7 Aprile 2017 11 commenti

Imaginary Mary – Un calco di Inside Out venuto male (molto male) di Marco Villa

Storie di amici immaginari in versione animata

Copertina, Pilot

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È sempre molto bello provare a immaginare come nascono le idee, soprattutto quelle brutte. E quella alla base di Imaginary Mary è un’idea non solo brutta, di più. E allora immaginiamoci i tre creatori Adam Goldberg, David Guarascio e Patrick Osborne che un bel giorno nella seconda metà del 2015, davanti a qualche miscela cubana o cilena di caffè, si guardano negli occhi e all’unisono dicono: “Ragazzi, dobbiamo svoltare. Dobbiamo osare l’inosabile, dobbiamo fare il botto che qui c’è da ingrandire la piscina”. Come nella migliore delle tradizioni, la prima mossa di chi vuole fare il botto è sempre la stessa: guardare chi il botto l’ha già fatto e provare a farsi “ispirare”. E in quel periodo della storia dell’intrattenimento il nome sulla bocca di tutti è uno: Inside Out, il film della Pixar ambientato nel cervello di una bambina, con i sentimenti umani come protagonisti. Tutti entusiasti per come il film abbia aperto tutto un possibile mondo narrativo, fino a quel momento inesplorato. Ecco quindi che il nostro brillante terzetto ha l’idea delle idee: prendere Inside Out e trasformarlo in una serie.

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Imaginary Mary (su ABC dal 29 marzo) è infatti le declinazione adulta e televisiva di quel progetto: non è una serie animata, ma contiene elementi di animazione. Tutti i protagonisti sono umani e a tutti gli effetti si presenta come una sitcom girata con camera singola, ma poi arriva la zampata: un personaggio animato che arriva direttamente dalla testa della protagonista Alice (Jenna Elfman, dritta dritta da Dharma e Greg). Non si tratta di un personaggio di fantasia a caso, ma di Mary, l’amica immaginaria che Alice aveva quando era una bambina e che aveva abbandonato una volta raggiunta la vita adulta. Alice è uno di quei personaggi realizzato sul lavoro, ma disastroso nella vita personale: quando il suo compagno le dice che è il momento di incontrare i suoi figli, lei va in crisi e magicamente al suo fianco ricompare Mary, una specie di bambolotto pelosotto simpaticone, con la voce di Rachel Dratch.

Obiettivamente va detto che l’idea non è tremenda, peccato che venga realizzata nel modo più insulso possibile. A livello visivo, Mary è parente prossima di Tristezza di Inside Out, mentre a livello di caratterizzazione ricorda molto Bing Bong, l’amico immaginario (guarda un po’) della protagonista del film Pixar. La dinamica tra Mary e Alice è la più scontata possibile: un continuo battibecco in cui Mary interpreta sempre la parte del diavoletto cattivo, che a non prendersi mai responsabilità e a scappare da tutto e tutti, esattamente come poteva accadere nell’infanzia e nella prima adolescenza.

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Non è l’unica cosa scontata di Imaginary Mary, perché tutto viaggia su binari banalissimi: il compagno di Alice è il buono che la aspetterà sempre e che quindi può sopportare senza drammi le stranezze della fidanzata, mentre i tre figli sono archetipi di figli seriali. C’è la piccola intelligentissima, la mezzana nerd e il grande impacciato e con problemi di relazioni sociali. Al di là di tutto questo, c’è poi un problema lampante: Imaginary Mary non fa ridere. Anzi: irrita. La serie ha un umorismo vecchio e stantio e non si capisce a chi debba rivolgersi, perché non funziona né in maniera diretta, né facendogli fare un doppio giro ironico. Un fallimento su tutta linea.

Perché seguire Imaginary Mary: perché l’idea dell’elemento animato vi sembra comunque interessante

Perché mollare Imaginary Mary: perché è un calco venuto male

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