Anteprima 13 Reasons Why: il mistero di Netflix su un’adolescente suicida di Francesco Martino
Una serie teen, ma non troppo
Da “Chi ha ucciso Laura Palmer?” a “Cosa ha ucciso Hannah Baker?” (senza voler fare paragoni eh, calmi tutti subito!)
Hannah (Katherine Langford) decide di togliersi la vita, ma prima di farlo registra tredici messaggi in cui indica altrettanti colpevoli della sua scelta. Non una lista dei veri responsabili, ma chi ha più o meno esplicitamente dato il via alla spirale che ha risucchiato la ragazza, finendo per dare l’incipit alla serie.
Ed è già qui che il nuovo prodotto di casa Netflix inizia a mostrare i suoi pregi, quando contrariamente alla maggior parte dei teen drama suoi colleghi riesce a mettere in campo una serie di temi che vanno oltre ai semplici drammi adolescenziali da “temi d’amore tra i banchi di scuola”.
Si parla di bullismo, di depressione, e si toccano corde che raramente un prodotto così young riesce a toccare, risultando da subito efficace nella sua volontà di trascinare lo spettatore nel vortice empatico di Hannah.
La scoperta delle tredici registrazioni si intreccia con dei flashback del passato, rendendo così la ragazza la vera e propria co-protagonista della serie insieme a Clay (Dylan Minnette), quello che diventa a tutti gli effetti l’avatar dello spettatore. È lui a trovare le registrazioni davanti la porta di casa ed è lui a scoprirle episodio dopo episodio, scoperchiando un vaso di Pandora pieno di segreti ed intrighi, ricatti e tanto altro. Clay si muove quindi tra passato e presente, tra un flashback richiamato dalla voce fuoricampo di Hannah e la sua continua ricerca del perché, ma soprattutto di cosa c’entra lui nella lista dei tredici colpevoli.
Nei quattro episodi che Netflix ci ha messo a disposizione l’intreccio funziona (soprattutto grazie a un escamotage che ci aiuterà a distinguere passato e presente), ma la sensazione è che alla lunga la trama fitta di scoperte possa iniziare a sfilacciarsi, finendo per risultare un po’ annacquata e meno efficace dal punto di vista emotivo.
Già in questo primo terzo di stagione si sentono i primi scricchiolii, il leggero sentore che nella convincente struttura di 13 ci possa essere qualche crepa fatta di passaggi a vuoto e minestroni di personaggi che nel corso dei tredici episodi (guarda caso) finiranno per diventare inevitabilmente meno interessanti di episodio in episodio.
Questa sensazione potrebbe trovare fondamento in una certa staticità della serie, inchiodata in un numero ristretto di location e situazioni che sembrano costrette a ripetersi all’infinito. E se le prime volte lo sguardo sconsolato di Clay con la musica di un Bon Iver di turno funzionano benone, per quanto potrà andare avanti questa cosa? La soluzione, ma forse è meglio dire la speranza, è che nei nove episodi restanti 13 Reasons Why ci riservi almeno un paio di enormi colpi di scena in grado di cambiare le carte in tavola.
Perché seguire 13 Reasons Why: un teen drama capace di andare oltre i soliti cliché del genere
Perché mollare 13 Reasons Why: una formula che diluita in tredici episodi potrebbe smettere di funzionare