I Love Dick – Da Jill Soloway un nuovo capitolo sulla femminilità di Diego Castelli
Su Amazon la nuova serie della creatrice di Transparent
Jill Soloway è diventata famosa relativamente tardi. Compirà fra poco 52 anni, e ha dovuto fare una gavetta lunga quasi due decenni (lavorando come produttrice e sceneggiatrice in serie tv come Grey’s Anatomy e Six Feet Under) prima di poter mettere la firma su una serie tutta sua che spaccasse sul serio.
Quando l’ha fatto, però, ha mostrato una visione chiara e limpida, che forse attendeva solo il momento giusto per spiccare il volo. La serie in questione è Transparent, naturalmente, uno dei prodotti più interessanti ma anche culturalmente e politicamente impegnati degli ultimi anni. Un prodotto che per la sua natura un po’ indie e rarefatta aveva probabilmente bisogno di Amazon (e in generale di queste nuove piattaforme parzialmente libere dalla ghigliottina dei dati d’ascolto) per poter mettere in scena la piena visione della Soloway, senza dover scendere a troppi compromessi.
Dopo la svalangata di Emmy e i due golden globe vinti con Transparent, ora Jill Soloway (in combutta con Sarah Gubbins) ci riprova: il risultato è I Love Dick, e la netta impressione è non abbia perso il suo tocco.
I Love Dick racconta di Chris (Kathryn Hahn) regista femminista e impegnata, che accompagna il marito scrittore Sylvère (Griffin Dunne) in un viaggio di lavoro a Marfa, in Texas, dove l’uomo può trovare ispirazione e appoggio da parte di un famoso e misterioso artista – il Dick del titolo, interpretato da Kevin Bacon – che dirige una specie di comune dedita all’arte e alla sperimentazione.
Il problema sorge quando Chris, alla sola vista di Dick, perde la testa per lui, con una forza che assomiglia più all’ossessione che all’amore romantico, con ovvie conseguenze destabilizzanti per il suo matrimonio.
Se la base della storia è tutto sommato banale e richiama, sfumandolo, il buon vecchio triangolo amoroso, il vero valore di I Love Dick sta nella potenza della sua esplicita metafora.
Per comprenderla bisogna ragionare sul titolo. Dick è il nome di battesimo del personaggio di Kevin Bacon, ma in inglese “dick” significa anche “cazzo”, e per estensione accoglie anche il significato di “cazzone, stronzo, maschio immeritevole di rispetto”.
Il titolo della serie quindi, significa certamente “io amo Dick”, ma anche “io amo il cazzo”, e questo doppio significato è la prima (non ultima) chiave di lettura di tutta l’esperienza di Chris, il cui personaggio nasce in realtà nel 1997, in un romanzo vagamente autobiografico di Chris Kraus, che ha fatto da consulente per la serie di Amazon.
I Love Dick è ambientata in una cittadina in mezzo al deserto, in cui l’economia concreta e sporca dei pozzi di petrolio coabita con le aspirazioni degli allievi di Dick, alla costante ricerca di un linguaggio per esprimere l’arte che sentono di avere dentro, un’arte non necessariamente figurativa o narrativa, esattamente come le opere più famose dello stesso Dick.
Arrivando in questa lavagna bianca, lontana da qualunque idea di metropoli soffocante, Chris diviene preda di una specie di risveglio. Dopo aver passato anni a fare la moglie brava e intelligente di un uomo colto e rispettabile, e dopo essersi avventurata ella stessa nel mondo della produzione artistica (all’inizio del pilot ha un film che potrebbe uscire al festival di Venezia), Chris riscopre pulsioni antiche e primitive, un’attrazione fatale per un uomo che nemmeno conosce, ma di cui adora il fascino virile, da cowboy di frontiera, l’immagine di un uomo che lei, donna matura e intelligente, non dovrebbe più desiderare.
Ideata e scritta rigorosamente da sole donne, I Love Dick è un nuovo viaggio di Jill Soloway nelle costellazioni più contrastate dell’universo femminile. Se in Transparent l’oggetto del racconto era una femminilità fortemente desiderata ma biologicamente negata, da parte di un maschio che si sentiva donna, quella di I Love Dick è una femminilità continuamente soffocata, in cui l’apparente indipendenza è in realtà una concessione dell’uomo, che impone sempre e comunque certe regole: sì, puoi essere un’artista, ma allora poi devi essere asessuata e “tutta testa”, altrimenti sporchi il tuo lavoro.
Quando Chris esce di testa per Dick, la prima cosa che fa è iniziare a scrivere lettere piene di passione che trapuntano l’intera serie, e che rappresentano il tentativo della protagonista di metabolizzare e sublimare con l’arte tutto ciò che sente dentro.
Il fatto che queste pulsioni vengano provate per un uomo inizialmente piatto nel suo fascino ancestrale (anche se con l’andare della prima stagione il personaggio di Bacon assume una sua fisionomia e un suo spessore), mette Chris e le altre donne di I Love Dick sullo stesso piano di tanti artisti uomini dei secoli passati, quelli che trovavano l’arte in un sorriso vergineo o in una mano pallida. Con la differenza che le donne faticano a vivere quel tipo di pulsioni (e l’arte che ne deriva) in totale libertà, proprio perché, al contario dei maschi fortunelli, hanno addosso lo sguardo giudicante di una società ancora prettamente maschile, che è sempre pronta a dire “sì, ma”.
Sia Transparent che I Love Dick sembrano dunque il tentativo della Soloway di sondare un mondo femminile che possa essere liberato dal “sì ma”, che possa esprimersi come meglio crede, senza vergognarsi dei propri sentimenti, delle proprie debolezze, ma nemmeno dei propri punti di forza.
La tensione di I Love Dick (tensione sessuale, emotiva, frustrante), al di là del suo intreccio meramente narrativo, sta dunque nella rappresentazione di personaggi che vogliono qualcosa di più di quello che hanno, e che cercano di lottare contro tutte le costrizioni (a volte invisibili, a volte inconsce) che glielo impediscono.
Una lotta così forte e appassionata da tracimare in elementi che normalmente in tv non vediamo mai, in oscure citazioni artistiche e cinematografiche, nonché continue rappresentazioni del nudo femminile, che ogni volta sembrano gridi d’aiuto di donne che, mostrando la loro nudità fisica, sembrano voler richiamare l’attenzione sulla nudità intellettuale con cui si offrono allo spettatore.
In un mondo seriale sempre più femminile e femminista, I Love Dick è lo show che più di altri, invece di mostrare il femminismo come scontro fra opposti, lo rappresenta come occasione per una reale autocoscienza femminile, che si liberi dalle gabbie imposte da una società maschilista non tanto per fare una rivoluzione politica, ma semplicemente per capire meglio se stesse, e trovare una via davvero personale all’arte e alla felicità.
Perché seguire I Love Dick: per la passione, la sincerità e la raffinatezza con cui si getta su un tema tutt’altro che semplice.
Perché mollare I Love Dick: Siamo da un’altra parte rispetto al classico concetto di intrattenimento televisivo.