The Walking Dead 7×01: vi amo, bastardi. di Diego Castelli
La premiere più attesa non delude
OVVIAMENTE SPOILERONI SULLA 7×01, NON LEGGETE SE NON SIETE IN PARI!
Due morti, uno rapito, uno spezzato.
Questo il pesante, pesantissimo bilancio della premiere stagionale di The Walking Dead, forse la più attesa dall’inizio della serie, dopo un sesto season finale appeso alla domanda “chi avrà ammazzato Negan?” capace di tenere banco per mesi, perfino troppo, a giudicare dalle dichiarazioni di Robert Kirman che ha ammesso di aver esagerato e che in futuro cercherà di essere più sobrio.
Sorvolando sui “ma sei scemo?!” che gli saranno arrivati da AMC, rimane il fatto che questa 7×01 mi ha fatto alzare presto alla mattina, per riuscire a guardare l’episodio appena sveglio senza beccarmi inevitabili spoiler sui siti americani, che come al solito non conoscono vergogna. Direi che per una serie arrivata al settimo anno non è male.
Veniamo a noi, soprattutto al problema che effettivamente poteva crearsi: con un finale come quello dell’anno scorso, che metteva tutti i protagonisti di fronte alla falce (pardon, la mazza) di un carnefice che ne aveva sicuramente ammazzato uno, ha sì generato un hype clamoroso per il ritorno autunnale della serie, ma allo stesso tempo ha reso quasi impossibile la creazione di una vera sorpresa: se siete fra quelli che hanno passato gli ultimi tre mesi e fare quintalate di ipotesi su chi avesse avuto il cranio spappolato dal nuovo cattivissimo di The Walking Dead, probabilmente non c’era nessuna soluzione che potesse sorprendervi davvero.
Personalmente, io che invece detesto fare troppe ipotesi proprio perché preferisco godermi i racconti così come vengono, sono rimasto molto soddisfatto dalla doppia morte. In prima battuta Negan uccide Abraham, e sembra in qualche modo una soluzione “di mezzo”: non era una protagonista della prima ora, ma nemmeno uno degli ultimissimi arrivati, quindi sembrava un buon equilibrio fra necessaria emozione e contemporaneo rispetto delle origini.
Il bello però arriva subito dopo, quando Daryl stampa un cazzotto sulla faccia di Negan e questo si trova costretto ad ammazzarne un altro (d’altronde l’aveva detto che a ogni atto di ribellione ci sarebbero state conseguenze). E stavolta ci va giù pesante, perché la mazza incontra la testa di Glen: lo sgusciante asiatico, protagonista fin dal primo episodio della serie, trova così la morte dopo che l’anno scorso era già sembrato finire nell’abisso, in quell’episodio che mi aveva fatto incazzare perché Glenn sembrava morto e non lo era. Questa volta di dubbi non ce ne sono, perché anche lui si ritrova la testa maciullata in una delle scene più pesanti e violente che i fan ricordano.
Ed è qui che bisogna andare per parlare davvero di questo episodio, perché se è vero che la questione dell’identità del morto (a questi punto “dei morti”) è quella che ha tenuto banco per mesi, è giusto anche riconoscere gli altri meriti di un episodio potenzialmente cardine. Sì perché la 7×01 non è incentrata tanto sulla morte di uno o due personaggi, bensì sulla definitiva sconfitta di Rick, sull’operazione prima di tutto psicologica con cui Negan spezza la mente del potenziale nemico, imponendo la sua superiorità di maschio alfa. Splendidamente interpretato da un Jeffrey dean Morgan in grande spolvero, Negan diventa subito il miglior cattivo di The Walking Dead, perché riesce a trovare un sottilissimo equilibrio fra l’esagerazione imprescindibile per ogni malvagio “da fumetto”, mantenendo però anche una base di malato realismo.
Negan non ci sembra pazzo e folle in modo macchiettistico, è invece un assassino con una strategia, un leader per cui la violenza non è (o per lo meno non è solo) motivo di piacere e soddisfazione, bensì strumento scientificamente pensato per ottenere un obiettivo psicologico oltre che fisico sui nemici. In questo senso, il Negan di Morgan è spaventoso perché, invece di sembrare “assurdo”, sembra solo estremo, come certe terribili storie che spesso ci capita di sentire al telegiornale parlando di zone disastrate dell’Africa o del Medio Oriente. Una malvagità caricata, ma ancora pienamente umana, non caricaturale.
La splendida regia di Greg Nicotero fa il resto: immerso nella nebbia opaca e inquietante di un mattino freddo e sanguinoso, Negan trascina Rick in un viaggio allucinato e allucinante, con il quale plasmare l’ex nemico fino a fargli assumere la forma che vuole: quella del cucciolo ferito ed inerme. Il mancato taglio del braccio di Carl è emblematico: se Negan fosse stato solo un cattivo amante della violenza, avrebbe portato a compimento anche quell’atrocità. Invece no, perché un attimo prima che Rick cali l’accetta sul braccio del figlio, Negan si ccorge che ormai è spezzato e distrutto, e non è necessario danneggiare ulteriormente la sua prossima forza lavoro.
Come già accaduto con gli altri episodi diretti da Nicotero, “The Day Will Come When You Won’t Be” è farcito con una violenza esagerata, disturbante e sanguinolenta, che forse tocca vette mai sfiorate da The Walking Dead: perché la mazza che cala sulle teste di Abraham e Glenn non è una pallottola sparata da lontano, o il pugnale infilato nella testa di uno zombie, o l’epilogo di una rissa. È invece un’arma pienamente umana che colpisce vittime inermi e continua a colpirle anche dopo che la morte è sopraggiunta, a sottolineare nuovamente che l’obiettivo non era la morte, ma il messaggio, e quel messaggio è tanto più convincente quanto più il legno di Lucille scava nel cervello martoriato dei due poveretti.
Negli Stati Uniti alcuni si stanno chiedendo se questo episodio non sia stato addirittura troppo crudo e malato, quasi insostenibile. Una domanda che per me non ha senso, e ce l’avrebbe solo se la violenza fosse gratuita, se l’asticella venisse alzata solo per mancanza di alternative. In realtà, come detto, si tratta di una violenza votata a un obiettivo, alla creazione di uno dei personaggi più tosti e importanti che la serie abbia visto finora, e alla contemporanea influenza decisiva sul principale protagonista, che ora avrà molto da ricostruire prima di tornare a essere l’eroe che ha sempre sperato di poter essere.
L’obiettivo è raggiunto, la narrazione può ripartire, e la luce nebbiosa che inquadra le mazzate di Negan rimarrà a lungo nella memoria dei serialminder.
Al massimo il problema si porrà in seguito: per quanto io ancora mi diverta a guardare TWD, è abbastanza evidente come alcune grandi direttrici tematiche e filosofiche siano state completamente spolpate, rendendo difficile l’introduzione di temi davvero nuovi per personaggi che ormai le hanno passate un po’ tutte. Da questo punto di vista non sono mancate le legittime critiche di chi vede in Negan, più che un personaggio fichissimo di cui seguire le gesta, l’ennesima incarnazione di un cattivo stagionale a cui ne seguirà un altro, e poi un altro ancora, fino alla polverizzazione delle balle.
Il che può pure essere vero (se la guardiamo così allora The Walking Dead è finita dopo la seconda stagione, con la morte di Shane), ma cozza vistosamente col fatto che molti di noi sono ancora qui dopo sette anni ad aspettare ogni episodio con vistoso entusiasmo. L’apparente contraddizione si risolve considerando che non esiste solo la narrativa nuda e cruda, esiste anche l’estetica, e perché no pure l’abitudine e l’affetto, e non è ancora nata una serie tv che al settimo anno (ma pure al quinto e al sesto) non sia almeno in parte ripetitiva. Il concetto è capire se persiste quel tanto che basta di creatività e forza espressiva affinché uno show ti trasmetta ancora la voglia di presentarti all’appuntamento ogni settimana. Ecco, dopo questo episodio io rinnovo il mio abbonamento agli zombie e i cattivi con la mazza, da qui fin quando sarà.
PS Gira pure sto video in cui si vede (si vedrebbe) la morte di maggie invece di quella di Glen. Secondo me esiste una versione con tutti, Morgan avrà avuto le spalle a pezzi a fine giornata…
https://youtu.be/t89FSOKjGPk