The OA: bomba o bluff? Il duello finale di La Redazione di Serial Minds
Ma The OA alla fine è una cosa mai vista prima o solo un corso di yoga spacciato per una serie tv?
ATTENZIONE: SPOILER SULLA PRIMA STAGIONE DI THE OA
Non poteva bastare un pezzo introduttivo, per giunta scritto dopo i primi due episodi, per chiudere il cerchio su The OA, serie di Netflix ambiziosa e volutamente fuori dagli schemi. Avremmo potuto chiudere con un pezzo super-elogiativo o con una stroncatura, abbiamo deciso di iniziare il 2017 all’insegna di un duello. Da una parte il poliziotto cattivo Diego Castelli, dall’altra il poliziotto buono Marco Villa. La sfida è lanciata.
CASTELLI: Va bene dai, accetto la sfida, vediamo di parlare di questo corso di yoga spacciato come la serie più rivoluzionaria del mondo. E non pensare che non abbia apprezzato niente, perché invece ho apprezzato molte cose, se non fosse che ho riso in molti punti in cui non si doveva ridere, e se non fosse che l’immensa spiritualità, le dimensioni parallele, l’al di là pieno di glitter e le mosse da power ranger alla fine sono servite soprattutto a fermare un tizio che sparava nella scuola. Che poi in realtà l’ha fermato il barista, mentre loro avrebbero anche potuto ballare la macarena, ottenendo lo stesso risultato. Madonna finale ri-di-co-lo per una serie così ambiziosa…
VILLA: Ambiziosa è il termine giusto, perché siamo di fronte a una serie che, come avevo scritto dopo aver visto i primi episodi, è tutto e il contrario di tutto. Il primo episodio contiene materiale e spunti che basterebbero non per una, ma per cinque serie e peraltro tra questi spunti non c’è quello che diventerà portante: The OA è una serie sulla nascita di una religione o almeno sui suoi primi stadi di sviluppo. C’è un messia, ci sono gli apostoli, c’è una narrazione delle origini che è a metà tra cronaca e mito, c’è un senso di mistero profondo. Una religione diversa da quelle che conosciamo, che si manifesta nel modo più puro attraverso l’arte (chi canta e suona divinamente) e che prevede che le preghiere arrivino non dalla bocca, ma da espressioni corporee. In più c’è una teorizzazione sull’aldilà e tutto questo viene inserito in un racconto che per buona parte del tempo oscilla tra crime e mistery. Mica poca roba, anzi: di fronte a tutto questo può essere perdonato anche un finale che sì, sembra c’entrare nulla con il resto. Anche se poi questi ribaltamenti continui sono la cifra di tutta la serie.
CASTELLI: Sì ma “tutto il contrario di tutto” non è necessariamente un complimento, anzi, a me sa un tantino di pastrocchio, almeno per la parte iniziale. Dopo effettivamente l’obiettivo sembra essere quello che dici tu, cioè la fondazione della religione, ma io contesto le modalità della sua messa in scena. Al di là di giudizi più-soggettivi-degli-altri (tipo che io a Prairie l’avrei presa a sberle dall’inizio alla fine gridandole “svegliati perdio!”, oppure il fatto che i famosi movimenti mi fanno sempre ridacchiare), l’impostazione di The OA in quanto crime è troppo pesante considerando i suoi reali obiettivi. La carcerazione dei protagonisti è di fatto solo un espediente, ma si prende tantissimo spazio e rende sempre più ridicolo il loro comportamento, perché a un certo punto, per scappare (e la fuga sembra essere l’unico loro desiderio), si affidano completamente ai superpoteri, quando avrebbero ogni occasione per tirare una martellata in testa ad Hap e andare a cercare aiuto. Trovo insomma che tutta questa ambizione finisca poi in scarso coraggio nella rappresentazione: serie come The Leftovers o Falling Water vanno molto più al nocciolo della questione. Senza contare, ancora una volta e anche da questo punto di vista, il finale totalmente anticlimatico: se due persone fanno resuscitare i morti, il fatto che cinque servano solo a fermare un pazzo con un mitra e forse a teletrasportare Prairie chissà dove, mi pare un tantino poco…
VILLA: Beh ma il fatto di usare una narrazione di genere per raccontare tutt’altra storia è una cosa ormai comunemente accettata. In più se vuoi ti cito il classicissimo MacGuffin di Hitchcock, ma non vorrei essere troppo noiosetti. Il fatto è che quel cambiamento di prospettiva di cui abbiamo appena parlato non lo vive solo lo spettatore, ma anche i protagonisti. Hai citato il fatto che nessuno prova veramente a scappare, ma è il caso di sottolineare un dettaglio importante: a un certo punto nessuno vuole più scappare e questo è il più grosso twist immaginabile in una vicenda del genere. Dopo la resurrezione di Scott, i ragazzi non sono più di fatto dei prigionieri, perché partecipano volontariamente agli esperimenti. Hap non deve più sedarli per portarli nel laboratorio, tutti accettano di partecipare allo studio: potrebbero dargli una martellata, certo, ma non sono più interessati a farlo. Il motivo è che non vogliono semplicemente evadere, ma superare la loro condizione umana. Facendo tornare dai morti il Lazzaro con i rasta, si sono sentiti dio e vogliono tornare a esserlo, vogliono essere in grado di controllare non solo le proprie vite, ma la propria esistenza nel senso più profondo possibile. Anche per loro, l’essere parte di una vicenda crime si rivela solo il punto di partenza (di nuovo: il MacGuffin), per giungere a qualcosa di molto più grande. Tutto questo dando per buono che quello che Prairie racconta sia successo, fatto che sembra essere comunque considerato accettabile visto che la prima parola pronunciata dopo la sua ennesima morte è: “Homer”. A mio avviso il vero crollo di The OA potrebbe derivare dal fatto che sia tutto falso. Ecco, in quel caso la serie si sgonfierebbe e ci rimarrebbe in mano poca roba.
CASTELLI: Io non contesto in alcun modo il trucco di usare un genere per parlare di altro, l’ho detto anche prima. Contesto le modalità con cui è stato fatto, per il peso che è stato dato alla componente crime, poi eliminata in larga parte, ma non abbastanza: la ricostruzione che fai tu è lineare, ma sullo schermo per quanto mi riguarda abbiamo visto un tira e molla molto meno chiaro e più fuffone. Mi pare cioè che il crime l’abbiano tenuto vivo troppo a lungo e in modo troppo forte (perché si cagavano sotto probabilmente), eliminandolo quando però ormai era diventato troppo ingombrante. Sulla parte finale sono d’accordo con te, sarebbe assurdo e banalissimo se fosse tutto finto. E sono talmente d’accordo con te, che dico che l’inserimento forzato di un dubbio è un altro esempio dei parecchi squilibri di questa prima stagione. Quel dubbio non serve a nessuno, è un di più inserito in una sceneggiatura stracolma di di più, che cerca di mettere dentro qualunque cosa. Ho anche cercato di farmelo piacere come “prova di fede”, nel senso della necessità per gli apostoli di dare prova della loro fede anche in presenza di indizi contrari. Ma anche in questo caso non mi convince, loro andavano dietro all’OA sulla base di un semplice racconto, un’ulteriore prova mi pare superflua. Poi vabbè, se nella seconda stagione si scopre tutto finto io scendo a manifestare in piazza, ma dubito…
ARRINGA FINALE DEL CASTELLI: Per me The OA è una serie giustamente ambiziosa, con alcune buone idee e qualche scena molto forte (le mie preferite sono resurrezione e scontro fra i due scienziati-rapitori). Detto questo, sono anche deluso da una quantità eccessiva di carne al fuoco, da una messa in scena troppo ordinaria (The Leftovers gli dà le piste a questa roba qui, ma pure il mio odiato Sense8, per lo meno visivamente), da alcune punte di ridicolo e da un finale semplicistico e goffo che butta via quanto di buono costruito in precedenza, che comunque c’è. Belle promesse, insomma, mantenute solo in parte, soprattutto considerando che ce l’hanno venduta come la serie che avrebbe rivoluzionato tutte le serie tv dell’universo conosciuto, e ancora oggi qualche spettatore ipnotizzato dal luccichio netflixiano dice di non saperla nemmeno riassumere. Ma de che? Sono otto classici episodi riassumibili con: “Dopo un’esperienza di premorte, una tizia si sveglia con dei poteri ricevuti da una dimensione divina”. Non mi pareva così complicato…
ARRINGA FINALE DEL VILLA: E invece sì, è più complicato, perché per The OA la storia di fondo è importante tanto quanto il modo in cui viene raccontata. Torno ancora al primo episodio, a tutto quell’accumulare e ribaltare che è la cifra definitiva della serie. The OA non è una serie perfetta sotto nessun punto di vista, ma è una serie potente, in grado di scuotere, sia in positivo che in negativo. Per quanto mi riguarda, credo di aver pronunciato tre volte in vita mia la parola “teatrodanza” perché rischio sempre di riempirmi di bolle, per non parlare di tutta la dimensione fricchettona presente nella serie. Però The OA mi ha emozionato e a tratti anche entusiasmato e alla fine degli otto episodi è questo che mi resta addosso. Forse non sarà la rivoluzione seriale (lo dicevano anche di Mr. Robot durante la prima stagione), anzi certamente non lo è, ma è un bell’azzardo e un bel rilancio nel buio.