Crashing – Il lato oscuro di Louie di Marco Villa
La strada verso il successo è durissima e Crashing ce lo spiega
Ci sono quelli a cui è andata bene, quelli che sono partiti dai gruppi di improvvisazione e sono arrivati al top, da Louis C.K. a Tina Fey. Ma per uno che ha avuto successo, probabilmente ce ne sono mille che si sono bloccati nei locali minuscoli, davanti a pubblici che non ridevano delle loro battute. Di sicuro, però, tutti hanno avuto un momento in cui hanno provato a mettersi in gioco, esattamente come Pete, il protagonista di Crashing.
Pete è Pete Holmes, comico e stand-up comedian, protagonista e anche creatore di Crashing, serie partita su HBO il 19 febbraio. Ovviamente la sovrapposizione tra realtà e finzione è più che presente, ma non è certo questo il punto interessante. Il punto interessante è il fatto che Crashing propone il vero e proprio dark side of Louie. Non che il personaggio di Louis CK sia un campione di realizzazione personale, ma rispetto al Pete di Crashing è tipo il capo di un azienda di motivatori. La storia parte quando Pete scopre che la moglie lo tradisce: notizia shock, ancora più shock considerato che i due si sono conosciuti a un campo estivo cristiano e quindi non solo stanno insieme da sempre, ma la loro relazione vive sotto lo stemma del cristianesimo più classico. Lei si è rotta di tutto questo, ma soprattutto del fatto che Pete continui a tentare la strada dello stand up comedian anche se è da anni che non solo non guadagna un dollaro da questo mestiere, ma è addirittura costretto a pagare per esibirsi nei locali di New York.
La triste scoperta spinge Pete nelle braccia di Artie Lange, storico comico statunitense che interpreta se stesso, in un ruolo che oscilla costantemente tra mentore ed esempio da non imitare. Al di là di questo, la svolta principale è ovviamente il fatto che Pete viene messo di fronte a se stesso: non c’è più lo stipendio della moglie a mantenerlo, adesso deve scegliere se continuare a inseguire il suo sogno o rinunciare per sempre al palco.
Quella del sogno di gloria nel campo dello spettacolo è una storia più che classica, ma in Crashing viene proposta dall’interessante punto di vista non del giovane talentuoso, ma dell’adulto che forse di talento non ne possiede nemmeno un briciolo. Allo stesso tempo, è interessante anche il fatto di essere di fronte a una sorta di pre-Louie: ovvero come affrontare questioni simili quando di fronte hai un pubblico adorante e quando invece quel pubblico vorrebbe cacciarti a calci.
Tutti elementi che convincono, ma che vengono depotenziati da un fattore che nel pilot sembra lanciare fuori dai binari la serie. Mi riferisco all’elemento della fede cristiana, che da un lato dà una verniciata di novità, mentre da un altro sembra caricare eccessivamente la figura del protagonista. Mi spiego: siamo abituati a vedere comici irriverenti e dissacranti nei confronti della religione, quindi un personaggio di questo tipo caratterizzato dalla fede cristiana può essere lodevole. Dopo il primo episodio, però, a vincere è una ventata di implausibilità, perché al di là di una possibile motivazione autobiografica, la faccenda della fede cristiana pesa come un elemento non richiesto e portatore di una inutile complicazione.
Pete è perfettamente inquadrato come sfigato colossale, come loser senza ritorno, senza che gli si debba mettere in bocca frasi come: “Non ho avuto paura di quel rapinatore perché sapevo che dio mi avrebbe protetto”. Si tratta di un elemento secondario, ovvio, ma determinante per la buona riuscita della serie. In caso fosse semplicemente una caratterizzazione creata per poter avere poi un ulteriore momento di cambiamento, sarebbe un semplice inciampo, in caso contrario rischia di trasformarsi in un vero errore.
Al netto di questo elemento, però, Crashing si presenta come una serie ben delineata, una di quelle comedy di nuova generazione che puntano tutto su tono e sguardo più che sulla risata piena.
Perché seguire Crashing: perché come tutte le comedy di HBO è un prodotto di qualità
Perché mollare Crashing: perché un eccesso di caratterizzazione può essere fatale per il protagonista