The Orville: Seth MacFarlane e un miscuglio che zoppica di Diego Castelli
Il papà di Family Guy in una comedy che non lo è abbastanza, o lo è troppo…
SPOILER MINUSCOLI, LEGGETE TRANQUILLI
The Orville era una delle serie autunnali che aspettavo di più. E il pilot non m’è piaciuto.
Che scoppiettante inizio di stagione!
Aspetta che andiamo con ordine. In onda su FOX e creata da Seth MacFarlane, papà di Family Guy, The Orville più essere sommariamente descritta con tre parole che forse agli autori non piacerebbero: parodia di Star Trek.
È lo stesso MacFarlane a interpretare Ed Mercer, un capitano finito in depressione dopo il tradimento della moglie con un alieno blu, che un anno dopo il fattaccio è pronto a tornare in sella e si prende il comando di una nave da esplorazione, pronta a scoprire i reconditi segreti del cosmo. Peccato che nell’equipaggio, fra gli altri, ci sia anche lei, la ex fedifraga pronta a rigettarlo nello sconforto.
The Orville ha tutto ciò che serve per essere la parodia di Star Trek: lo stesso setting, le stesse tutine monocromatiche, lo stesso gusto per l’esplorazione, perfino lo stesso modo di concepire la plancia dell’astronave. Il tutto unito ovviamente alla deviazione demenziale di tutti questi elementi, che per esempio farciscono il pilot di alieni oltremodo buffi che sprizzano strani liquidi quando sono emozionati, o pisciano una volta all’anno innescando inevitabile sarcasmo.
Il problema di The Orville non sta dunque nel suo essere parodia di Star Trek, che ci starebbe alla grande, e troverebbe in MacFarlane il nerd cinico e creativo adatto a metterla in scena (come spesso accaduto con altri famosi franchise in Family Guy). Il problema è che non è abbastanza parodia, perché ambisce anche a qualcos’altro.
Il dubbio veniva subito, a vedere il formato: 44 minuti di comedy? Mmm, qualcosa non torna. E ben presto ci si rende conto che The Orville, accanto a battute surreali e a tratti volgarotte, se la crede tantissimo. Oltre all’intento comico, sempre abbastanza evidente, c’è anche un’intenzione seria o semi-seria, l’idea palese che la serie possa essere davvero uno show di avventura e fantascienza, che possa davvero creare suspense, romanticismo e forse perfino dramma, in aggiunta alle sue varie gag umoristiche.
E qui allora fermi tutti, si entra in tutt’altro campo da gioco. Soprattutto, perde immediatamente senso la vicinanza stilistica, concettuale e perfino cromatica con Star Trek. E sia chiaro, unire commedia e dramma, suspense e leggerezza, di per sé non è un problema: l’ibridazione fra i generi è una cifra fondamentale della contemporaneità, e in passato abbiamo amato moltissimi show in grado di vivere con più anime: tanto per citarne uno dello stesso genere, Firefly.
Ma The Orville, per come è stata concepita e considerando a chi è stata affidata, fa una fatica boia a trovare un equilibrio fra le varie componenti. La natura spesso pesante (anche in senso buono) della comicità di MacFarlane, unita alla succitata, palese ispirazione a Star Trek, rendono The Orville “evidentemente” parodistica, sono cioè codici stilistici e narrativi che richiamano nello spettatore una specifica risposta: io prendo in giro una cosa sacra, e tu ridi.
Nel momento in cui questa base così evidente si unisce al tentativo di fare avventura vera, e drama vero, il castello di carte crolla: succede che a quel punto le battute non sono abbastanza frequenti e abbastanza divertenti, e che al contrario tutto ciò che non è dichiaratamente comedy suona stonato e fuori posto.
Ovviamente gli autori puntavano all’effetto radicalmente opposto, speravano cioè che The Orville potesse piacere tanto a chi cercava la comedy quanto a chi voleva l’avventura. E forse ci hanno pure preso, considerando che gli ascolti fatti registrare da questa premiere sono molto buoni. Ma a me qualcosa non torna, e il paragone da fare è proprio quello con Firefly: la serie di Joss Whedon si presentava come un’avventura originale, e il fatto che a tratti fosse evidentemente comica umanizzava i personaggi, rendendoli più amabili. Con The Orville, avendo in mano solo il pilot, succede l’opposto, cioè una comicità che viene eccessivamente diluita dal drama, e un drama che viene depotenziato dalla comedy. La differenza è ovviamente sottile, ma sono troppe le scene di The Orville in cui si attendono battute che non arrivano, e al contrario ci si aspetta serietà che non c’è, da non notare il problema.
A questo va aggiunta una seria questone di casting. Che Seth MacFarlane voglia diventare un attore a tutti gli effetti è ormai evidente, sono anni che ci prova. Che non ne abbia i numeri, però, è altrettanto palese.
Autore abilissimo e doppiatore eccelso, davanti alla macchina da presa MacFarlane semplicemente non funziona, mancandogli il ventaglio espressivo che si richiede a un attore che, a maggior ragione in questo caso, dovrebbe saper gestire sia comedy che drama. Purtroppo MacFarlane funziona in un’unica modalità, quando può usare un’espressione un po’ neutra che si attacchi a gag molto veloci, come quella iniziale con la finta mentina. Ma quando lo vediamo recitare insieme ad Adrianne Palicki, che interpreta la sua ex moglie, il divario è inquietante, il volto di lui pare vittima di una paresi, e l’idea che in quel momento dovrebbe sprigionarsi romanticismo è pura follia.
MacFarlane non è il problema principale di The Orville, ma certo la fissità della sua espressione non aiuta a spostare la serie verso una direzione precisa, lasciandola in un limbo non privo di qualche momento realmente divertente, ma nel complesso troppo indecisa per convincere appieno in un senso o nell’altro.
Tempo per sistemare le cose ce n’è, e a me effettivamente piacerebbe vedere un buona comedy spaziale con Seth MacFarlane, motivo per cui attendevo la serie con una certa trepidazione. Al momento però The Orville non lo è, o non lo è abbastanza, e con l’autunno seriale alle porte la fiducia dei serialminder non può essere infinita. Spero tanto di essere smentito.
Perché seguire The Orville: è una serie ambiziosa, guidata da un autore in gamba, che strappa più di un sorriso.
Perché mollare The Orville: troppo indecisa fra comedy e drama, finisce con l’essere né carne né e pesce e lascia una spiacevole sensazione di incompiutezza.