Social for dummies: The 100 e la cronistoria di un disastro annunciato di Francesca De Maria
Come gestire benissimo e poi malissimo la vita social di una serie teen
Eppure era partito così bene. O meglio, era partito come uno dei soliti show targati CW: adolescenti fighi con muscoli in mostra e ormoni a palla, gettati in un contesto post-apocalittico tra lotta per la sopravvivenza e quella per la supremazia (e per la figa, perdonate il francesismo), in quel puzzle del genere young adults tanto in voga nell’ultimo decennio.
Una partenza molto ni, eppure, tra la prima e la seconda stagione, il mezzo miracolo: complice una scrittura meno banale del previsto e un positivo passaparola sui social, il bistrattato The 100 riesce a strappare due rinnovi e addirittura a far capolino nelle classifiche dei ritorni più attesi e delle serie tv da recuperare. Era il 2015-2016 e, in occasione del ritorno della terza stagione, ne parlavamo in toni provocatoriamente sacrileghi anche noi su Serial Minds (a questo link).
Passaparola sui social, dicevo. Già, perché era poco più di un anno fa che il tag #the100 si imponeva con frequenza settimanale tra i trending topic mondiali di Twitter, per merito in egual misura dell’entusiasmo dei suoi fan e della massiccia interazione con loro da parte dello staff, capitanata proprio dallo showrunner Jason Rothenberg.
A distanza di 10 mesi, scorrendo il profilo twitter dello showrunner, lo ritroviamo per l’ultima volta attivo a Marzo 2016 e da lì in poi praticamente bannato dai social dopo la bufera mediatica (e non solo) abbattutasi sul suo show e che – Spoiler – ancora non accenna a diminuire.
Di che stiamo parlando? E come è potuto succedere?
Facciamo sette passi indietro.
N.B. SPOILER.
1) L’INIZIO
Qual è stato il momento esatto in cui è cominciata la transizione da show ignorato a show chiacchierato?
Va da sé che trovare un momento zero e un fattore univoco che abbia dato via al buzz sarebbe superficiale e pretestuoso: non c’è un elemento unico ma un mix. Dalla trama che si stratifica, ai personaggi che divengono meno ebeti, a una sceneggiatura finalmente in stato di grazia (pur non esente dalle falle): tutto concorre a elevare l’asticella e ad attrarre interesse e pubblico. Lo diciamo ora, non lo ripetiamo più.
Sarebbe però altrettanto superficiale ignorare l’elefante nella stanza, il giro di boa di questo uragano mediatico: il personaggio di Lexa e quello che rappresenta(va).
Lexa viene introdotta nella 2×06: è il Comandante dei Grounder, leader assoluto di un popolo tanto affascinante quanto brutale. È poco più di una bambina, e regge il mondo (e le sue storyline) sulle spalle senza battere ciglio. Ce la presentano, ci cattura, ci piace.
Ma ha anche una particolarità, un’intuizione, un guizzo in più: è gay.
Sticavoli, direte voi. Lo dissi anche io. Perché sottolineare una caratteristica così apparentemente trascurabile?
Urge precisazione: trattasi di un personaggio femminile, omosessuale, in condizioni di potere, importanza e rilevanza assoluta per il popolo di cui è a capo. È indipendente e ha un background il cui punto focale non è la sua omosessualità o la scoperta di essa. Lexa è apertamente gay e da questo non ne derivano né drammi né sorprese né contestazioni della sua autorità: insomma, in soldoni, per nessuno è un problema. A nessuno frega.
Tutto bello, tutto positivo, ci fa piacere.
Eppure, a molti può sfuggire che un personaggio del genere, con tutte queste banali caratteristiche di scrittura positiva, è raro come una perla.
D’altronde Clarke Griffin, che con Lexa intreccerà prima un flirt, poi una alleanza, poi una vera e propria relazione, è la prima protagonista assoluta apertamente bisessuale in un network pubblico made in USA. Comincia ad assumere una proporzione diversa, vero?
Sì, e soprattutto Jason Rothemberg e staff lo sanno benissimo.
Anche la stampa lo sa, e da questo momento articoli di plauso sulla rappresentazione LGBTQ arrivano a pioggia, così come i retweet, l’entusiasmo e sì, proprio lui: il passaparola positivo.
Ora, facciamo un gioco.
Immaginate di essere affamati di gelato alla nutella, ma in tutta la città una gelateria che fa il gelato alla nutella proprio non c’è. Gli altri gusti ci sono tutti, il pistacchio, il fiordilatte, l’amarena, tutti, ma la Nutella che è il vostro preferito proprio no, non la fa nessuno. Piace a poca gente, vi dicono. Tocca che vi accontentiate degli altri, perché non è che potete passare la vita senza mangiare gelati.
Ma vi rimane sempre quella latente, insoddisfatta voglia di gelato alla Nutella. E ve la tenete.
Poi apre una gelateria nuova che vi promette: “ehi, io faccio il gelato alla Nutella!”. Voi che cosa fate? Come minimo passate a vederla. E così fanno anche tutti gli amanti sperduti di gelato alla Nutella, dalle città vicine, dalle regioni vicine, e alla fine quella gelateria raduna un discreto manipolo di affamati di Nutella.
Così, Jason e The 100 radunano una folla di fans affamati proprio di quello: rappresentazione televisiva positiva, dignitosa, approfondita e corretta di personaggi femminili queer.
2) IL CONTESTO
Ma si tratta di un manipolo di fans che ha qualcosa da dirvi, qualcosa su cui mettervi in guardia: “Ehi, non credete di essere i primi che ci promettono il gelato alla Nutella. Tutti quelli che lo hanno fatto poi hanno finito per darci: una cafonata di sottomarca della Nutella, un gelato che sembrava Nutella e sapeva di cioccolato, altri addirittura ci hanno appena dato il tempo di assaggiarla per poi toglierci il gelato dal piatto.”
Tradotto in termini televisivi: tenete presente che solo il 10% dei (già pochi) personaggi femminili queer in televisione guadagna il cosiddetto lieto fine. Il 31% di loro muore di morti spesso tragiche o violente. Il 38% sono semplicemente storyline dimenticate nel vuoto, non concluse, con personaggi secondari, da sfondo, che spariscono nel nulla. (fonte http://lgbtfansdeservebetter.com/)
E sì, lo so che mica solo il gelato alla Nutella si rivela una delusione. C’è anche il gelato al pistacchio che sa di menta, il fiordilatte acido, la stracciatella coi grumi. Ma per una gelateria che fa schifo, in città ne aprono dieci che sono ottime e fanno quei gelati lì: per avere il gusto che vi soddisfa basta semplicemente cambiarla.
Immaginate quanto debba essere frustrante quando il gusto che piace a voi – e che quando lo trovate fa sempre schifo – lo trovate solo in una gelateria su cento.
3) LA PROMESSA
Jason e staff che cosa fanno? Sono i gelatai che promettono: “lo sappiamo, siamo informati. Venite da noi e vi daremo non solo il gelato alla Nutella, ma il gelato alla Nutella fatto con nocciole vere e selezionate, ne abbiamo in abbondanza per tutti e non ve lo faremo solo assaggiare ma anche gustare fino in fondo.”
E sì, in termini di risposta e di entusiasmo del pubblico, è un gioco che funziona alla grande.
Finale della seconda stagione: Lexa non muore. Tradisce l’alleanza con Clarke, ma sopravvive. Una donna omosessuale (e capo, e carismatica, ecc ecc) che sopravvive alla stagione: è quasi un evento. Jason e staff rassicurano tutti durante il live tweeting, gongolano, ne traggono orgoglio.
Il gelato alla Nutella è servito.
4) L’ESCA
Hiatus tra seconda e terza stagione, sono i mesi in cui la voce che c’è finalmente il gelato alla Nutella in città si sparge a macchia d’olio. I fans corrono da ogni dove, persino chi non aveva mai preso in considerazione il gelato alla Nutella lo assaggia, si informa, scopre che gli piace e perché no? E’ un bene averlo anche se non è il nostro preferito. Viva l’offerta diversificata!
È il Comic-Con del 2016, Jason dichiara ufficialmente il ritorno di Alycia Debnam-Carey nei panni di Lexa per la terza stagione, e l’annuncio è l’unica vera headline di apertura di tutte le testate che si occupano dello show e di televisione.
Ma quei fans bistrattati ancora non si fidano, è troppo bello per essere vero. Quanti hanno offerto il gelato alle Nutella per poi farlo sparire sul più bello?
Eppure Jason Rothenberg è sempre lì, onnipresente, a rassicurare, a rispondere ai suoi fans. È un mago del social promoting: non abbiamo ucciso Lexa. Beh, almeno non proprio oggi.
Arriviamo ora al momento clou. E’ il 21 Gennaio del 2016, data importantissima per due motivi: è l’ultimo giorno di riprese della terza stagione ed è contemporaneamente la data di messa in onda della premiere.
Succede che Jason Rothemberg invita i fan sul set che viene aperto alle riprese:
E guardate un po’ chi c’è, sul set delle riprese del finale di stagione, per niente nascosta ma orgogliosamente in vista?
Il gelato alla Nutella: Alycia Debnam-Carey, in tutta la sua Lexi-ana gloria. Viva. Fino alla fine. Insieme a Clarke. Felice. Hanno anche scelto la caramella arcobaleno…
State tranquilli, fans, guardate la terza stagione senza patemi d’animo. Avrete la vostra nutella fino alla fine.
5) LA VERITÀ
La terza stagione scorre ed è un ritorno atteso sia per gli amanti della Nutella che di tutti gli altri gusti. Ce n’è per tutti, già da un po’ di tempo: conflitti, complotti, amore, guerra, strategia. Bel mosaico che scorre su binari abbastanza lisci fino al clamoroso punto di deragliamento: è la 3×07 e Lexa muore. Ma come?
Ora, ci sono tre tipi di spettatori che urlano allo scandalo:
1) Spettatore critico: “ma che morte del cavolo. Un proiettile vagante? Veramente? Un comandante del genere fatto fuori così peggio di Khal Drogo? Come minimo doveva morire in battaglia. E Clarke che ha salvato Jasper da una lancia nel torace e ha operato Finn sotto il temporale senza luce e anestesia ora non sa far di meglio che annaffiare con l’acqua una ferita da proiettile?”
2) L’amante dello Sci-Fi: “sì ma serviva alla trama. La rivelazione della Intelligenza Artificiale dentro il collo? E’ una figata, si si. Però che peccato, il personaggio era fantastico. E l’attrice era gnocca.”
3) L’amante della Nutella. È il più devastato. L’amante del gelato alla Nutella è quello che vede il subtext: vede un personaggio queer perire di morte violenta 30 secondi netti dopo aver consumato il rapporto d’amore con un’altra donna protagonista, cristallizzandosi nella tremenda (seppure involontaria) equazione: “sesso saffico = morte”. Lo vede morire ucciso dalla figura paterna nel tentativo di separarla dalla donna che ama. Vede il gelataio che gli ha promesso la nutella, gli ha dato la nutella, gli ha giurato che poteva godersela fino alla fine senza traumi, si è preso i suoi soldi, e poi gliel’ha strappata dalle mani.
Esattamente come tutti gli altri.
L’amante della Nutella è il primo a vedere la truffa.
6) IL BOOMERANG MEDIATICO
La straordinarietà di The 100, l’eccezione, è che non è una truffa che rimane confinata alle sue vittime: l’urlo di sdegno è così forte da coinvolgere tutti, dagli spettatori semplici alle testate giornalistico/televisive più blasonate d’America e anche d’Europa: BBC News, Washington Post, CNN, Time, Hollywood Reporter, The Independent, The Guardian, Vulture, Variety e persino un articolo sull’italianissimo Corriere della Sera.
È l’occasione per diffondere la cultura del “Death Leasbian Trope”, ovvero: stai sicuro che se uno show su cento ha una protagonista queer, quel personaggio muore, e pure male.
E soprattutto, se sei un gelataio che promette la Nutella per poi sostituirla magicamente con la cacca, la gente quella cacca te la tira addosso.
Jason Rothenberg, lo showrunner idolo dei suoi follower, ne perde a migliaia nel giro di una notte.
Un sogno che diventa un incubo.
Ma quelle foto di Lexa sul set del finale di stagione, allora?
Con il crudele senno del poi, sarà facile identificarle come le scene che vedremo svolgersi nella virtuale Città della Luce, una simulazione della realtà, un universo parallelo in cui Lexa è già morta e sepolta (anzi, morta e cremata).
Eppure…su quel maledetto set aperto al pubblico sembrava così viva, così reale, così felice.
È il gelataio che vi ha ingolosito con le foto di un gelato alla Nutella fuori produzione da mesi.
7) LE CONSEGUENZE
Che “l’ApocaLexa” non sia l’unico fattore da prendere in considerazione lo abbiamo già detto e lo ripetiamo. Ma dati alla mano, da questo episodio controverso in poi The 100 ha perso rating progressivamente, toccando più volte il suo series low. La pubblicità negativa e la critica mediatica internazionale sono piovute a fiocchi. I trend topic mondiali da positivi ed entusiasti si sono trasformati in rabbiosi e feriti. Quasi a voler rincarare la dose, anche la qualità globale dello show è andata scadendo: una trama fantascientifica veramente debole e piena di buchi (con una Intelligenza Artificiale che si fa raggirare dal primo idiota di turno) e personaggi che perdono la bussola e la coerenza interna in nome del plot over character (Bellamy, personaggio intelligente e positivo trasformato in gregario omicida senza più capacità critica) finendo con il lasciare scontenti anche la maggior parte di quegli spettatori critici e amanti dello Sci-Fi.
Ma soprattutto, tutto questo macello ha evidenziato una serie di domande di interesse televisivo trasversale:
1. Quanto giova (e quanto danneggia) l’interazione diretta massiva di una writers room con i fan sui social?
2. Qual è il ruolo che un prodotto finzionale ma seriale e quindi continuo, fidelizzante, familiare, può arrivare a rivestire in termini di rappresentazioni e di immaginario collettivo, e quali sono di conseguenza i limiti da non oltrepassare anche nel mondo teoricamente “libero” della creazione narrativa?
3. Esiste un’etica nel lavoro di una writers room? È consentito gettare l’esca, giocare con i fan, anche prenderli in giro, se questo contribuisce a pubblicità e ascolti? Per amore, per guerra e per i ratings è tutto concesso?
Oggi The 100 ricomincia, con la quarta stagione. Vedremo se riuscirà a scrollarsi di dosso la bufera e la rabbia che ancora si porta dietro, e possibilmente a raddrizzare le storyline scadute lo scorso anno e ad alzare di nuovo l’asticella qualitativa.
Per parte nostra, è importante sottolineare che tutto questo discorso è a monte di qualunque giudizio di merito sulla questione. Non stiamo cioè sostenendo la necessità di un numero maggiore o minore di personaggi omosessuali, né stiamo mettendo becco sul loro tasso di sopravvivenza. Il ragionamento, qui, è di sistema, per cercare di capire come e quanto ciò che succede fuori dallo schermo (o meglio, su schermi diversi da quello principale) finisce con l’influenzare il successo e l’efficacia di ciò che accade dentro.
In un mondo sempre più interconnesso e immediato, le vecchie chiacchiere seriali da banco di scuola sono diventate qualcosa di più imponente, pervasivo e globale, arrivando al paradosso per cui lo spettacolo più affascinante e, a questo punto, degno di essere seguito, rischia di essere quello off-screen.