Emerald City – Un ritorno (inutile) al mondo di Oz di Diego Castelli
Giusto altri due episodi per stare sicuri, poi si depenna
Premessa che volendo potete saltare
Esiste questo strano paradosso, per cui solo un vero serialminder può comprendere il sollievo dato da una brutta serie.
Ma come – dice il babbano – un appassionato di serie tv non dovrebbe rammaricarsi ogni volta che incontra uno show immeritevole?
Sì e no. In realtà il vero serialminder, oltre che essere un semplice amante di quella particolare forma narrativa che sono le serie tv, ne è anche in qualche modo ossessionato, e tende a vivere la sua passione come una specie di secondo lavoro: maratone, recuperi, aggiornamenti continui, un desiderio compulsivo di “rimanere aggiornati”, che si scontra inevitabilmente con la quantità semplicemente ingestibile di nuovi show che piattaforme vecchie e e nuove producono a ritmo quasi giornaliero, togliendoci il sonno e il senno.
Per questo il vero serialminder apprezza anche l’incontro con una serie brutta: perché a volte una serie brutta è un titolo che si depenna dall’elenco, un impegno in meno in settimane già intasate di roba, così da poter tenere spazio per recuperare cose lasciate indietro, o anche solo per fare altro senza perdere il presunto, autoaccordato titolo di “profondo conoscitore di telefilm”.
Ecco, qui cominciamo veramente
Ebbene, per tutti questi motivi oggi mi sento di ringraziare Emerald City, nuovo show di NBC che, richiamandosi in maniera esplicita a quell’icona del fantasy che è Il Mago di Oz, sembrava pronto per essere la nuova cosa grossa, un carrozzone destinato a strappare un posto fisso nel nostro palinsesto personale. E invece vai col sospirone: a giudicare dal doppio pilot – arrivato in onda dopo più di due anni dal primo annuncio della serie, che nel frattempo è stata prima cancellata e poi riesumata – Emerald City è un discreta ciofeca, e probabilmente la si potrà abbandonare fra due o tre settimane (giusto per stare sicuri, diciamo).
Creata a suo tempo da Matthew Arnold (già padre di quel gioiellino incompreso che fu Siberia), ma ora nelle mani di David Schulner, Emerald City vuole essere una rivisitazione in chiave dark e drammatica del vecchio classico per ragazzi scritto da L. Frank Baum.
La storia di base è più o meno la stessa, con la giovane Dorothy che finisce dentro un tornado che la trasporta nel magico mondo di Oz, governato da un enigmatico mago (Sua Magnificenza Vincent D’Onofrio) che potrebbe essere la sua unica speranza di tornare a casa, in Kansas. Per raggiungere il mago Dorothy inizia un lungo viaggio in cui fa amicizia con diversi personaggi assai particolari che la aiuteranno – si suppone – a cavarsi dai guai.
Dico “si suppone” perché poi, su quella struttura classica, arriva la mano di vernice dark che dovrebbe essere la vera chiave stilistica di Emerald City. Una passata di nero che coinvolge sia elementi specifici della vecchia storia, qui trasformati in chiave più realistica e meno fiabesca – tipo lo Spaventapasseri, che qui non è un effettivo uomo di paglia in cerca di cervello, bensì un uomo in carne e ossa e pure figaccione che ha perso la memoria – ma anche dinamiche più ampie, che sembrano strizzare l’occhio ad altri moderni fantasy televisivi, su tutti la cara e vecchia Game of Thrones: in questo caso è difficile non leggere le relazioni prettamente mistico-politiche fra il Mago e le Streghe come un tentativo di dare uno spessore più moderno e più sporco a una storia che, salvo interpretazioni simil-complottiste che negli anni sono state avanzate a più riprese, rimane un prodotto per lettori molto giovani.
Fin qui, come idea, ci può pure stare. Ci son talmente tanti reboot in questi anni, uno in più uno in meno non cambia, e almeno c’è la voglia di deviare un po’.
Dove però Emerlad City fallisce, in maniera piuttosto goffa, è nella realizzazione effettiva di quelle idee, tanto legittime su carta quanto poco efficaci una volta messe in scena. C’è sicuramente un problema di budget (che sia la sua carenza o la sua cattiva gestione) perché il doppio episodio si presenta visivamente povero, con scenografie malaticce e costumi pupazzosi troppo simili a un Fantaghirò 2.0, piuttosto che a una grande produzione del 2017.
Ma c’è soprattutto un problema di scrittura, dove le varie anime dello show non riescono a integrarsi come dovrebbero, lasciando in bocca un fastidioso sapore di incompiuto. Emerald City non è una favola per famiglie alla Once Upon a Time, ma non ha nemmeno il piglio violento e realmente adulto di GoT. La protagonista è completamente insipida, una ragazza che pare al centro di chissà quale profezia (figurati se non ci mettevano una profezia), ma intanto non sembra avere un tratto riconoscibile che sia uno, se non quello di essere un’infermiera che una volta arrivata a Oz non passa nemmeno un-secondo-uno a chiedersi che razza di posto sia, ma parte spedita nella sua missione senza farsi praticamente alcuna domanda.
L’arrivo dello spaventapasseri, la cui “umanità” all’inizio sembra un bel twist, si rivela presto un mezzuccio semplice semplice per far partire gli occhi dolci, che lui e Dorothy si scambiano praticamente da subito. E ancora una volta ti chiedi come sia possibile che questa tizia, sopravvissuta a un tornado e ritrovatasi in un posto pieno di magia, abbia come primo pensiero quello di fare la svenevole con un tizio che ha trovato crocifisso a lato della strada.
Non va meglio nemmeno sul fronte del Mago: l’intento evidente è quello di creare un intrigo magico-politico che abbia una sua forza indipendente rispetto al semplice viaggio di Dorothy, ma ancora una volta è tutto molto confuso, posticcio, buttato lì in qualche modo per dare la possibilità a D’Onofrio di fare le sue faccette da matto, che per carità, gli vengono sempre bene, però da sole non bastano.
L’impressione, insomma, è quella di un grossa ambizione, che finisce però in un’ora e mezza di scrittura piatta e sostanziale noia, in attesa di un’accelerazione che proprio non arriva. Il che non vuol dire che non esista qualche motivo di interesse, e una serie come Emerald City potrebbe avere più chance di risollevarsi rispetto all’ennesimo crime sempre uguale che già dal pilot capisci che strada prenderà. Però bisogna fare di più, perché in questo momento ho la penna che trema e ho una gran voglia di tirare una bella riga decisa. Cosa che, come dicevo all’inizio, nemmeno mi dispiacerebbe.
Perché seguire Emerald City: si vede la voglia di dare una svecchiata alla vecchia fiaba già trasposta mille volte al cinema e in tv, e alcune singole idee funzionano abbastanza bene.
Perché mollare Emerald City: nel complesso il doppio pilot è pesante e confuso, a tratti piuttosto cheap, e incapace di inchiodare lo spettatore alla vicenda, guidata da una protagonista poco interessante.