenario più articolato, che non teme sfumature e ribaltamenti anche violenti, aggiungendo alla paura distopica dello stato opprimente anche un inquietante (e affascinante) pessimismo che ruota attorno alla capacità tutta umana di essere quasi sempre stronzi, poteri o non poteri.
Electric Dreams merita fiducia. Se per tanti motivi Black Mirror è una pietra di paragone quasi inevitabile, contro la quale la nuova serie perde in termini di pura originalità, allo stesso tempo Electric Dreams ha esordito con abbastanza qualità da meritarsi una visione senza pregiudizi, che tenga conto della matrice letteraria non proprio recentissima, e che sappia cogliere le molte idee che, soprattutto in termini di messa in scena, l’opera di Dick è ancora in grado di ispirare.
Sperando che il secondo episodio non faccia schifo vero.
Perché seguire Philip Dick’s Electric Dreams: la solidità del primo episodio spinge a tenere d’occhio anche i prossimi, perché se questo non è un capolavoro, uno dei prossimi potrebbe esserlo.
Perché mollare Philip Dick’s Electric Dreams: se cercate il nuovo Black Mirror, Electric Dreams potrebbe non essere altrettanto dirompente, per lo meno in termini di pura originalità.