3% – La serie brasiliana di Netflix che è un po’ The Hunger Games + Black Mirror di Marco Villa
La durissima selezione per entrare a far parte del 3% della popolazione mondiale, quella ricca e al sicuro da tutto
Come ogni anno, qualche giorno fa Oxford Dictionaries ha comunicato la sua parola dell’anno: post-truth. Tradotto letteralmente è post-verità e va a descrivere quella situazione in cui la verità che si afferma non è quella dei fatti, ma quella che crea più emozioni. Una verità falsata, parallela, che in fondo fa il paio con quella che potrebbe essere la parola dell’anno per quanto riguarda le serie tv: distopia. Negli ultimi mesi si è parlato tantissimo di quei mondi un filo deviati, che descrivono futuri possibili o presenti alternativi. I due nomi più chiari sono Westworld e -soprattutto- Black Mirror, ma anche 3% è qui per dire la sua con buoni argomenti.
3% è la prima serie originale prodotta da Netflix in Brasile, creata da Pedro Aguilera e disponibile in tutto il mondo dal 25 novembre. Siamo in un futuro non meglio precisato, in una grande città brasiliana. Come ogni anno, si tiene il Processo, ovvero una sorta di grandissima selezione a cui partecipano ragazzi e ragazze che hanno appena compiuto 20 anni. Nell’arco di una serie di giorni, vengono sottoposti a varie prove per scoprire chi sono i più meritevoli: solo il 3% di loro potrà accedere all’Offshore, ricchissima zona artificiale al largo della costa. Tutti gli altri dovranno tornare alle vite di tutti i giorni nell’Inland, l’entroterra, segnato da violenza ed estrema povertà.
Uno spunto che sarebbe potuto venire a Charlie Brooker per Black Mirror: in quel caso avremmo avuto una puntata secca e con un livello di angoscia altissimo, costruito in poche scene. Con 3%, invece, siamo di fronte a otto episodi interamente dedicati alla stessa storia, ovvero la selezione. Per rendere più pepata la faccenda, però, 3% ha anche una sottotrama politica, che vede tra i candidati all’Offshore una ragazza che fa parte della Causa, il gruppo ribelle che lotta per eliminare l’ingiusta divisione tra ricchi e poveri.
Ragazzi messi alla prova, grandi sfide da superare, ribellione. Sì, è normale aver pensato a The Hunger Games e il parallelo ci sta tutto. I primi episodi di 3% tengono bene, grazie anche al fatto che i protagonisti devono affrontare varie prove, che finiscono per fornire un ritmo naturale alle puntate. Il bello arriva adesso: non possiamo pensare di avere tutta una prima stagione basata sulla selezione, altrimenti sarebbe la morte. Quello che più interessa è la caratterizzazione del mondo in cui vive il 3% della società e da questo aspetto probabilmente deriverà un voto positivo o negativo alla serie.
Serie che parte bene, come detto, sia per la scrittura molto disciplinata, sia per la buona prova di quasi tutti gli attori, su tutti Bianca Comparato, che interpreta una delle candidate, Michele (sì, come il nome maschile, ma pronunciato Miscele). A vacillare in più punti è invece la regia, che alterna tentativi stilosi (alcune inquadrature dall’alto), a momenti che sembrano presi dalle peggiori telenovele locali, con scenografie cartonate e sguardi intenzi. E anche per questo motivo sarà cruciale il modo in cui verrà raccontato l’Offshore.
Ovviamente l’aspetto più interessante resta il tema: veniamo da anni in cui la protesta contro l’1% più ricco del mondo è andata montando dappertutto, a cominciare dagli Stati Uniti, per poi diffondersi. Quegli stessi Stati Uniti in cui ha vinto un candidato presidente che, pur essendo miliardario, si è presentato come campione della gente normale contro l’elite. 3% è esattamente questa contrapposizione, che muove però da un punto di partenza per nulla scontato e moralista: lo scontro, la lotta di classe c’è, ma tutti quelli che non fanno parte dei privilegiati hanno come primo e totalizzante desiderio quello di entrare nel club. Non è l’aperta ribellione di The Hunger Games, ma un’aspirazione differente, molto meno idealistica, ma più affascinante e profonda. Anche per questo motivo, 3% convince e si merita una chance.
Perché seguire 3%: perché la distopia è l’argomento principe delle serie tv di quest’anno e 3% offre un bel taglio
Perché mollare 3%: perché per qualità di realizzazione non è Black Mirror, né The Hunger Games