Big Little Lies – Segreti, bugie e un cast della Madonna di Diego Castelli
Tipo che bisogna fare l’elencone
Ci sono delle volte in cui, nel presentare una serie tv, bisogna proprio partire dalle maestranze, perché i nomi che spiccano sono talmente tanti e così grossi, che tutto il resto passa momentaneamente in secondo piano.
È sicuramente questo il caso di Big Little Lies, miniserie di HBO in sette episodi tratta dall’omonimo romanzo di Liane Moriarty (non parente dell’acerrimo nemico di Sherlock Holmes).
Facciamo l’elencone, che in questo caso merita proprio:
-Creata da David E. Kelley (padre di Ally McBeal, The Practice, Boston Legal ecc)
-Interamente diretta da Jean-Marc Vallée, regista di Dallas Buyers CLub con cui il nostro amato Matthew McConaughey vinse l’oscar come migliore attore.
-Nicole Kidman.
-Reese Whiterspoon.
-Alexander Skarsgård di True Blood.
-Laura Dern di Enlightened (e vabbè, di Jurassic Park).
-Adam Scott di Parks and Recreation.
-Shailene Woodley di The Secret Life of An American Teenager (e recentemente protagonista della saga di Divergent).
Poca roba, no?
Ecco, questo po-po di gente è messo al servizio di una storia tutto sommato semplice, come ne abbiamo sentite molte volte. Il tema è quello del marciume nascosto sotto il tappeto della borghesia americana ricca e agiata, quella che vive in riva al mare e che, pur avendo tutto ciò che serve per essere serena e felice, trova sempre il modo di essere depressa e mandare tutto in vacca.
Un tema così classico da rappresentare quasi un genere a sé stante nella produzione culturale americana, attraverso un po’ tutte le forme, dalla letteratura al cinema. Parlando di tv, possiamo trovare esempi anche molto diversi fra loro, leggeri e colorati come Desperate Housewives, oppure più patinati e morbosi come Revenge e Pretty Little Liars (il cui titolo è pure molto simile), passando per serie che hanno toccato quel tema all’interno di molti altri, come fece Mad Men che nella figura di Betty Draper infilava tutti gli stereotipi (puntualmente fallibili e falliti) della brava mogliettina americana tutta grembiuli e sformati di patate.
Ovviamente, ogni incarnazione di quella problematica ha portato le sue specificità, e Big Little Lies prova a non essere da meno, legandosi al gusto più sofisticato degli spettatori di HBO (e in questo senso, per quanto ci siano poi moltissime altre differenze, un altro paragone facile sarebbe quello con The Affair).
In particolare, il racconto si concentra su alcune madri, diversissime fra loro, che mandando tutte a scuola i figli nello stesso posto si incontrano e scontrano continuamente, mettendo sul piatto diverse visioni del mondo e dello stesso ruolo di madri e donne, che inevitabilmente vengono a collidere rivelando rancori e segreti.
Se vi sembra che, in fin dei conti, non vi stia raccontando niente di davvero nuovo, è effettivamente così, nel senso che siamo di fronte a un drama familiar-amicale che, in quanto tale, non può prescindere da alcune situazioni e dinamiche che molti altri prodotti hanno sfruttato in precedenza. Detto questo, senza spoilerare troppo e senza andare a leggere la trama del romanzo su wikipedia, in Big Little Lies c’è anche una sottile ma vibrante linea di violenza, intesa sia come sopruso fisico degli adulti sugli adulti, ma anche come bullismo dei bambini sui bambini, che fa da traccia sotterranea e inquietante utile a mantenere desta un’attenzione quasi inconscia.
Che poi oddio, “inconscia” mica tanto, visto che fin dall’inizio ci fanno vedere che c’è scappato pure il morto, di cui non conosciamo l’identità e che avvicina pericolosamente la serie alle atmosfere della citata Revenge, in cui tutti i temi e le dinamiche raccontate finora venivano masticate e digerite nella rapidità ossessiva del mistery da tv generalista, dove l’emozione dev’essere costante e il twist sempre dietro l’angolo.
Ma ecco, la qualità migliore di Big Little Lies sta proprio qui: forte di un pubblico affezionato (quello di HBO) e di un cast che fra drizzare le orecchie e a prescindere, Kelley e Vallée cercano di lavorare più sotto traccia, tenendo controllata la tensione proprio perché sanno che la suspense trattenuta (ma percepibile) è quella che più di altre permette di rendere davvero significanti i momenti di “esplosione”.
Due esempi su tutti, in questo senso: la scena in cui la bambina rivela di aver subito una violenza da un compagno; e più avanti i pochi secondi che spezzano l’idillio apparentemente perfetto fra Celeste e Perry. In entrambi i casi, gli autori permettono all’oscurità di scivolare discretamente ma con decisione nel quadretto bucolico fatto di scuole perfette e bellissimi tramonti, trovando l’eleganza adatta a trasmettere un concetto tutto sommato classico, ma che trova una sua forza precisa grazie alla messa in scena e al carisma degli interpreti.
Insomma, al momento è difficile prevedere se e quanto Big Little Lies potrà insegnarci qualcosa che non sappiamo già, o spalancare le porte di chissà quale illuminazione sulle cose del mondo. Forse molto, forse poco, forse rimarrà solo un’altra tacca in un percorso di autoanalisi che l’America porta avanti da decenni, del quale esistono esempi sia peggiori sia migliori di questo.
Ciò detto, però, è già ben visibile la mano di autori e interpreti che sanno come maneggiare la materia (tele)filmica, il cui lavoro è comunque già sopra, per equilibrio ed eleganza, a una buona parte delle serie più soappose che ci capita di vedere a intervalli regolari.
Il che potrebbe essere già abbastanza.
Perché seguire Big Little Lies: un autore di quelli affidabili, un bravo regista e un cast della madonna.
Perché mollare Big Little Lies: l’eleganza della messa in scena non nasconde del tutto una certa banalità del concept.