5 Luglio 2017 10 commenti

Gypsy – Naomi Watts da applausi in una serie tv inesorabile di Marco Villa

Gypsy si interroga sul tema dell’identità ed è un progressivo e inarrestabile crollo

Copertina, Pilot

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Ci sono alcune serie che sono fatte per titillare la parte più voyeuristica e perversa dello spettatore. Serie che hanno come principale obiettivo quello di trattenere chi guarda per offrire un posto in prima fila su una sventura, su un naufragio annunciato. Il genere può essere dei più disparati, ma spesso si finisce dalle parti della tensione del thriller. Gypsy è esattamente così: una serie da guardare per assecondare il perverso desiderio di vedere crollare un personaggio, di vederlo sprofondare verso il disastro minuto dopo minuto.

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Gypsy è una nuova serie tv di Netflix, disponibile dal 30 giugno e creata da Lisa Rubin, una con un curriculum praticamente inesistente, ma che evidentemente ha fatto il pitch della vita, visto che le prime due puntate sono dirette da Sam Taylor-Johnson (Cinquanta sfumature di grigio). Protagonista è Naomi Watts, che interpreta Jean, psicologa in carriera, moglie e madre. La sua sembra la vita perfetta, con soddisfazioni al lavoro e casetta fuori New York dove rifugiarsi a fine giornata. Peccato che non sia così, perché la vita di Jean si sta lentamente distruggendo e a martellarla alle fondamenta, con calma e tremenda costanza, è lei stessa. Quella vita perfetta e a modo, infatti, le sembra ormai una prigione: sul lavoro, è frustrata dal fatto di non poter mai fare un passo in più per provare ad aiutare fino in fondo i propri pazienti, mentre a casa soffre di gelosia per l’assistente del marito e viene soffocata dalle dinamiche da casalinghe disperate delle mamme delle compagne di classe della figlia.

L’unica via di fuga possibile diventa quella di mettersi in gioco, in tutto e per tutto, costruendosi nuove vite e soprattutto inserendosi in quelle dei pazienti. Se uno racconta della dipendenza dalla ex fidanzata, Jean va a conoscere la ragazza e prova a vivere lo stesso rapporto del paziente, stessa cosa con la donna sessantenne che non riesce a parlare con la figlia. Un gioco pericoloso, che la spinge sempre più vicino al limite e che forse già in passato ha rischiato di bruciarle carriera e vita personale.

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Nei primi episodi, appare evidente che il percorso di Jean sarà un continuo crollo all’interno di menzogne e vite parallele, con il pericolo di essere scoperta dai pazienti e dalla famiglia. Tutta Gypsy, del resto, ruota intorno al tema dell’identità: Jean è quella che si pone la domanda in maniera più forte, ma anche sua figlia, per quanto piccola, dimostra di avere più di un dubbio riguardo alla propria identità sessuale e in fondo è in una situazione simile anche Larin, collega psicologa alle prese con la ristrutturazione del proprio io dopo il divorzio dal marito. Una sorta di nomadismo identitario, per rifarsi al titolo della serie.

Come detto, in una serie come Gypsy non conta tanto il punto finale, ma il modo in cui ci si arriva. Nei primi episodi si assiste all’inizio di un crollo che, facile prevederlo, avrà effetti potenti e distruttivi su tutto ciò che circonda Jean. Com’è ovvio che sia, non si tratta di una serie tv che parte a mille all’ora, ma di una storia che cercherà di tirare in mezzo lo spettatore con lo stesso ritmo con cui manderà in rovina la propria protagonista: lento, ma inesorabile.

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Gypsy non è quindi la serie tv fulminante, quella che ti impone il binge watching per arrivare alla fine il più presto possibile. Anzi: è la serie tv che ti impone un ritmo  dilatato per sintonizzarti sulla stessa lunghezza d’onda del dramma che viene messo in scena. Che è la sua caratteristica principale, ma può essere anche letto come un difetto, perché di fatto Gypsy è un thriller-non-thriller, una sorta di incompiuto. Ma potrebbe anche non essere un grosso problema a conti fatti, l’importante è che riesca a reggere i dieci episodi che la compongono.

Ah, Naomi Watts è bravissima. Ma bravissima veramente.

Perché seguire Gypsy: perché la sua inesorabilità è ipnotica e per una super Naomi Watts

Perché mollare Gypsy: perché non ha la forza del thriller, né una partenza a razzo



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