Tre pilot superflui in 42 secondi: American Housewife, The Great Indoors e Stan Against Evil di Diego Castelli
Dai che ce la sbrighiamo facile
L’altro giorno io e il Villa ci siamo guardati negli occhi (metaforicamente, ci sentiamo quasi solo via chat) e ci siamo detti: hai una vaga idea di quanti pilot abbiamo ancora in arretrato?
La risposta era “troppi” e, considerando che io tendo a tenere in calendario anche le serie che mi interessano poco finché non ne abbiamo parlato almeno una volta, capite bene che nelle ultime settimane la quantità di titoli sul mio tv show manager si è fatta abbastanza inquietante.
Il Villa ha anche provato a dirmi una roba tipo “beh, se una cosa è superflua, potremmo anche lasciar proprio perd…”
GIAMMAIIII!
No, si parla almeno una volta di tutto, e se proprio non ci si riesce (ci sono effettivamente un tot di serie che abbiamo lasciato indietro in questi anni, alcune pure fighe), lo si fa con il peso sul cuore e un profondo senso di pentimento.
Ecco, oggi torna la rubrica Tripilot, così da alleggerire almeno un po’ quel senso di oppressione al petto.
American Housewife
Nel profluvio di serie che ultimamente usano “American” nel titolo, non poteva mancare anche la casalinga americana, interpretata su ABC da Katy Mixon, che ai tempi di Mike and Molly era la sorella fattona e magra della protagonista, e ora non è più né fattona né magra. Già perché la protagonista di American Housewife è una madre di famiglia dalle membra robuste che vive in un quartiere pieno di mamme vegane strette strette in pantaloncini aderenti e colorati, conditi da sorrisi finti e sguardi di disapprovazione. Meno male che la nostra Katie è donna piena di risorse e di una buona dose di ironia, così da cavarsela in ogni situazione.
Tranne forse in quella di costruire una comedy imperdibile che vada oltre lo stereotipi e sia qualcosa in più che semplicemente “carina”. American Housewife non ce la fa, la simpatia non le manca, ma tutto questo fat girl power è troppo insistito e pacchiano per essere davvero interessante.
The Great Indoors
Il nostro amatissimo Joel McHale, ex Jeff di Community, torna protagonista di una comedy in cui interpreta un esploratore/fotografo/avventuriero, corrispondente dal mondo di una prestigiosa rivista, che a un certo punto si trova costretto al lavoro d’ufficio, in mezzo a una banda si sbarbatelli mai usciti di casa che pretende di insegnargli il giornalismo di viaggio 2.0, pieno di classifiche e foto pucciose di orsi polari che curano i piccoli.
Considerando che anche in Community faceva “quello vecchio”, pare che McHale sia abbonato a questi personaggi fascinosi, sciupafemmine e un po’ cinici, inseriti a forza dentro gruppi di ragazzini a cui insegnare un po’ di classe, e da cui imparare un po’ di cultura pop e vita da millennials.
The Great Indoors – forte di un buon ritmo, qualche scelta azzeccata e la presenza, fra gli altri, di un attore di spessore come Stephen Fry – è più divertente del succitato American Housewife, e prende spunto per le sue gag da quel classico divario generazionale che quasi ogni giorno vediamo sbeffeggiato sui social, nei classici post “sei nato negli anni Ottanta se”, e altre simili collezioni di minchiate.
Il problema è che non si va oltre quello: un gradevole intrattenimento, argomenti contemporanei su una struttura che più classica non si può, tutto giocato sui tormentoni e i personaggi tagliati con l’accetta. Dignitoso, ma davvero niente di più.
Stan Against Evil
Leggi “Stan against Evil”, ti viene in mente Ash vs Evil Dead, e subito pensi a una curiosa coincidenza, o magari a una moda che, tipo la storia degli “american”, potrebbe calare il marchio su prodotti diversissimi fra loro, come potrebbero essere American Crime e American Housewife.
Poi però arriva l’imbarazzo vero, perché Stan Against Evil non è una serie il cui titolo assomiglia casualmente a quello di un’altra: è proprio una sua copia. Protagonista è un ex sceriffo di una cittadina in cui, secoli prima, sono state uccise quasi duecento streghe, che ora infestano il paesello garantendo la morte di tutti gli sceriffi a parte il protagonista e, si spera, la bella poliziotta che gli è succeduta.
È tutto come in Ash: personaggi sopra le righe, demoni interpretati da attori truccatissimi, violenza esagerata stemperata da una vena ironica quasi sempre presente. Il problema è che è tutto un gradino sotto: non fa ridere come Ash, non è creativo come Ash, non è folle come Ash, non ha nemmeno lo stesso budget, visto che qui appare tutto un po’ più dimesso, come forse era lecito aspettarsi nel passaggio da Starz a IFC.
L’unico che potrebbe reggere è John C. McGinley, amatissimo dottor Cox di Scrubs e primo motivo per cui mi sono avvicinato a questa serie. Ma ora me ne allontano nuovamente, in punta di piedi, cercando di non disturbare, ma mettendomi poi a correre molto velocemente nella direzione opposta.